MIRKO CONFALONIERA

  1. ADRIATIC ROAD 9: INFINITY
    #iononviaggioinautostrada

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    ADRIATIC ROAD
    By Liutprando il 22 Oct. 2019
     
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    in memoria di Antonio Croce (1953-2019)
    Ci sono tantissimi oste in tantissimi bar,
    ma quello che avevamo noi a Castelletto Po
    non lo troverò mai,
    neppure se dovessi viaggiare
    in ogni angolo inesplorato del mondo.


    I.

    Questo viaggio inizia in una camera ardente. Nella minuta stanza allestita per l’evento funebre, al suo interno ci siamo soltanto io e poche altre persone. Qualcuno mormora fra sé e sé. Io no, io sto ritto in piedi proprio di fronte alla bara aperta che raccoglie al suo interno le spoglie dell’amico Oste. Era capitato spesso che il bar Mary Flowers di Castelletto Po fosse un antipasto a base di birra e chiacchiere di molti miei viaggi, stradali e no. Soprattutto c’era la certezza che sarebbe stato un punto di ritorno, dove l’Oste puntualmente mi avrebbe chiesto come sarebbe andata, passandomi sul bancone la birra in lattina e un boccale da media. Chiamandomi “Assessore”, com’era solito fare, perché lui aveva soprannomi per molti di noi. D’ora in poi non sarà più così e la piccola cittadina di Castelletto, situata pochi chilometri distanti dalla statale 35, non sarà più uguale. Uno squarcio di “Louisiana alla pavese”, una terra attraversata dal fiume Po, fratello minore in un “Mississipi italico”, un honky-tonk di paese, come tanti, con il suo Oste da moderno saloon. Sono cresciuto in questo bar, che oggi, proprio oggi, sembra dirmi addio. Niente. La vita. Un sorso di birra. Le chiacchiere e le polemiche astruse di Bubba Boy. La strada. E il lungo viaggio che ho davanti ai miei occhi.
    “Mannaggia, Oste… mannaggia!”.
    Non c’è nulla che mi rilassi. Neanche una canzone della mia compilation mp3 all’autoradio. Figuriamoci una sigaretta. Oggi mi pare di inspirare catrame cattivo andato a male. Di solito lo adoro. Il profumo d’asfalto e anche quello di smog e traffico di strade statali. Quelle padane hanno un suo perché. Si diramano all’infinito verso una pianura, schiacciata fra le Alpi e gli Appennini, che si allargano a formare il nostro Texas, quella parte di Nord-Italia che si chiama in realtà Lombardo-Veneto. Adoro percorrere queste strade e perdermi in esse.
    Ma oggi non molto.
    Cielo grigio sul mondo intero. A cominciare già dal confine lombardo-emiliano fra Stradella e Castel San Giovanni. I poggi appenninici dalle parti di Arena Po costringono la statale 10 a fare curiosi e divertenti su e giù. Quasi come sopra una giostra, ma per nulla divertente. Niente sosta rifornimento alla stazione di servizio di Sarmato, dove il GPL costa davvero una pochezza. Ho un pieno di benzina, il primo che ho mai fatto in vita mia, cioè da quel lontano 1993 quando strappai la patente di guida, sostenendo la prova pratica con qualche linea di febbre, non rispettando il limite di velocità in viale Repubblica a Pavia e mai pensando di riuscire a prendere il foglio rosa a fine mattina e che un giorno avrei fatto della guida stradale la mia più grande e irrevocabile passione. Da quando avevo 19 anni fino ad oggi ho sempre e solo avuto automobili a gas. Peccato che recentemente ho dovuto cambiare la bombola sulla mia Matiz (perché una legge italiana dice che ogni dieci anni bisogna sostituirla) e altrettanto peccato che devo attendere il collaudo per poter circolare a GPL. Peccato, ed è ultimo, che quest’ultimo sarà a fine settembre. Le solite logiche all’italiana. Una seccatura burocratica che non ci voleva, visto che d’estate il GPL costa di meno e rende di più.
    Supero Piacenza come sempre percorrendo la veloce tangenziale, che dall’innesto con la 45 per la Val Trebbia fino alla mia uscita è pure a doppia carreggiata. In un attimo sono di nuovo sulla “10”, ma stavolta in direzione Cremona, al di là del fiume Po. Aggiro la città del Torrazzo grazie alla sua tangenziale, che la circoscrive fino a rimettermi sulla “Padana Inferiore”, stavolta già ad est del centro cittadino.
    Questa parte di pianura Padana è piatta, assomiglia a un immenso deserto verde che si protrae all’infinito. Quando l’ho percorsa la prima volta mi è venuto subito in mente il soprannome di “Texas Padano”. Spesso mi fermo al RistoBar dell’Autista, posto subito dopo Pessine Cremonese. Sembra una tipica stazione di servizio, una di quelle che si vedono nel film americani: pompe di benzina, auto e camion parcheggiati sull’enorme spiazzone di catrame, una curiosa locomotiva che s’alza imponente sulla soglia della strada, e un edificio piccolo ma accogliente che serve al suo interno da mangiare, da bere e anche solo da stuzzicare ai passanti. Le ragazze dietro al bancone cambiano sempre a ogni mio passaggio, ma sono sempre belle. Fra i campi di melone delle provincie di Cremona e Mantova ci deve essere una fabbrica di belle ragazze. Non ho altre spiegazioni a riguardo. Un caffè o una birra e la lettura veloce di quotidiani locali sono un mio “must” in questo baretto di camionisti, agricoltori e passanti alla ricerca di viaggi anticonformisti come i miei; ma oggi proprio non riesco. Sto scappando dai miei ricordi.
    O da qualcos’altro?
    Dopo l’attraversamento del fiume Oglio sono in terra mantovana. Attraverso internamente solo Ospitaletto e Castellucchio, il resto scivola via grazie a varianti e circonvallazioni esterne. Mantova potrei aggirarla da sud, prendendo la tangenziale e sbucando attraverso il quartiere Té Brunetti a Frassine. Ma sono poche le volte che ci riesco: è più forte di me penetrare questa bella città segundo la “10” e ammirare il suo bellissimo colpo d’occhio dalla Rocca Sparafucile alla fine del ponte sul Lago di Mezzo. Anche qui: molte volte mi fermo e scendo dall’auto solo per volgere uno sguardo a questo paesaggio quasi fiabesco. Oggi, manco a parlarne. Voglio solo arrivare a Bonferraro, prima tappa notturna di questo attraversamento spazio-temporale, mangiare qualcosa e addormentarmi nel gelo di un condizionatore sparato a mille. Di fare serata a Mantova alla ricerca di emozioni forti e trasgressive manco a parlarne. Quindi, in successione, non se ne parla neppure di fermarmi a Castel d’Ario a farmi un selfie accanto alla statua dedicata a Tazio Nuvolari, né tanto meno prendermi un aperitivo al Bar Cantoniera, che sorge sul confine regionale lombardo-veneto. Tiro dritto fino alla piccola frazioncina della bassa Veronese con pensieri in testa che non sono certo dei più raggianti.
    Guardo la Livietta seduta accanto a me, il morbido cangolino di peluche che mi porto sempre dietro durante questi on-the-road alla Jack Kerouac dei poveri. Mi fissa con i suoi occhiettini di plastica neri senza dirmi alcunché. Niente, oggi non ho manco la forza e l’ironia di farle dire qualche battuta delle sue per tirarmi su.
    Questo viaggio è inziato male. Molto male.

    II.

