MIRKO CONFALONIERA

  1. TRIVENETO EXPRESS
    Venezia, Burano, Palmanova, Udine

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    BADLANDS ALONG PO RIVER
    By Liutprando il 9 Aug. 2017
     
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    0 - Questo fine settimana ho deciso che tutti i miei pensieri, le ansie, i ricordi, i rimpianti e altri demoni, li metto in un sacco e li butto via... Spesso non servono terapie o medicine: un buon viaggio in solitaria guarisce da ogni male dell'anima…

    1 – Venerdi pomeriggio di agosto. Fa un caldo che non se ne può più. Io credo che il tanto decantato inferno sia molto simile all'estate afosa, calda e umida di Pavia e provincia. Caldo, caldo, caldo. Sole che batte sulla pelle senza tregua, umidità, sensazione di respirare aria (calda), e fatica perfino di elucubrare semplici ragionamenti. L’ideale per mollare tutto e partire.
    Esco da lavoro con uno zaino in spalla e Davide, collega dell’ufficio ritiro esami di Radiologia, mi dà uno strappo fino in stazione. Giusto in tempo per fare il biglietto del treno fino a Venezia e recarmi sul binario 2. Uno come me che si è vantato più di una volta con orgoglio di aver creato il modus vivendi (più l’hashtag) #iononviaggioinautostrada sicuramente non prende i treni ad Alta Velocità… Anche se il treno, non è come l’odiata autostrada… Ma il mio itinerario è stato progettato tutto tramite treni Regionali e Regionali Veloci. Per cui: Regio Express per Milano. Scendo a Milano Lambrate che fa un caldo ancora più insopportabile di Pavia. Cambio di binario e mi dirigo verso la pensilina dove è in arrivo il treno per Verona Porta Nuova.
    L’aria condizionata sui treni regionali funziona soltanto quando la temperatura esterna è accettabile. Mica quando c’è l’anticiclone Lucifero che ti tortura da metà mattina per tutto il giorno e oltre il calare delle tenebre. Fortuna che su alcuni riesci ancora ad abbassare il finestrino e far circolare per il vagone un po’ di aria. Calda.
    Pioltello. Mi sono sempre domandato perché Trenitalia abbia eletto questa stazioncina di periferia a terminal dei treni suburbani e a fermate di quelli interregionali… Scali ferroviari, container, binari, palazzoni eretti su multi-piani, colossi di cemento armato anonimi come il buon caro vecchio stile socialismo reale insegnava. La periferia più periferica di una metropoli che d’agosto annaspa sotto i colpi di un’estate che non lascia scampo. Perché? Che c’è a Pioltello da così importante da fermarci anche solo due minuti? Quattro binari, la linea dell’alta velocità che scorre parallela, ma oltre l’ultimo marciapiede, una stazione deserta, dalla quale sale a bordo un solo passeggero, e che dice al controllore che al bar non gli hanno potuto fare il biglietto perché li avevano finiti. Pioltello. La controllorA (in realtà) che ribatte che avrebbero dovuto farglierlo, e che quel bar dà sempre un po’ di noie, che non fa mai i biglietti, e che lei farà rapporto. Intanto, il biglietto, viene emesso, nella fila di sedili appena davanti alla mia, prima che la zelante dipendente delle Ferrovie dello Stato mi controlli e mi obliteri il mio: Pavia-Venezia Santa Lucia, tariffa regionale, con un altro cambio, a Verona Porta Nuova, di soli 6 minuti di coincidenza… Una vera scommessa contro l’azzardo, coi tempi che corrono… Ma che io, fiero del mio non-viaggiare-in-auto-strada-quindi-non-viaggio-manco-sui-treni-ad-alta-velocità-ecc., sono baldanzoso nello sfoderare al mondo intero.
    Tiriamo dritti fino a Treviglio, provincia di Bergamo. Trasferte di basket, nei tempi che furono. I 4 binari che ci accompagnano da Milano ritornano i classici due, e la linea ad alta velocità scompare dietro la lontanta autostrada Bre-Be-Mi. Romano, Chiari, Rovato. Dalla piatta e verde pianura della bassa bergamasca penetriamo in quella brixiana, avvicinandoci al caratteristico sfondo delle montagne bresciane. Dopo Desenzano, ultima fermata lombarda, da cui si ammira il bel lago di Garda, si sprofonda in territorio Veneto. Peschiera ha già una fisionomia diversa, differente, quasi più importante. Poi, quando all’orizzonte spunta l’inconfondibile stadio Bentegodi, è segno che stiamo arrivando nella città di Verona. Stranamente, in perfetto orario.
    Riesco a prendere la coincidenza, seppur devo attraversare tutta la stazione, tramite il sottopassaggio, e arrivare all’ultimo binario. Regionale Veloce per Venezia. Verona Porta Vescovo, ovvero la Verona al di là del fiume Adige. Quando una persona normale vede l’Adige pensa a Verona, alla città dell’Amore, alla casa di Romeo e Giulietta, alla celebre Arena, ecc.; io penso all'Hellas, ai suoi odiati tifosi delle Brigate Rossoblù, alla Scaligera Basket a cui abbiamo dovuto cedere i diritti di A2 di pallacanestro sette anni fa, e alla foce dell'Adige nei pressi di Rosolina, laggiù in Polesine... E’ più forte di me (cfr. #badlandsalongporiver ).
    Dopo San Bonifacio, la ferrovia (come l’autostrada e la statale 11) si incunea nello stretto passaggio fra i monti Berici (gruppo di rilievi collinari in mezzo alla pianura Padana) e le Prealpi Venete, fino a sbucare a Vicenza. Il territorio torna pianeggiante e piatto subito dopo, anche se nei pressi di Padova si ammirano verso sud i Colli Euganei, gruppo di alture di origine vulcanica che sorge fra la città del Petrarca e la provincia di Rovigo.
    Su Padova avrei tanti ricordi, ma scappano così in fretta come il veloce paesaggio dal finestrino che è quasi impossibile codificarli. In men che non si dica arriva Mestre. E dopo Porto Marghera il treno sembra correre sull’acqua della Laguna come un’astronave in mezzo a uno spazio tutto azzurro. Sullo sfondo l’isola di Venezia brilla e luccica come una stella dell’universo.