    Le prime volte mi fermavo a Bonferraro in funzione di Mantova. Bonferraro è una frazione di Sorgà, piccolo comune della Bassa Veronese, che ha un affittacamere, la Residenza Stazione, bello e a prezzo economico, e la bella città di Mantova, perla architettonica della Val Padana subito al di là del confine lombardo-veneto, dista appena una ventina di chilometri. Col tempo, ormai, mi fermo a Bonferraro, perché voglio stare a Bonferraro... E’ diventata una tappa obbligata negli anni, una seconda “Castelletto Po” (il mio paese natio), dove ho imparato a sentirmi a casa (anche se Casa per me è un concetto un po’ strano), a conoscere amici e a passare serate spensierate e soprattutto scacciapensieri. L’ideale per quelli che ho in testa da stamattina.
    Statale 10, chilometro 309. Difficile per uno come me non innamorarsi di questo piccolo borgo attraversato dalla Statale per Monselice, che ricorda la classica cittadina del Texas originale attraversata da una freeway per la California. E io, infatti, ci sono andato lentamente “sotto”, tant’è che ho voluto fortemente farne nello scorso marzo una delle mie tappe della tournée di presentazioni al pubblico del mio romanzo “Io non Viaggio in Autostrada” (edito da Albeggi Edizioni).
    Ceno sempre ottimamente al “Natural Cuisine” gestito dagli ormai amici Andrea e Giulia (una cucina basata sulla tradizione culinaria veronese-mantovana senza glutine), un ristorante che ormai – per chi mi legge e mi “segue” – non ha più bisogno di presentazioni. Se passate da queste parti e volete assaggiare i sapori di questa, questo è il posto giusto per una tappa! Stasera mi indirizzo verso un piatto di “mare” (siamo in pianura, ma non molto distante ormai dalla Laguna Veneta) e assaggio per la prima volta in vita mia un eccellente cous-cous al nero di seppia condito con cozze, vongole, calamari gamberi rosa e verdurine abbrustolite; di contorno sfogliata di patate, monteveronese, topinabour e salsa al sedano. Bottiglia di vino rosso dell’Oltrepò Mantovano e selezioni di grappe a volontà. Con i due ragazzi si ride, si scherza, si chiacchiera e si ricordano alcune serate trascorse qua in compagnia di Juri e di Petrus, e di dopocena movimentati in quel di Mantova… E non potevano mancare gli aneddoti sulla bellissima serata della presentazione del libro a Villa Bra (una elegante milleseicentesca dimora), con Juri che mi fece da relatore, con Leonardo – un cantastorie di Legnago - che si esibì dopo di me, con Andrea e Giulia che si occuparono del catering post-evento, con Valentina che organizzò la visita al Museo della Civiltà Contadina: un bel successo di pubblico. Ebbi un certo fascino da queste parti all’epoca e a parte un paio di miei libri tutt’ora esposti nella vetrinetta del locale, venendo qua mi ha colpito la telefonata di conferma alla Residenza Stazione verso le sei di pomeriggio:
    «Salve, sono Mirko Confaloniera, ho una stanza prenotata per questa notte e…»
    «Ah! Mirko! Lo scrittore di Pavia?»
    Momenti rari di genuine soddisfazioni della passione che coltivo più di tutte.
    Dopo che butto giù l’ultimo cicchetto di squisita acquavite, saluto i ragazzi come sempre, dando loro l’arrivederci al prossimo viaggio. Andrea e Giulia mi augurano buon viaggio (sarà ancora molto lungo) e io esco dal ristorante con la pancia piena e la testa stranamente più sgombra di cattivi pensieri.
    Non ho ugualmente voglia di raggiungere Mantova in auto e di recarmi, per esempio, a La Zanzara (un chioschetto lungo le rive del lago, dove nei week end estivi c’è musica dal vivo), così decido di restare nella piccola Bonferraro, stasera tinta a festa per la sagra di paese. L’essenziale: in piazza Repubblica un paio di giostre, un chiosco della birra alla spina e una band che omaggia i presenti di cover dei Nomadi.
    Preferisco andare a salutare Damiano, che gestisce la pizzeria d'asporto "Era Ora", che sorge proprio sulla Statale, a pochi passi dal “Natural Cuisine”. Ormai anche il suo locale mi sembra di appartenermi e di rivedere vecchi amici, oppure di conoscerne di nuovi, tipo Riccardo col quale passo la serata fra vodke ghiacciate e birre a parlare di musica, cultura punk, politica e altro... Che dire? Il Veneto è il top! Ed è riuscito incredibilmente e contro ogni previsione a farmi passare un venerdì sera spensierato, allegro. Ora sì che sono contento di essere in viaggio. Soprattutto lungo una Strada, come piace a me.

    III.

    Sabato mattina. Mi sveglio tardi. Le grappe di Andrea e le vodke di Damiano più la pace e la tranquillità della “Residenza Stazione” hanno creato un mix perfetto per mettermi k.o. per parecchie ore. Mi rimetto in strada a bordo della mia Matiz (dopo aver ri-salutato Damiano che è dentro il locale a sistemare alcune cose) e imbocco la Statale 10 in direzione Est. Con me come sempre c’è la Livietta adagiata sul sedile passeggero: la mia cagnolina di peluche e mascotte di tutti i viaggi on-the-road in giro per l’Italia. Oltre a bagagli e zaini gettati sui sedili posteriori, c’è anche uno scatolone di libri di “Io non viaggio in Autostrada”: mi serviranno mercoledì sera a Sant’Elpidio a Mare, dove ho una presentazione pubblica (quest’anno è già la quattordicesima). Ci vorrà tempo (e soprattutto tanta strada) prima di allora. Ora c’è il Veneto del Sud da attraversare e il Delta Padano da raggiungere.
    Queste strade le conosco praticamente a memoria: la SS 10 l’ho percorsa più volte fino al suo naturale capolinea che è Monselice. Ma ogni volta provo a fare percorsi alternativi, strade parallele, cercare insomma di vedere e “esplorare” posti nuovi lungo la nostra immensa Val Padana. A Nogara, paesone di 8 mila anime, alla mega rotonda che segna l’intersezione con la statale 12, prendo quest’ultima ma in direzione sud. Dopo qualche chilometro in prossimità di Ponte Molino un cartello mi fa capire di rientrare in Lombardia, praticamente in quel lembo di territorio mantovano che si protrae a est con una forma conica. Non arrivo fino a Ostiglia, un po’ prima raccolgo la deviazione sulla ex statale 482 “dell’Alto Polesine”, che collega Mantova con Badia. Poco più in là sono di nuovo in Veneto. Una bella strada, larga, dritta e poco trafficata. E gran parte dei centri sono tagliati fuori da comode circonvallazioni esterne. Praticamente costeggia il corso del fiume Po sul lato sinistro del fiume fino alle porte di Ferrara. A Castelmassa devio sulla SR 6, che si avvicina ancora di più all’argine del corso d’acqua. Oltrepasso fuori dal centro il borgo di Ficarolo, inconfondibile per la caratteristica unica del suo campanile pendente. Credevate che solo Pisa potesse vantare una torre storta? Si può ammirare anche in questo paesino di duemila abitanti questa torretta di circa 70 metri che penzola stralunata di ben 2,8 gradi. Subito oltre il ponte sul fiume Po inizia (o finisce, a seconda dei punti di vista) l’immenso territorio pianeggiante dell’Oltrepò Mantovano, che ho avuto modo più volte di descrivere in precedenti viaggi.
    Man mano che mi avvicino alle porte della emiliana Ferrara (posta al di là del fiume), ma restando comunque in terra rodigina, gli agglomerati urbani si fanno più densi e cominciano a rifiorire zone artigianali e centri commerciali a ridosso dello svincolo autostradale di Occhiobello. Mi fermo nel parcheggio di un supermercato per mettere qualcosa fra i denti. In una panetteria lungo la strada mi sono fermato un paio di minuti fa per acquistare due ciabattine e una lattina di birra. Ora è il momento di assaporare due pezzi di stortina che ieri sera Andrea e Giulia mi hanno gentilmente regalato e offerto come pranzo per il viaggio verso il Polesine. La “Stortina Veronese” è un piccolo salame che si conserva sotto lardo in modo da mantenerla fresca. I ragazzi mi hanno spiegato che il nome deriva dalla forma leggermente ricurva che i salamini assumono appena insaccati. Ho tempo di un piccolo break, di sgranchirmi le gambe e di fumare una sigaretta. Poi mi rimetto in marcia. Alla prima grossa rotonda mi immetto sulla statale 16, la lunga direttrice “Adriatica” nord-sud, che accompagnerà il mio viaggio fino in Puglia. Dopo il ponte sul fiume Po entro in Emilia a nord di Ferrara.

    IV.

    Percorrendo la lunghissima Via Padova, che mi conduce lentamente verso Ferrara, mi fermo al primo bar-tabacchi che scorgo sulla mia destra. La Stortina era molto buona e deliziosa, ma mi ha messo un’insolita sete. Sorseggio prima una birra Peroni da 66 per rinfrescarmi e subito dopo un amaro per digerire il mio sostanzioso pasto e aprire la bocca a una nuova sigaretta che fumerò fra poco. Il bar-tabacchi è piccolo, stretto e allungato verso il fondo, con il bancone posto sul lato destro. Sono l’unico cliente e il gestore sta pazientemente pulendo e sfilettando un grosso pesce che molto probabilmente sarà il suo pranzo.
    Di nuovo a bordo della mia auto penetro nei quartieri nord di Ferrara, ma non attraverserò la città. Via Bacchelli costeggia le bellissime Mura medievali settentrionali e subito dopo la SP 2 mi dirige verso la campagna, in direzione est. Copparo segna l’inizio dell’area denominata “Grande Bonifica Ferrarese”, una piatta porzione di pianura caratterizzata da strade dritte e campi a perdita d’occhio senza incrociare alcuna costruzione. Una volta tutta la zona compresa fra il fiume Po e le cittadine di Copparo, Tresigallo e Codigoro era un’immensa distesa di paludi, laghi e zone umide. Solo verso la fine del XIX secolo l’allora Regno d’Italia iniziò una vasta opera di prosciugazione e bonifica con la costruzione di canali, corsi d’acqua, strade, fabbricati. Da queste parti si può incrociare solo il piccolissimo borgo di Jolanda di Savoia (il nome è un omaggio alla principessa primogenita del re Vittorio Emanuele III), che detiene il record di comune più “basso” d’Italia (la località Corte delle Magoghe si trova a 3,44 metri sotto il livello del mare).
    Percorro la SP 60 addentrandomi in questo territorio lunare e proteso all’infinito, ma pochi minuti dopo arrivo all’innesto con la statale “Romea”, la direttrice più importante (e più trafficata) di queste zone, che collega Mestre con Ravenna, attraversando luoghi veramente belli e affascinanti come la Laguna di Venezia, Chioggia, il Delta Padano e i Lidi di Comacchio. Mi dirigo verso Bosco Mesola, dove ho prenotato un alloggio per due notti all’Hotel La Fenice. Come si intuisce dal toponimo, il borgo sorge vicino all’omonimo bosco, una riserva naturale di oltre 800 ettari ricca di lecci, tamerici, pini, salici, pioppi e querce. Rinvio al prossimo inverno un’escursione in questa meravigliosa foresta che sorge sul Delta del Po “ferrarese”. D’estate, purtroppo, il caldo mi sfianca e dopo tre lunghi mesi a sopportare caldo atroce, afa, umidità, zanzare e quant’altro, in questo fine settimana ho voglia solo di mare.

    V.

    I due giorni sul Delta Padano trascorrono lenti e tranquilli. Nel pomeriggio di sabato mi reco alla “mia” spiaggia per eccellenza, quella del Lido Jamaica, che sorge in località Barricata, la punta sud-est dell’intero Delta. E’ un’isola dalla forma vagamente trapezoidale, che sorge fra gli ultimi tratti del ramo Po di Tolle e il mare aperto. Fino all’anno scorso c’era un vecchio ponte delle barche che collegava l’”isola” della Donzella con questa piccola striscia di terra. Da quest’anno mi accorgo che il vecchio pontile è stato sostituito da un più moderno ponte mobile, che si chiude e si apre a gomito per permettere il passaggio delle numerose barche che navigano in queste acque.
    Il “Jamaica” è posizionato in un punto strategico (alla punta meridionale dell’isola) e da come si può intuire dal nome è un lido molto alla mano, dove passare un pomeriggio di sole, mare e relax spaparanzato su un lettino in riva al mare costa solo 5 euro. L’acqua dell’Adriatico da queste parti ha un sapore salmastro, per via delle numerose confluenze dei bracci di Po, ma assicuro che l’acqua è limpida e trasparente, cosa molto rara in altri punti della riviera.
    Al tramonto, rientrando verso l’albergo, mi godo come sempre il passaggio lungo la Sacca degli Scardovari, che a quest’ora del giorno è sempre molto suggestiva. Le “sacche” sono dei golfi marini poco profondi di acqua salmastra e quella degli Scardovari è la più grande del Delta. Al suo interno si possono ammirare centinaia di trespoli, strutture di legno adibite alla coltivazione di cozze e vongole. Sulle sponde orientali della Sacca si possono notare, invece, le capanne dei pescatori, poste su palafitte che le sorreggono sui primi tratti di acqua. Lo scenario ad ogni mio passaggio è sempre bello ed emozionante.
    Tutta questa zona l’ho descritta minuziosamente nei miei precedenti viaggi on the road in Polesine e e nel romanzo “Io non viaggio in Autostrada”, per cui per maggiori dettagli vi rimando a quei riferimenti. Mi limiterò a concludere il racconto del sabato sera con una piacevole tappa a Lido delle Nazioni (una dei sette lidi ferraresi, appena più a sud del Delta), dove ho assistito a un concerto di strada di un gruppo cubano, che riproponeva in chiave “salsa” alcune dei pezzi classici della storia della musica. Il pomeriggio di domenica, invece, l’ho trascorso alla spiaggia delle conchiglie (sempre a Barricata, ma nella punta meridionale dell’isola della Donzella), dove ho conosciuto Antonio, un cinquantenne simpatico e molto pittoresco, che sembrava uscito direttamente dagli anni di piombo, con il quale ho scambiato diverse chiacchiere su politica, società moderna, storia e altro. Infine, una menzione speciale su quanto si mangia bene all’Hotel “La Fenice” di Bosco Mesola. Davvero un bell’alloggio, prezzi modici (25 euro a notte, io avevo una stanza con letto matrimoniale e bagno privato) e menù con piatti abbondanti a prezzo turistico a ogni pasto del giorno. Insomma, da queste parti non si trova nulla di tutto questo: pollice su! Domenica sera resto nella piccola frazione di Mesola a passeggiare fra i suoi pochi ma affollati locali. In ogni bar noto che molta gente è seduta a vedere la TV, dove trasmettono la partita fra Atalanta e SPAL. In un circolo ACLI, sulle pareti del locale, noto fotografie, sciarpa e maglia della squadra di calcio ferrarese. Mi accorgo che in questa terra di confine della provincia emiliana sono molto tifosi della SPAL, anche se, ahimè, perderà la partita d’esordio con i bergamaschi per tre a due.

    VI.

    Lunedì mattina si riparte per una tappa verso le Marche. Prima di raggiungere il centro Italia, ho un puntello a Comacchio con Alessia, una mia amica di Castelletto Po che sta trascorrendo, come ogni estate, le sue vacanze da queste parti. Sono lì in una mezz’oretta, percorrendo la statale Romea in direzione sud. Ritrovo nel parcheggio del supermercato che c’è di fronte ai Trepponti. Soliti convenevoli e conoscenza della sua amica mantovana di nome Cristina.
    Anche Comacchio l’ho già visitata parecchie volte in precedenti viaggi: è una bella cittadina solcata dai canali delle acque dei un ramo meridionale del Po di Volano, che le danno l’aspetto di una piccola Venezia situata sulla terra ferma. Il piatto tipico per eccellenza è l’anguilla. Il top è degustarla stando seduti sulle grosse chiatte ormeggiate su questi canaloni e adibite a verande esterne dei tanti ristoranti. Nei pressi del Ponte degli Sbirri, però, optiamo per uno snack altrettanto tipico e caratteristico, il panino con l’anguilla marinata, offerto dalla “Bottega di Comacchio”, piccolo negozio con possibilità di mangiare panini e piadine farciti con altre specialità della zona, tra cui pancetta e la salama. All’esterno, sotto il tendone addobbato con caratteristiche reti da pesca e seduti a un tavolino, gustiamo il tutto anche con un ottimo vino rosso della casa.
    La passeggiata riprende e in un alimentare posto in Galleria Fogli, facciamo la conoscenza del simpatico titolare Marco, che ci offre un assaggio della “Zia Ferrarese”, un salume tipico che ha questo strano e insolito nome. In realtà è un eccezionale prodotto di qualità, composto da carni scelte di suino amalgamate a vino bianco, sale, pepe e aglio, racchiuse nello spesso budello: «Al Ziec», come si dice in ferrarese, poi evoluto in «La Ziè», ed infine italianizzato in «La Zia». Il simpatico gestore, originario del parmense, ci racconta che “il panino con l’anguilla” è il classico cibo per turisti che i locali sdoganano ai passanti, abbindolandoli che sia la sciccheria del posto: in realtà, ci racconta Marco che i comacchiesi l’anguilla la mangiano in modi molto diversi e che solo pochi ristoranti della città la servono ai clienti secondo la vera e antica ricetta. Prometto di ripassare, di fare ampia spesa nella sua bottega di alimentari tipici; in cambio mi dirà in quali ristoranti di Comacchio sedermi per degustare la vera anguilla ferrarese.
    Poco dopo io e le ragazze ci salutiamo nel parcheggio dell’ IperCoop dove abbiamo lasciato le auto. Loro tornano verso le spiagge, mentre io mi proseguo il mio ancora lunghissimo viaggio verso sud. Recupero la SS “Romea” dove l’avevo lasciata, cioè nei pressi di Porto Garibaldi. L’ultimo dei sette lidi di Comacchio è quello di Spina, poi la SS 309 corre su uno stretto istmo di terra fra il mare e le grandi “Valli di Comacchio”, una vasta zona umida di acqua salmastra. Raggiungo Ravenna, circonvallata da veloci tangenziali che mi re-immettono sulla Statale 16, che sarà a doppia carreggiata o comunque a scorrimento veloce per molti chilometri. Cervia, Cesenatico, Bellaria: le note località balneari della Romagna vengono saltate vie in fretta. Così pure il primo tratto di Rimini, ma non quello dove hanno mantenuto una piccola serie di semafori sulla sua tangenziale a quattro corsie. Mi fermo come sempre al bar della stazione di servizio IP dopo lo scempio degli incroci semaforici in tangenziale. Di solito questa è una tappa per il rifornimento GPL, ma visto che sono obbligato ad avanzare a benzina, mi concedo solo una sosta per bere qualcosa e sfogliare qualche quotidiano locale all’interno del baretto. Pochi clienti, ma simpatici. Scambio due battute con uno di loro e con la bella ragazza che c’è dietro il bancone.
    Si riparte e ora inizia uno dei tratti più trafficati della statale Adriatica, cioè l’attraversamento urbano di grossi centri come Miramare, Riccione e Misano Adriatico. Sono tutti attaccati a Rimini e formano una specie di megalopoli balneare che con Cattolica è lunga più di 25 chilometri. Fortunatamente quest’ultima è dotata di una variante esterna che punta dritto alle pendici dei colli pesaresi. Il ponte sul fiume Tavollo segna il confine con le Marche.