    2 – Ho prenotato una stanza nel sestriere Cannaregio. Iniziamo da qua. E finiamo dall’inizio, cioè che Venezia è tutto tranne che una città come le altre. E’ una città dove tutto è alla rovescia. La terra è acqua, le auto sono motoscafi, e i bus sono vaporetti. “Venezia è un pesce”, scriveva Tiziano Scarpa. A ragione. Perché a guardarla dall’alto, sembra veramente un disegno stilizzato di un pesce con la testa dalle parti di Santa Croce, le pinne nella zona di Sant’Alvise, e la coda da Castello a Sant’Elena.
    “Excuse me, where I can get a bus or a taxi?” o qualcosa del genere.
    Sì, il senso è più o meno questo. Addentratomi con zaino in spalla e cartina in mano nelle calli in zona San Marcuola, due turisti nordamericani mi fermano per chiedermi ‘sta cosa.
    Li guardo per un momento pensando di essere caduto in una candid camera.
    Manco da Venezia da nove anni, o giù di lì. L’ultima volta era per una trasferta di basket, persa, tra l’altro, contro quelli che nove anni più tardi sarebbero diventati i campioni di Italia. Ma non mi sembra che in nove anni Venezia sia cambiata o mutata così radicalmente.
    “No bus, no taxi! –rispondo qualche secondo dopo- In Venezia only ships and vaporetto!”
    Gli yankee.
    I turisti nordamericani.
    Che molto probabilmente partono dalla loro cara U-e$$-Ei convinti di ritrovare una “Venice” artificiale come ce l’hanno loro in California.
    E quindi che puoi chiamare un taxi ad ogni angolo di via, passarti davanti alla fila di un Chef Express alla stazione di Mestre come se nulla fosse, o abbassarti la tapparella del finestrino di un treno senza chiederti se tu sei d'accordo. Loro sono americani. A loro tutto è dovuto. Anche far saltare fuori un taxi fra i calli di Venezia se necessario.
    Venezia a fine della Seconda Guerra Mondiale fu molto contesta dagli Stati Uniti, che con la storia che ci hanno “liberato” (e successivamente occupato…), avrebbero avanzato pretese territoriali sull’isola più bella del mondo. Siamo riusciti a tenercela italiana, ma da allora è letteralmente invasa da turisti statunitensi di medio-bassa fascia intellettiva, il classico elettorato medio che vota Trump o i redneck repubblicani, e che appunto credono e pretendono tutto. E non datemi del solito anti-americanista a prescindere, perché tanto Venezia è purtroppo una colonia nord-americana, almeno dal punto di vista turistico. A Venezia si parla lo “yankee”, in qualsiasi locale entri. La prima parola che i gestori e i camerieri ti dicono è: “Hi!” oppure “Hello!”. Poi, quando capiscono che sei italiano, allora si rivolgono nella tua lingua, che pare, però, quasi complementare.
    Sfatiamo, tuttavia, un luogo comune. A Venezia, in pieno centro storico, si può cenare a cifre ragionevoli. Certo, più alte della media del Nord Italia, ma con prezzi molto lontani da quelli raccontati su terrificanti e lugubri post che girano su internet, dove poveri malcapitati si sono ritrovati in lussuosi bar di piazza San Marco a pagare 100 euro per qualche caffè e un paio di bottiglie d'acqua...;-) In molti ristoranti di Cannaregio sono esposti menù turistici, anche serali, che partono da 11/12 euro. Primo, secondo, contorno. Cifra tonda. Certo, poi ti fregano un po’ con il coperto e con una birra media a 6 euro (per non parlare di una bottiglia d’acqua a 3 e 50…). Ma la formazione: spaghetti allo scoglio + fegatini alla veneziana + contorno + birra Castello alla spina = 20 euro, considerando di cenare nel centro di una città unica su tutto pianeta, direi che ci può stare!
    Quello che non ci sta davvero è il caldo, ma soprattutto l’umidità. Venezia galleggia su una laguna che sprigiona un’afa che credo che manco in Indocina si soffra così tanto. Caldo, sudore, spossamento, fatica. Non riesco a raggiungere piazza San Marco, lo ammetto. Dovrei proseguire Strada Nuova per un po’, passare accanto al Ponte di Rialto e poi esserci, ma in breve il caldo dà alla testa: le luci, i calli, i locali, i canali, l’afa, la testa che non ragiona… Credo di essere da una parte e invece sono da tutt’altra. Devo tornare indietro per recuperare, e invece mi allontano ancora di più. Diventa un’impresa riuscire indenni dal labirinto di Venezia. Con fatica, molta fatica, ritorno indietro e mi barrico in albergo, sotto una doccia e dentro una stanza con l’aria condizionata sparata a mille. No, mi spiace, ma stanotte si sta bene solo qua.