    VII.

    La statale 16 passa alle spalle dei suddetti colli pesaresi che impediscono la vista del mare. C’è una strada alternativa che da Gabicce Mare (connessa a Cattolica) percorre tutti gli scollinamenti. Luca, un amico originario di questa zona, mi racconterà che ci solo alcune belle calette sul mare. Mi riprometto un giorno di percorrere la strada panoramica che collega Cattolica con Pesaro attraverso Gabicce Monte, ma per ora come al solito tiro dritto sulla mia “freeway” in direzione California, ancora molto lontana.
    In questo tratta la strada è caratterizzata da lievi pendenze e da tratti a tre corsie alternate, che permettono il sorpasso agevole in certi punti. Cartelli segnaletici indicano che sono già all’interno del territorio comunale di Pesaro. La “16” attraversa il capoluogo marchigiano da est a ovest, tagliando via però il centro storico con un cappello ad angolo retto, che poi proietta la strada fuori sulla riviera di ponente. Sono in viaggio da qualche ora, le più calde della giornata e facendo un rapido calcolo mentale di quanto manca alla mia tappa notturna, suppongo di avere una mezz’oretta buona per una sosta. Ne approfitto, così, per conoscere per la prima volta le rinomate spiagge di Pesaro Sottomonte. Situata sotto il colle Ardizio che si innalza a strapiombo subito dopo la sede ferroviaria e stradale (che corrono parallele), la litoranea meridionale è formata da belle spiaggette libera, dalle acque molto pulite e limpide. Una fila intermittente di scogli posti in acqua divide dal mare aperto. C’è ancora un po’ di gente, nonostante siano le sei di pomeriggio di un lunedì di fine agosto. Ne approfitto per un bagno rinfrescante e tonificante. Viaggiare sulle strade nazionali italiane è anche e soprattutto questo: è la libertà di fermarsi dove si vuole, appena si vede una spiaggia che piace, un posto che incuriosisce, un locale che attira più la mia attenzione di altri. Altroché pagare costosi pedaggi su quelle anonime autostrade caratterizzate solo da omologati autogrill tutti identici l’uno con l’altro.
    Certo, il tempo purtroppo non gioca un fattore amico. Sia ben chiaro, io me ne starei su questa spiaggetta fino a mezzanotte e viaggerei senza orari e all’infinito. Ma un orario purtroppo ce l’ho. Devo raggiungere la cittadina di Osimo entro e non oltre le otto e mezza. Dopo una veloce asciugata, mi rivesto e mi rimetto in marcia.
    Anche Fano è attraversata internamente, ma la “Adriatica” gira attorno alle bellissime Mura Medioevali, perfettamente ben conservate da Ponte Astalli fino al Bastione San Gallo, nei pressi della stazione ferroviaria. Molto bello da ammirare il Bastione dei Nuti (poco oltre a piedi si raggiunge l’Arco di Augusto) che delimita l’inizio del centro storico. Fano è una bella cittadina, l’ho visitata anni fa durante un on the road invernale verso la Puglia. La storica cittadina pre-romana è capolinea della statale 3 “Flaminia” (Roma-Terni-Foligno-Fano), che è l’erede della consiliare “Via Flaminia”, che una volta aveva diramazioni anche per Rimini e Ancona (oggi sovrapposte dalla SS Adriatica). Fano è famosa per il brodetto (una sorta di “cacciucco” all’adriatica, che da qui in giù, fino a Vasto, caratterizza la cucina di mare con piccole varianti di città in città); anche se io, in maniera un po’ sacrilega, ormai quando mi fermo faccio sosta alla kebapperia accanto alla stazione ferroviaria. Amo i kebappari accanto o di fronte alle stazioni ferroviarie. Avete mai fatto caso che in ogni città, nei pressi della stazione centrale, sorge sempre un locale che vende kebap? Chissà perché.
    Si corre in direzione sud-est lungo la 16, oltre il caratteristico ponte sul fiume Metauro, ornato dalle solite quattro grandi colonne di pietra che sorreggono bracieri di bronzo e statue aquile, ricordando la storica battaglia fra Romani e Cartaginesi del III secolo a.C.. Si scivola via alle spalle di centri balneari come Torrette di Fano, prima di attraversare il primo centro, che è Marotta, popolosa frazione di Mondolfo. Consiglio lungo la strada la “Pidineria Bibi”, tanto cara al mio amico violinista Diego, che me la fece conoscere durante un viaggio condiviso grazie a “bla bla car” di alcuni anni fa.
    Dopo il fiume Cesano inizia il territorio di Senigallia, da pochi anni tagliato fuori da una moderna variante che costeggiando un tratto di A14 permette di raggirare il centro e di sbucare fuori già nei pressi di Marzocca. Anche se è un po’ un peccato tagliare via la cittadina anconetana di quasi 50 mila abitanti, ricca di monumenti e di scorci che meritano una sosta, come la Rocca di Senigaliga, il Foro Annonario, la Nuova Piazza Garibaldi e il colorato lungofiume Misa. Dopo la già citata Marzocca, attraverso Montemarciano, da dove si intravedono già le gigantesche ciminiere della zona industriale di Falconara Marittima. La “nuova” 16 sterza veemente e punta nell’entroterra. La bella Ancona che sorge là ai piedi delle prime colline del Conero resta tagliata fuori. La veloce tangenziale a doppia carreggiata mi porta fino all’uscita per Osimo. Sono immerso in un paesaggio collinare che al tramonto sorprende ancora di più con i suoi caratteristici colori. Paesini immersi su questi poggi incantati, come Aspio e il successivo San Biagio. Ecco Osimo, cittadina di 35 mila abitanti distesa su un colle di 260 metri. Ci passerò la notte e scoprirò un’altra meraviglia attraversata dalle strade statali nazionali.

    VIII.

    Non ero mai stato ad Osimo prima di questa sera. Per me ha rappresentato per anni solo l’uscita autostradale (quando ci viaggiavo) di “Ancona Sud”, che aveva la doppia denominazione, e una stazione ferroviaria parecchio a est del capoluogo e immersa nella vallata dei centri commerciali fra le alture del Conero e i poggi appenninici. Sapevo poco e nulla su questa cittadina o forse avevo sentito qualcosa di particolare sulla sua storia, oppure no, forse è stata davvero una scommessa vinta passare una serata quassù. Cinta da potenti mura romane risalenti al II secolo a.C., Osimo era definita la “metropolis piceni”, la più importante città del Piceno, roccaforte imprendibile fin dai tempi più remoti. Oggi è sicuramente famosa per l’appellativo della “Città dei Senza Testa”. Rinchiuse nel Palazzo Comunale di Osimo ci sono dodici statue romane acefale ad altezza reale, che rappresentano personaggi romani in toga. Esse dovevano abbellire l’antico foro romano situato nell’odierna piazza Boccolino e sul perché siano rimaste tutte senza testa rimane un alone di mistero. Esistono svariate ipotesi, da quella in cui sembra siano state decapitate come sfregio a quella che semplicemente siano rimaste incompiute. Tanto è bastato comunque a dare il nomignolo agli osimani de “i senza testa”.
    Entrando in città dal lato nord-est ho la possibilità di attraversare il centro da est a ovest e di ammirare già le prime bellezze, come le sopracitate mura romane. La principale attrazione, però, dovrò saltarla per mancanza di tempo: sono le grotte del Cantinone, alle quali passo solo velocemente accanto. Circa 2.500 anni fa i popoli antichi cominciarono a scavare la collina in profondità per farvi camminamenti difensivi e passaggi segreti, per rifornirsi d’acqua e sopravvivere, così a oggi il sottosuolo di Osimo è percorso da una fitta rete di gallerie, cunicoli e ambienti sotterranei scavati a più livelli, spesso collegati tra loro verticalmente mediante pozzi o camini percorribili tramite tacche o pedarole. Dovrò rimandare a un futuro soggiorno questa perlustrazione che pare sia molto suggestiva e affascinante.
    Raggiungo l’affittacamere di Via Cialdini con una mezz’oretta di ritardo. Dopo aver appoggiato bagagli ed essermi rinfrescato di un’ottima doccia gelata, vado alla conquista del cuore vecchio della città. Via Cialdini permette una bella passeggiata direttamente verso il centro, costeggiando le mura occidentali. Via Leonetta segna la cima della salita e l’ingresso del “salotto” urbano osimano. Il corso principale è Via Rocca Antica, che collega dalla romano-gotica Concattedrale di San Leopardo (posta sulla sommità del colle Gòmero) a Piazza Comune. La strada diventa Corso Mazzini che continua il suo cammino ovest-est, dove si dirama in un reticolo di viette, nelle quali si possono ammirare i pezzi forti della città: Palazzo Comunale, la Basilica di San Giuseppe da Copertino (il patrono comunale), Palazzo Campana, Palazzo Gallo, Teatro La Nuova Fenice.
    Dopo un peregrinare assurdo fra vicoletti, Porte e scorci che meritano una sosta, trovo quasi per caso un locale molto caratteristico. Si chiama “I senza testa” (giusto per restare in tema) e offre ai tavoli esterni posti direttamente sul caratteristico vicolo accanto a Piazza Gallo un prodotto tipico centro-italico: la pinsa romana, una gustosa focaccia o schiacciatina, che viene preparata con farina di riso, frumento, soia e pasta madre; ha forma ovale ed è condita benissimo con ottimi ingredienti. Come beveraggio mi viene servita una bella rinfrescante caraffa da un litro di birra chiara alla spina. Meglio di così, non poteva andare.

    IX.

    Martedì mattina e colazione in un baretto in Largo Vittorio Veneto, una rotonda che segna l’inizio della strada “Chiaravallese”, che si inerpica verso i colli jesini. Io, invece, una volta abbandonato l’elegante “Casa di Lalla” mi dirigo a bordo della mia Matiz dall’altra parte, scendendo il colle di Osimo e andando a ribeccare la Statale 16 che passa dalle parti di Aspio Terme. Non mi dirigo a sud, ma risalgo l’Asse Nord-Sud, che collega lo svincolo di Via Flavia con il centro e successivamente con la stazione ferroviaria e il porto. Dall’altra parte, nella zona orientale della città, c’è il “Passetto”, una spiaggetta di scogli bianchi e insenature di acqua azzurrissima con stabilimenti e ristoranti costruiti a palafitta. In alto, che si affacciano direttamente sul mare con una vista mozzafiato, ci sono una verdeggiante pineta e il sontuoso “Monumento ai Caduti” (della Prima Guerra Mondiale). Quest’ultimo è un gigantesco tempio circolare con altissime colonne doriche che sorreggono il monoptero. Una grande e lunga scalinata bianca scende giù fino al mare. La spiaggia si può raggiungere anche grazie a un ascensore panoramico a pagamento, ma io preferisco assaporare ogni gradino di questa imponente opera d’arte.
    Non è un caso che mi sto dirigendo alle spiegge del “Passetto”. Infatti, ho un puntello ben preciso con alcuni amici: Mosè, l’amico veterinario di origini pugliesi che per primo mi fece scoprire e conoscere questa bella città dell’alto Adriatico (cfr. “Io non viaggio in Autostrada”, cap. I-14); sua sorella Ausilia (cfr. cap. I-15); e Alexandra, la mia amica pugliese che vive a Torino, e che mi ospita spesso nel suo appartamentino sito in zona Madama Cristina per week end a base di night-life torinesi e partite del Torino FC allo stadio Olimpico. Per svariati motivi sono un po’ di anni che non rivedo questi amici, per cui ho colto l’occasione del mio passaggio da queste parti per rivederci per una volta tutti insieme. C’è anche il piccolo Toto, figlio di Ausilia, che si divertirà non poco quando faremo il bagno al largo a raccontarmi storie spaventosissime sulle piccole medusine che galleggiano qua e là attorno a noi (praticamente ovunque).
    Dopo un pranzo leggero in un caratteristico risto-bar scavato nella roccia, ognuno prende le proprie strade. Saluto i miei amici e pure io riprendo il lungo viaggio verso sud. Da Ancona di solito percorro la statale Adriatica, che corre ad almeno 3-4 chilometri fuori città. Stavolta, invece, decido di percorrere la litoranea Ancona-Porto Recanati: è una strada provinciale che percorrere e scollina le alture del Conero, i rilievi appenninici della zona che raggiungono quasi i 600 metri di altezza. E’ il secondo promontorio per grandezza con rupi marittime a strapiombo sul mare Adriatico, dopo quello del Gargano in Puglia. Sono molte le località turistiche e balneari servite da questa caratteristica direttrice nord-sud: Spiaggia Mezzavalle, Portonovo, Spiaggia delle Due Sorelle, Spiaggia dei Sassi Neri. Sirolo e Numana sono gli unici due comuni attraversati dalla direttrice del Conero: la prima è posta su un colle di 125 metri, la seconda, invece, riabbraccia la pianura di Loreto e Recanati, anche se il piccolo centro (Numana Alta) è arroccato su una falesia di un centinaio metri a picco sul mare. Tappa alla “Spiaggiola”, ovvero la litoranea a nord del porticciolo, fatta di insenature e rocce, attraversando a piedi le scalinate e le viette della cittadina di neanche 4 mila abitanti. Bagno tonificante con Luca, l’amico pesarese già accennato, che si sta godendo un pomeriggio di relax. Ci intrufoliamo al bar del lido a bere due birre ghiacciate e a parlare di pallacanestro. Si unisce nei discorsi un ragazzone seduto vicino a noi: è di Cantù. Si parla di anni ’80-‘90, di basket di allora, di quando Pavia si chiamava Annabella, poi Fernet Branca e poi di quando venne un certo Oscar Schmidt, e tanto altro.
    Dopo i saluti e gli arrivederci, riprendo il cammino in auto e il paesaggio cambia notevolmente. Si apre la pianura civitanovese e le spiagge si fanno più grandi e gli stabilimenti balneari più frequenti. Il mare resta sempre di un colore azzurro molto accesso e di una trasparenza cristallina. Ultima tappa per salutare un amico, anch’esso in vacanza da queste parti, nella zona di Numana Blu, nei paraggi della foce del fiume Musone: Sam, collega dell’ospedale San Matteo. Giusto il tempo per un aperitivo al chiosco balneare e un fugace bagno per confermare che l’Adriatico a queste latitudini è di una qualità davvero notevole e inaspettata. Si chiacchiera subito di lavoro davanti a due spritz, ma poi si vira verso discorsi più distesi.
    E’ già scesa la sera e il traffico intenso all’innesto sulla SS 16 di Loreto mi fa perdere un po’ di tempo. Una volta ripresa la via si corre. Ecco Civitanova Marche, altra tappa notturna di questo lunghissimo viaggio verso la “California d’Italia”.

    X.