    3 – Svegliarsi a Venezia di mattina mi mancava. Come varchi la porta dell'albergo, lo scenario di calli e canali nel quale ti “immergi” è davvero suggestivo. Strada Nuova, poi, è meno antipatica di ieri sera: la cappa di umidità, seppur presente, ha mollato la sua soffocante presa. Per adesso.
    Mi dirigo verso Fondamente Nove, dove partono i battelli per le isole della Laguna. Ho giusto il tempo di arrivare, fare il biglietto e imbarcarmi sul vaporetto per Burano. Burano, con la B, è una piccola isola della laguna settentrionale, forse meno famosa e meno turistica della più blasonata Murano (con la M), che sorge, invece, molto più vicina a Venezia, e che è celebre per la produzione del vetro artigianale.
    Burano l'ho eletta a tappa della mia improvvisata incursione in Nord-Est, perché nelle foto scovate su internet mi hanno sempre colpito i colori vivaci delle sue tipiche case. Le famose casette colorate di Burano si affacciano sui tre canali (rio) che la percorrono, o per le viette strette che introducono in un labirinto di colori e giochi di luci e ombre in cui è bello smarrirsi. Dalle calle più orientali, che si affacciano sulla Laguna, si ammira in lontananza la bella Venezia. Dopo un'esaustiva esplorazione dell'isola (completamente urbanizzata), pranzo in una tipica rosticceria, di fronte all'imbarco dei vaporetti: baccalà e patatine fritte, accompagnati da un mezzo litro di birra fresca. Questa giornata sarà ricordata per essermi bevuto 4 litri di acqua (più il mezzo di birra) in meno di sette ore. Sarà un tentativo vano, infatti, di combattere il caldo umido e insopportabile, che subito dopo pranzo torna all'attacco del Triveneto.
    Mi dirigo verso Mazzorbo, un'isola accanto, collegata a Burano da un comodo ponte pedonale, che ne fa quasi un appendice. C'è un bel parchetto, lungo le Fondamenta di Santa Caterina, verdeggiante e molto silenzioso. Il paese vero e proprio è spostato più in là, all'incrocio di tre canali. Riprendo il traghetto, torno a Venezia, ripasso dall'albergo di Cannaregio a riprendere i bagagli e mi avvio verso la stazione ferroviaria di Santa Lucia.

    4 – Direzione Friuli. Il primo treno in partenza per Trieste passa da Cervignano, dove ho lo scalo per raggiungere Palmanova, città dove passerò la notte. Il viaggio scorre veloce, ma neppure l'aria che soffia dai finestrini tutti abbassati del vagone sembra rinfrescarmi un po'. A San Donà attraversiamo il fiume Piave, storico toponimo riportato su tutti i libri di Storia che parlano della Prima Guerra Mondiale. La ferrovia, come la statale 14 “della Venezia Giulia”, corre nell'entroterra. La riviera adriatica, una volta passata la laguna di Venezia, è almeno a 15-20 km di distanza. Laggiù sorgono le rivierasche Jesolo, Bibbione e Lignano Sabbiadoro… Il turismo di massa non fa per me, ma in questo momento, con il caldo che mi sta stringendo d'assedio, darei non so cosa per essere fra il caos di quegli ombrelloni e buttarmi capofitto nelle acque del mare più inflazionato d'Italia… Invece, sono a morire di afa su un treno regionale per Trieste, anche se la mia fermata sarà Cervignano, dopo aver passato Portogruaro e, finalmente, il confine regionale con il Friuli, delimitato dal corso del fiume Tagliamento.
    Le due alternative proposte, una volta giunti a Cervignano, erano Palmanova-Udine oppure Aquileia-Grado… Mi ha giocato un brutto scherzo la mia prevenzione verso i luoghi c.d. “turistici di massa”, verso i quali più di una volta nei miei resoconti di viaggio ho mostrato una certa insofferenza. Grado, che fino alla fine mi ha tentato veramente, non ha passato il severissimo esame mentale a cui sottopongo i miei estenuanti viaggi on-the-road in strada statale (cfr. #iononviaggioinautostrada), oppure come in questo caso in treni regionali. Ingiustamente bollata dal Soviet che domina i miei centri decisionali come “città capitalista di mare sede di consumista turismo di massa”, è stata scartata per le sicuramente meno turistiche Palmanova e Udine. Che non sono pentito di aver visitato. Così, ho dovuto rimandare (anche per lo scarso tempo a disposizione di un misero fine settimana) una tappa importante ad Aquileia (bellissima città storica e anticamente l'originale capoluogo del Triveneto, nda) e a Grado, il cui nome riecheggerà in eterno in una famosa canzone di Franco Battiato. “Ho fatto scalo a Grado / la domenica di pasqua / gente per le strade / correva andando a messa / L'aria carica d'incenso / alle pareti le stazioni del Calvario / gente finalmente assorta / che aspettava la redenzione dei peccati” (cit.). Forse per by-passare il divieto imposto contro il turismo di massa, progetterò un viaggio nei mesi invernali. Che mi permetteranno di scoprire una città magica che si affaccia, tra l'altro, come una seconda Venezia, fra il mare Adriatico e la Laguna di Marano.