    Pernotto all’Hotel Brilli in una zona vicina al centro della cittadina maceratese. La struttura, strappata a un prezzo davvero irrisorio per la sua posizione e soprattutto per il comfort, si raggiunge rapidamente distaccandosi dalla traversa interna della SS 16 pochi chilometri dopo l’ingresso nel tessuto cittadino.
    Mi attirava alloggiare forse più a Civitanova Alta, la frazione che raccoglie il nucleo abitativo più antico sulla città e che poggia sulle colline del fiume Chienti; ma per una volta ho preferito buttarmi nella movida di una zona più turistico-balnerare. Tuttavia, a parte la trattoria “da Pamela” dove ho cenato davvero bene (e spendendo poco) a base di lasagne, frittura all’ascolana e olive ripiene, e qualche bar dove degustare un amaro per digerire, non ho trovato granché per passare il tempo in maniera divertente e frenetica, trascurando la puntatina veloce in una mansarda in cima a scale in un vecchio palazzo per conoscere una bella ragazza italo-marocchina… Ebbrezza fatua di pochi minuti, subito dopo di nuovo a bordo della mia Matiz girovagando per le strade tristemente vuote di Civitanova Marche. Tappa obbligata, allora, in un terzo bar, per degustare un ultimo amaro della buona notte.
    Mattina successiva ed esplorazione della litoranea nord, anche perché al Lido la Bussola (“il terz’ultimo della lunga sfilza”) ho un incontro veloce con Roberto, il collega scrittore con il quale stasera condividerò l’ultima serata del pre-festival letterario di Sant’Elpidio a Mare. Sono da queste parti anche e soprattutto per partecipare a questo incontro. E’ la quattordicesima tappa di una tournée di incontri e presentazioni che ho organizzato o a cui sono stato invitato da febbraio per promuovere il mio undicesimo libro pubblicato, che variando un po’ di genere rispetto ai precedenti di narrativa, è stato steso prendendo spunti proprio da viaggi on-the-road come questo che sto raccontando ora.
    Con Roberto ci siamo sentiti solo al telefono, già da qualche mese. Il Festival “Libri a 180 gradi” si doveva tenere già a maggio e noi eravamo in contatto già da allora. Poi per avverse condizioni climatiche è stato spostato a fine agosto, ma io e lui siamo stati inseriti in un “pre-festival” di alcune giornate sparse da luglio a fine agosto. Ho letto quindi il suo divertente e riflessivo “Io e Rocco”, un romanzo breve sulla vita di un ragazzo che combatte con una brutta malattia, ma nello stesso tempo grazie alla conoscenza di Rocco, che diventerà nel corso degli anni il suo migliore amico, anche se caratterialmente è il suo esatto opposto, troverà il coraggio di crescere e di affrontare la malattia e soprattutto la vita. Inutile aggiungere, che al di là della tematica profonda affrontata, il libro di Roberto è molto bello e io ne consiglio la lettura. Il suo modo di scrivere, tra l’altro, mi piace perché cinematografico, cosa che ricerco anche io nelle mie opere. La sua, in un’analisi più profonda, la vedrei molto bene trasportata su grande schermo diretta dalla mano elegante di un cineasta come Paolo Virzì, ma non lo scanzonato e quasi comico regista di “Ovosodo”, più il drammatico che cerca il senso della vita nel capolavoro de “Il capitale umano”, per intenderci. La nostra editrice, Ilaria di Albeggi Edizioni – che ho conosciuto e con la quale ho firmato il contratto un sabato mattina di fine viaggio dell’estate scorsa nella improbabile location di un bar della stazione degli autobus di Roma Tiburtina - mi aveva proposto una serata in comune con Roberto perché, nonostante i nostri due libri fossero nella sostanza molto diversi, secondo lei hanno in realtà in comune “la stessa profonda ironia nel saper affrontare le avversità della vita”. E devo dire che la valutazione ci azzecca molto.
    Con Roberto, seduti a un tavolino nei pressi del bar del lido, sorseggiamo due caffè e parliamo di questo e di molto altro. Abbiamo molto più in comune dell’ironia espressa nei nostri libri: anche lui lavora in un ospedale ed entrambi amiamo lo scrittore Tiziano Sclavi, che purtroppo dopo gli ultimi capolavori usciti a cavallo dei due secoli non ha più pubblicato nulla.
    La litoranea da queste parti è tipicamente adriatica: spiaggia bruna, fondali bassi e file di scogli che delimitano gli stabilimenti. Così Roberto mi consiglia di spostarmi a piedi di poche centinaia di metri e di raggiungere la spiaggia libera ancora più a nord, che a ridosso della massicciata della ferrovia assume dei contorti molto “catartici” a detta sua. In effetti il panorama cambia in maniera radicale dopo aver passato “la Lampara”, l’ultimo stabilimento balneare posto dove la strada asfaltata finisce contro una sbarra chiusa, che impedisce alle auto di andare oltre. Il catrame lascia il posto alla sabbia dura e una piccola insenatura si apre fra le rocce di un colore bianco molto dell’alta massicciata della ferrovia, mentre l’acqua del mare che assume tonalità più chiare e cristalline. Paradossalmente la zona, nonostante sia più bella, è meno affollata rispetto al bailame degli stabilimenti organizzati.
    Arriva pomeriggio e il sole inizia a picchiare forte sulla mia testa, ma soprattutto sulla mia pelle non adeguatamente protetta da creme solari (quest’anno sono già alla terza insolazione, nell’ordine: Sardegna a giugno, val Trebbia a luglio, mar Adriatico a fine agosto), così ne approfitto per raggiungere l’ultimo luogo che sarà tappa del mio viaggio sulla statale 16.
    Riattraverso la città di Civitanova da nord a sud, seguendo la SS “Adriatica”, che dopo il ponte sul fiume Chienti sbuca in provincia di Fermo. Avanzo pochi minuti, perché la mia destinazione è il “Residence Nazionale”, che sorge a ridosso della stazione di carburante IP, con annesso “Bar Fina” dove lavora Lorenzo, il giovane barista di cui ho avuto spesso modo di raccontare durante i miei viaggi. Lorenzo però non è di servizio (“Ci sarà domani tutto il giorno” mi dice una dipendente molto ma molto bella). Appuntamento rimandato a domattina, allora. Ne approfitto per farmi consigliare qualche spiaggia nei dintorni. La ragazza mi suggerisce “dove c’è la pineta”, la litoranea nord di Porto Sant’Elpidio, caratterizzata proprio da questo bosco di pini marittimi a ridosso della spiaggia di sassi che si tuffa in un mare verderame bello e pulito.
    Dopo una rinfrescante doccia nel lussuoso “Residence Nazionale” (per 30 euro ho strappato un appartamento con cucina-sala da pranzo, camera da letto con matrimoniale più letto singolo, bagno e balconata con vista sulle colline fermane), mi dirigo in auto verso Sant’Elpidio a Mare, cittadina a una decina di chilometri dalla litoranea posta sulle pendici degli appennini marchigiani. La “Strada Vecchia del Porto” che collega le due località è molto tortuosa, piena di salite e discese, ma sicuramente di giorno regala paesaggi molto più suggestivi rispetto alle prime tenebre della notte. Parco Bertolucci (dove terrò la presentazione del libro) è un grazioso giardino che sorge su un leggero declivio fra via Borgo (che è la prosecuzione della strada vecchia del Porto) e Viale Roma (una circonvallazione settentrionale del piccolo centro storico). Non molto lontano c’è la Porta di via Errighi, che subito dopo conduce con uno stretto vietto alla piccola Piazza Matteotti, dove sorge la Torre Gerosolimitana.(XVI secolo). Al mio arrivo al Parco Bertolucci ci sono solo dei bambini che giocano in un angolo dei giardini adibito a parco-giochi. Nell’area della presentazione ci sono tante sedie, secondo me troppo e penso che molte resteranno vuote. Invece, pian piano, la gente arriva e le sedie si riempiono tutte.
    Arriva anche Roberto con lo scatolone dei suoi libri “Io e Rocco”; quando ci sono tutti, anche gli organizzatori della serata, possiamo iniziare. Devo ammettere che io e Roberto formiamo una bella coppia molto anti-conformista: lui vestito con una elegante camicia azzurrina e pantaloni da sera; io con una T-shirt rossa, pantaloncini da viaggio coi tasconi laterali e in testa il mio inseparabile berretto con lo stemma della Birra McEvan’s. Il pubblico, però, sembra apprezzare questa inedita coppia e ascolta con piacere i nostri ironici botta e risposta. Roberto è molto simpatico, fa da vero mattatore della serata e trascina la presentazione in un grande successo. Siamo seduti su una panchina che volge verso il pubblico e la Livietta è seduta in bella mostra in mezzo a noi due. Roberto mi prende un po’, sul fatto che me ne vado in giro per l’Italia in compagnia di una cagnolina di peluche. Mi assicura che nell’ospedale dove lavora lui “c’è un ottimo reparto di psichiatria!”.
    Si ride tutti insieme. Però la Livietta riscuote sempre molto successo in queste presentazioni. Sarà la sua presenza, il suo faccino dolce ma eternamente malinconico, il suo aspetto morbidoso, ma le ragazze ne vanno matte.
    Io, ovviamente, mai che riesca ad approfittarne.
    Alla fine, anche a Sant’Elpidio a Mare i miei viaggi su statale alla riscoperta di un’Italia dimenticata riscuotono una sincera attenzione da parte di molte persone, che alla fine compreranno il libro, facendomi un sacco di domande; anche Roberto riscuoterà successo e venderà molte copie del suo romanzo. Ringrazio Isabella, una delle organizzatrici della serata (e del Festival librario “Libri a 180 gradi”) e soprattutto il numeroso pubblico:
    «E’ sempre bello presentare i miei romanzi davanti a pubblici numerosi –commento a fine serata- Ma farlo a Pavia o comunque sotto casa è sempre facile. Farlo a quattrocento e passa chilometri da casa, invece, è meraviglioso».
    Saluto Roberto e lo ringrazio per la bellissima serata. Ci lasciamo con la promessa di ripeterci un giorno di nuovo in una serata insieme.
    Passo il resto della serata alla ricerca a Porto Sant’Elpidio di un posto dove soffocare i crampi della fame. Mi salva il solito kepabbaro: zona Marina Faleriense, lungo la statale Adriatica, la stessa strada che domani mi porterà nella mia “California”.

    XI.

    Colazione al “Bar Fina” a metà mattinata del mio ultimo giorno di viaggio. C’è Lorenzo e come promesso gli ho portato una copia del mio romanzo “Io non viaggio in Autostrada”. Chiacchieriamo del più e del meno, di come è andata la presentazione ieri sera, dei tre giorni finali del festival letterario che partiranno sabato, ecc., il tutto mentre io mangiucchio qualcosa a uno dei tavolini e lui dietro il bancone serve clienti che vanno e che vengono.
    E’ tempo di ripartire, ma non sono di frettissima, così chiedo se c’è qualche posto bello in zona che merita l’ultimo bagno in queste Marche ricche di soddisfazioni. Lorenzo mi consiglia alcune località, fra le quali sceglierò Pedaso. Ci salutiamo, con la promessa di rivederci al ritorno, durante la risalita del viaggio al termine della vacanze (promessa che manterrò). A bordo della mia Matiz, in compagnia della piccola Livietta seduta al suo posto, sul sedile accanto al mio, riattraverso tutta Porto Sant’Elpidio e poi me la lascio alle mie spalle.
    Subito dopo il ponte sul fiume Tenna la prima località incontrata è Lido di Fermo. Poi, c’è il più grosso Porto San Giorgio. Infine, le ultime località della provincia: Marina di Altidona e Pedaso, e in quest’ultima mi fermo per una piccola sosta balneare. Le spiaggette sono piccole e sassose, incastrate in insenature di mare delimitate da piccole file di scogli. Si alterna spiaggia libera a lidi attrezzati. All’uscita del sottopasso pedonale della ferrovia (che costeggia la litoranea) c’è un piccolo omaggio a Giorgio Gaber: “Libertà e Partecipazione”. Appena sotto una targa omaggia il grande autore con la didascalia “il Poeta della Coerenza e dell’Utopia”.
    Il mare sfoggia un colore sempre bello e azzurognolo, però si avvicina di più al classico standard dell’Adriatico medio, piuttosto che alle tonalità cristalline trovate lungo la riviera dell’ormai distante Conero.
    Passano un paio d’ore e mi decido di rimettermi in marcia per cercare un locale dove pranzare. Un’osteria o una trattoria che offra un menù turistico a 10 euro sarebbe l’ideale. Il pezzo forte del viaggiare in strada statale è proprio questo: scoprire posti dove poter assaggiare la cucina tipica locale, spendendo una miseria. Trovo quello che cerco poco più a sud, esattamente a Cupra Marittima, uno dei primi comuni del territorio di Ascoli Piceno. Proprio posto lungo la Via Adriatica attira la mia attenzione il “Ristorante Tre Ulivi”: un elegante giardinetto adornato da ulivi mediterranei, la possibilità di pranzare fuori, seduto a un tavolino, sotto gli alberi, restando a due passi dalla strada statale. Un piattone di tagliatelle al ragù, un piatto di salsiccia con verdure, un quartino di vino e un caffè: il tutto alla miseria di un deca.
    «I miei "autogrill" lungo la Statale 16 per la California sono differenti» scrivo in diretta sul mio diario FB, con tanto allegato di bella foto sul primo piatto, la brocchetta di vino, i tavolini sparsi sotto gli uliveti e la mia auto posteggiata sulla strada statale, per prendere un po’ in giro quelli che viaggiano in autostrada e quando arrivano affamati in uno dei tanti autogrill, con quello che spendo io possono giusto permettersi un panino “icaro” e una bottiglia d’acqua.
    Il viaggio riprende lungo la SS e a stomaco pieno è ancora più piacevole. Dopo aver abbandonato Cupra Marittima mi imbatto nel lungo e compatto agglomerato urbano di tre grosse località attaccate fra loro: Grottamare, San Benedetto del Tronto e Porto d’Ascoli (l’ultima in realtà è un sobborgo della seconda). Il percorso non è per nulla noioso, tuttavia, in questa zona delle Marche del sud. Di Grottamare, per esempio, si può ammirare il medievale borgo antico che sorge su un’altura che domina la zona circostante e che sicuramente offre una bellissima vista sul mare. Proseguendo ed entrando nel comune di San Benedetto, la Statale permette di ammirare il “Paese Alto”, che si innalza sulla destra, dove spicca la caratteristica millecinquecentesca Torre dei Gualtieri; mentre sulla sinistra si passa proprio accanto alla milleseicentesca Cattedrale di Santa Maria della Marina, un interessante gioiello architettonico con annessa piazzetta lastricata di marmo e fontana in centro. Dopo l’attraversamento del torrente Albula, si prosegue fra palazzi più moderni, fino a una breve radura dove si ammira il gigantesco e possente Stadio Riviera delle Palme. In cima alla curva nord, si nota fin da lontano l’enorme pannello rossoblù con la scritta sovrimpressa “Tempio del Tifo”. Ho già avuto modo di scrivere più volte che il tifo sambenedettese, nonostante le infime e immeritate categoria dove gioca la squadra di calcio, è uno dei più caldi della zona (e non solo). Faccio sempre una deviazione dalla Statale 16 (che corre leggermente in alto, lungo le pendici dei colli del Tronto) per scendere nel piazzale davanti all’ingresso dello stadio. Parcheggio, esco dall’auto, faccio due passi, mi fumo una sigaretta e scatto l’usuale “selfie” davanti a questa struttura, che non sarà “sacra” come i luoghi di fede o di arte descritti prima, ma che sicuramente ha una valenza emotiva e turistica molto forte, sia per gli appassionati di calcio, ultras e trasferte come me, sia per i neofiti che non resteranno indifferenti.
    Alla rotonda per abbandonare la SS 16 e dirigersi verso lo stadio c’è un grossolano errore di indicazione stradale. Secondo i cartelli per Pescara bisogna preoseguire dritto, mentre per Ascoli Piceno bisogna svoltare e imboccare la superstrada a doppia carreggiata. Proseguendo per Pescara, in realtà, si passa in mezzo alla zona commerciale di Porto d’Ascoli; imboccando la superstrada, invece, oltre a by-passare il traffico del sobborgo sanbenedettese, si può recuperare la SS 16 nei pressi del ponte sul fiume Tronto, che segna il confine regionale con l’Abruzzo, facendo molto prima.

    XII.

    Grottamare, San Benedetto e Porto d’Ascoli formano un unico agglomerato urbano di oltre 60 mila abitanti. Se ci aggiungiamo la teramana Martinsicuro, che sorge subito dopo il fiume Tronto, si arriva a sfiorare le 80 mila unità di un gigantesco continuum abitativo lungo tredici chilometri e mezzo. E non è niente rispetto all’ancora più grande hinterland di Pescara che inizierà fra poco.
    La successiva Alba Adriatica è tagliata fuori dal percorso esterno della SS 16, ma non Tortoreto Lido, attraversata pazientemente. Da queste parti l’attraversamento più lungo è Giulianova, cittadina di 23 mila abitanti, con due bei lungomari (Zara e Spalato) e spiagge lunghe e sabbiose che iniziano a ricordare molto quelle pugliesi del Golfo di Manfredonia. Si viaggia bene per un po’ di chilometri, passando indenni la piccola Cologna Spiaggia.
    Roseto degli Abruzzi è un altro attraversamento lento e fastidioso, forse ancora di più della cittadina giulianovese. All’ingresso nord della città, nei pressi della rotonda del Residence Meridiana, sulla sinistra c’è un campo di grano, dove nelle stagioni estive post-raccolto si possono ammirare curiose e caratteristiche “statue” realizzate con balle di fieno. Messe in un certo modo, addobbate con giganteschi vestiti e con l’aggiunta di decorazioni in cartapesta e stracci che raffigurano occhi, bocche e capelli, le balle di fieno disposte nella direzione della strada statale sembrano una famigliola contadina allegra e sorridente, formata da padre, madre e tre bambini. Di Roseto non c’è molto altro di più bello da raccontare. Ma forse nel mio giudizio sarò ancora prevenuto dal ricordo di una trasferta di basket di tanti anni fa, quando molto antisportivi tifosi locali (per non scrivere di peggio…) ci accolsero a bottigliate all’ingresso del palasport e durante la partita, a nostra insaputa, ci distrussero il pulmino con il quale c’eravamo sobbarcati il lungo viaggio da Pavia… E chiudo qua eventuali immaginabili commenti, anche se a ogni mio passaggio ormai gli apprezzamenti, poco cordiali, vanno inevitabilmente verso le madri degli abitanti di questa ridente cittadina balneare. Roseto, comunque, si può by-passare (consiglio vivamente, perché la lunga Via Nazionale è sempre intasata di traffico) percorrendo una piacevole via panoramica che si arrampica sui poggi di Piana degli Ulivi e che, dopo aver raggiunto la frazione di Sant’Anna in cima a una collinetta, riscende verso la statale Adriatica già nei pressi del ponte sul fiume Vomano.
    Nella piana pescarese si attraversano piccole località come Scerne e Villa Fumosa, prima di incontrarne una più grossa, Pineto degli Abruzzi, tagliata via però da una circonvallazione esterna. Ecco Foggetta, il cui toponimo sembra ricordare che la “California d’Italia” si sta avvicinando chilometro dopo chilometro. Torre del Cerrano, posta sulla sinistra, è costruzione costiera cinquecentesca immersa in un’area marina protetta. Infine, Silvi, ultimo comune del teramano, caratteristico per un gigantesco arco in ferro che sovrasta la sede statale con la scritta “Benvenuti a Silvi” e la pubblicità del centro commerciale “Universo”.
    Montesilvano con Pescara e la successiva (e chietina) Francavilla al Mare formano un unico agglomerato urbano di duecentomila abitanti. Non sono mai riuscito ad attraversare indenne lungo l’asse della Via Nazionale Adriatica questo bordello di traffico, incolonnamenti, semafori e quant’altro. Pescara l’ho visitata durante una discesa in Puglia viaggiando solo su treni regionali, facendo uno scalo lungo di qualche ora in attesa del treno regionale per Termoli. A essere sincero non c’è molto da vedere, poiché la città ha subito pesanti bombardamenti durante la guerra mondiale e tutto quello che di bello poteva esserci è andato distrutto. Le principali attrazioni sono il moderno Ponte sul Mare (un viadotto ciclopedonale che unisce le due sponde del fiume “Pescara” nei pressi del Porto Canale), la Statua dell’Elefante e il modernissimo centro cittadino che si snoda di negozi e di locali lungo Corso Umberto I. Perfino la stazione ferroviaria è moderna, ricostruita nel 1988 leggermente in rialzo rispetto al vecchio tracciato. Anticipato questo, Pescara è sempre meglio bypassarla grazie alla comoda e velocissima tangenziale a doppia carreggiata, che compiendo un percorso esterno simile a quello della A14, conduce in pochi minuti parecchio a sud. L’imbocco della variante è però immerso nel tessuto urbano e caotico del capoluogo. Tuttavia, si può andare a prendere un raccordo, che parte da una rotonda di Via Vestina in Montesilvano e che in un baleno, attraverso gallerie e rettilinei catapulta a tutta velocità oltre Francavilla al Mare, già in provincia di Chieti.