    5 – La stazione di Cervignano-Aquileia-Grado, posta sulla ferrovia Venezia-Trieste, è abbastanza piccola, ma ha tutto il necessario. Una biglietteria, una sala d'attesa, un'edicola e un bar. Peccato sia sabato pomeriggio e tutto sia chiuso. Tranne il bar. Dove a una bella e simpatica barista chiedo l'ennesima bottiglia d'acqua fredda e informazioni su come raggiungere Palmanova. Mi conferma che i pullman si fermano alla stazione, poco più in là. E che il biglietto si può fare a bordo. Bene. Attendo impaziente il bus, che arriva come da orario. Direzione Udine, ma Palmanova è la mia prima fermata.
    Palmanova è una città udinese famosa per la pianta a forma stellata con 9 punte. Conserva delle bellissime mura antiche e praticamente è tutta raccolta dentro il suo centro storico. C'è una piazza (Piazza Grande), al centro esatto, di forma esagonale, da cui partono tutte vie dritte, che si intersecano con circonvallazioni più o meno parallelepipede, in modo da formare un reticolato simile a una ragnatela. Nel centro esatto della Piazza svetta un alto stendardo. Il Duomo e eleganti bar si affacciano su questa suggestiva piazza. La città è famosa per le polveriere napoleoniche: costruite dall'imperatore francese come depositi di munizioni, oggi sono adibite a sede di mostre. Bello anche il percorso esterno fuori le mura, che corre tutto il perimetro attorno in un verde calmo e rilassante.