    XIII.

    Dopo Pescara il traffico si ammorbidisce sempre. Larghi tratti stradali si alternano a tornanti nella zona delle colline fra Ortona e Marina di San Vito. I trabucchi, antiche macchine da pesca,oggi molti riqualificati in ristoranti, caratterizzano questa parte di costa adriatica. Più che racconti ora ci sono un sacco di ricordi nella mia testa di vecchi viaggi on-the-road, dove ho avuto la fortuna di conoscere questa parte di Italia. L’aperitivo sul trabucco al pontile di San Vito, la zuppa brodetto assaporata a Marina di Vasto una notte di gennaio, i dedali della città di Vasto Alta un’altra notte di fine agosto, la ricerca avventurosa dei famosi chilometri mancanti nel chilometraggio della SS 16 risalendo la valle del fiume Sinello, la casuale scoperta del “Promontorio Dannunziano” tanto caro al poeta del XX secolo, passeggiare per il centro storico di Termoli in una cittadella antica che si protrae sul mare, ecc..
    E quando finirò di esplorare tutto ciò che posso esplorare, cosa accadrà? Cosa succederà?
    Niente, nessuna risposta. Neppure dalla Livietta seduta sul sedile accanto a me. Di solito quando domande esistenziali come queste mi attraversano la testa, volgo lo sguardo verso quell’apparente inanimata cagnolina di peluche che con me ha condiviso tanti di quei viaggi e di quelle disavventure su e giù per l’Italia, che un solo romanzo pubblicato non rende assolutamente giustizia. Ma stavolta neanche la Livietta sa dirmi alcunché.
    «Ti prenderemo, Paul! Ti prenderemo! Lei non tornerà mai più per salvarti! Lei non tornerà mai più!...» ecco, invece, le terrificanti voci che rimbombano nella mia testa come sentenze di tragici verdetti già ascoltati.
    Daniela.
    Il suo ricordo. Che viaggia di pari passo al suo rimpianto. Chilometro dopo chilometro.
    L’amico Oste, che non c’è più. Perché questo viaggio, seppur bello, forse fra i più belli dell’Adriatic Road, prima o poi finirà e mi riporterà al punto di partenza. Ad affrontare vuoti che ho solo messo in un angolino.
    Gli anni che passano, le persone che se ne vanno, e che nessuno riesce a riportare indietro.
    Osservo il curioso medaglione giallo che penzola dallo specchietto retrovisore e che mi regalò Daniela l’ultima volta che la vidi.
    “Sorridi! Ti Vorrò Sempre Bene!” sta scritto da qualche parte.
    In questo viaggio è arrivato il momento di fare un’ultima tappa e di buttarmi a mare per un bel po’ di minuti, anche se il tempo non è dei migliori. Scelgo Fossacesia, quando il sole sta calando e nuvole di pioggia stanno coprendo il cielo. Spiaggia ghiaiosa e acqua pulita e trasparente. La pioggerella battente, segnale che le ormai le lunghe notti afose sono ormai alle spalle e anche se l’estate sopravviverà ancora per un bel po’, tutto attorno c’è il segno inequivocabile che un’altra stagione e un’altra annata di viaggi, di racconti, di esperienze, e di conoscenze stanno volgendo al termine.
    Guardo in direzione sud, lungo la costa che apre scende fino ai monti del Gargano…
    E’ il crepuscolo quando dopo San Salvo Marina varco il confine con il Molise, terra “cuscinetto” che separa l’Italia dalla mia “California”. Ci vuole un soffio ad attraversarla, proprio perché Termoli, l’unico vero centro grande della zona, non è attraversato internamente, ma bypassato dalla veloce tangenziale 709. Poi di nuovo la “16”, che lambisce Campomarino e corre sulla variante a carreggiata unica, ma veloce quanto una superstrada, progettata in alternativa al tracciato originale che puntava invece in direzione di Serracapriola e San Paolo di Civitate nell’entroterra.
    Quando arrivo al confine molisano / pugliese, sul ponte del torrente Saccione, e mi fermo per la rituale foto, è davvero buio pesto. Il chilometraggio della SS Adriatica (che inizia a Padova, precisamente nel centro storico all’incrocio di “Canton del Gallo”) segna 607 km. Io ne ho percorsi molti di più, perché ho iniziato dall’Oltrepò Pavese a percorrere la Statale 10 “Padana Inferiore” fino in Veneto, poi con diramazioni secondarie ho raggiunto la “16” in provincia di Rovigo e da lì l’ho costeggiata tutta fino in Puglia, attraversando mezza Italia, impiegandoci sette giorni, fermandomi in diversi posti, incontrando vecchi amici, conoscendone nuovi.
    Pensare che da qui dove sono io in questo preciso istante, che è il punto più a nord della SS 16 pugliese, fino al faro di Santa Maria di Leuca ci sono ancora 430 e passa chilometri. Praticamente un nuovo viaggio. Perciò adesso io potrei essere, non alla fine di un racconto, ma all’inizio di uno nuovo…
    Eh sì, è proprio così, perché fra qualche giorno in una ridente cittadina pugliese sulle rive dell’Ofanto mi raggiungeranno l’amico di scorribande vacanziere Big Peter, con la nostra comune amica Marilù. E una notte fonda, scendendo dal piccolo borgo incantato di Rignano Garganico, lassù racchiuso fra i monti del Gargano come un borgo delle fiabe, noi tre a bordo della mia Matiz, anziché rincasare dopo un’allegra notte di scorribande al bar di Juan U’Bankettid, imboccheremo la “16”, ma decideremo pazzamente di tirare dritto e di puntare verso il Salento, e proseguiremo verso Santa Maria di Leuca.
    “Per vedere l’alba, per vedere dove i due mari si incrociano, per vedere l’Est Europa al di là dell’orizzonte”.
    E faremo davvero così.
    Viaggeremo tutta una notte, sfidando le mucche in mezzo alla strada sui tornanti del Gargano, le poche stazioni di servizio aperte dalle parti di Bari Nord, il sonno e la stanchezza che cominceranno a farsi sentire fra Brindisi e Lecce… ma alla fine la voglia di avventura e la genuina scelleratezza, che ancora (e fortunatamente) pervade i nostri corpi quarantenni mai sazi di quest’adolescenza infinita, ci porteranno davvero fino al promontorio dove c’è il Faro di Santa Maria di Leuca. E una volta lì come se fosse la prima volta nelle nostre vite, ce ne resteremo ad ammirare il sole e le nuvole sopra quel mare blu che separa l’Italia da tutto il resto del mondo.
    Ma come si suol giustamente dire in questi casi: tutto ciò e un’altra storia... ;-)

    Edited by Liutprando - 8/11/2020, 17:05
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