    6 – Dopo una notte trascorsa abbastanza insonne (camera d'albergo purtroppo priva di aria condizionata), mi sveglio presto. Così, ne approfitto per fare una sostanziosa colazione e per partire di buon'ora per la volta di Udine. Mi dirigo a piedi verso la fermata dei bus, dove sono sceso ieri, nei pressi della Polveriera di Contrada Foscarini. Ci sono solo pochi viaggiatori, che prendono tutti il pullman in direzione opposta, cioè verso le spiagge di Grado. Io devo attendere ancora qualche minuto prima che arrivi quello per il capolinea di Udine.
    Il viaggio è veloce, Udine dista solo una ventina di chilometri. La pianura friulana è bella piatta e verdeggiante, ma la caratteristica principale è che le Alpi carniche si elevano subito come un muro che delimita una invalicabile frontiera con l'Austria e la Slovenia. Solo di un colore grigio forte, molto acceso, che fa di esse una catena montuosa molto particolare.
    Altra cosa che attira subito la mia attenzione durante il viaggio in bus, è che le indicazioni (sia i cartelli delle località, sia le frecce direzionali) hanno la doppia denominazione linguistica: la prima in italiano, la seconda in friulano. Perché, per chi non lo sapesse, il “friulano” non è un semplice dialetto, ma una vera e propria lingua romanza. Che associata alla cultura e al folklore di questa regione (comprendente le province di Udine, Pordenone e Gorizia) è promotrice di una flebile spinta autonomista e indipendentista. Non quella che sogna la Lega Nord per tutto il Nord Italia, ma proprio un movimento che raccoglie solo ed esclusivamente le tradizioni di questa terra, e che sogna molto probabilmente una Repubblica del Friuli vera e propria.
    Arriviamo a Udine che non sono neanche le 9 di mattina. Autostazione, e fortunatamente un deposito bagagli attivo. Il gestore mi regala anche gentilmente una mappa del centro storico e mi dà le prime indicazioni per raggiungerlo.
    Porta Aquileia, una delle due porte del vecchio centro storico ancora perfettamente conservate. Immette sulla lunga e dritta Via Aquileia che lentamente conduce verso il centro antico. Piazza della Libertà, notevole per la Loggia del Lionello (loggia pubblica in stile gotico-veneziano) e la dirimpettaia Torre dell'Orologio (inglobata nella Loggia di San Giovanni). Si sale verso il Castello, posto su una sommità da cui si domina l'intera Udine: è una fortezza in stile romano-cinquecentesco, dotata di un notevole spiazzo erborso. Dall'altra parte si scende più a rotta di collo verso la grande Piazza I Maggio (detta anche Giardin Grande), largo spazio molto verdeggiante, che culmina con la facciata del Convento dedicato a Maria B.V. delle Grazie. Torno verso il centro percorrendo via Portanuova, uno stretto vicoletto che sbuca nei pressi di piazza San Cristoforo. Più che le vie e i corsi (elegantemente porticati), stupiscono, perciò, di Udine le raffinate piazze. Una di queste è Piazza San Giacomo (detta anche “delle Erbe” o “del Mercato Nuovo”), piena di locali e caffetterie sotto i portici. Un'altra più piccola e meno affollata di domenica mattina è Piazza XX Settembre, detta anche “dei Grani”. Infine, piazza Duomo, dove sorge la milleduecentesca cattedrale di Santa Maria Annunziata.
    Parecchio fuori dal centro, in piazzale XXVI Luglio, sorge il Tempio Ossario dei Caduti d'Italia durante la Prima Guerra mondiale; oggi, purtroppo, sovrapposto dalla parrocchia di San Nicolò Vescovo. Dico purtroppo perché il tempio-ossario, come ogni luogo del genere, andrebbe visitato nelle vesti di una costruzione civile e militare, e non inserito in una struttura ecclesiastica che, soprattutto durante le messe della domenica mattina, stona un po' con le caratteristiche dell'edificio. Sulle pareti interne sono incisi i nomi di 25 mila militari italiani caduti durante la Grande Guerra del 1915-18 e sepolti in quei loculi. A ridosso della facciata si ergono quattro imponenti statue, raffiguranti un fante, un aviatore, un alpino ed un soldato della marina. Il Friuli diede tanto alla causa del Risorgimento italiano, e al di là delle già citate spinte autonomiste di oggi, il ricordo del valore e del sacrificio degli Arditi (quelli originali, cioè prima della svolta fascista degli anni '20 e della secessione degli “Arditi del Popolo” di ispirazione più marxista-leninista, nda) ancora oggi riecheggia per le vie del centro di Udine: scritte sui muri, adesivi, manifesti. Forse Udine per alcuni non sarà italiana ma solo friulana, ma l'orgoglio che mosse quei soldati che partirono per il fronte austro-ungarico cento anni fa, coltivando l'ideale utopico di una nazione libera, unita e democratica, ancora oggi si respira a pieni polmoni passeggiando per le strade di questa città...

    7 – La gita a Udine, e nel Friuli, si conclude alle 12:35 di domenica mattina, quando il regionale per Venezia parte in perfetto orario con me a bordo. Il viaggio verso casa sarà fatto tutto così: 437 km di treni regionali o regionali-veloci, con l'Udine-Mestre che addirittura si ferma in ogni stazione. Ma sarà un viaggio piacevole, che mi permetterà di attraversare il Friuli occidentale (Pordenone, Sacile) e l'Alto Veneto (Conegliano, Treviso). 40 minuti di coincidenza a Venezia-Mestre, solo 6 a Verona Porta Nuova, un'altra mezz'oretta a Milano Lambrate.
    Alla fine arrivo alla stazioncina di Bressana Bottarone alle 19:35 di una domenica sera che si è rinfrescata parecchio, rispetto a quando sono partito. Domani è lunedì, si ricomincia daccapo con i grandi dilemmi della vita. Ma almeno, per una volta, li affronteremo con uno spirito diverso e sicuramente che esce più rafforzato dall'ennesimo viaggio e dall'ennesima esperienza on-the-road (anzi, on-the-railway) della mia vita.

    Edited by Liutprando - 8/11/2020, 17:17
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