MIRKO CONFALONIERA

  1. MOROCCO EXPRESS
    Marrakech, Merzouga, Fès, Rabat, Casablanca

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    VERSO SUD
    By Liutprando il 10 April 2016
     
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    VIDEO: www.dailymotion.com/video/x43p5ea

    I - Caldo, code e senza sigarette il viaggio fino all'aeroporto è stato davvero ancora più lungo. So già che mi mancherà Vito's e i suoi shottini di amaro per scaldare un inverno che ormai non c è più. E ancora di più la voglia di Est e le notti stellate con Lei a confutare le stelle e i nostri perché. Ma l'Est Europa è finito, girato in tutto e per tutto, completato pazientemente come un puzzle di viaggi, ricordi, luoghi, posti, persone, "karasciò" e "ce faci".... Voglia di Sud, di deserto del Sahara, di Oceano, di città imperiali e di vuoto attorno hanno animato i miei sogni degli ultimi tempi. Almeno fino a questa fila di passeggeri all’aeroporto di Bergamo, tutti incolonnati per l'imbarco con destinazione Marrakech. E' poi programmato tutto un on-the-road dove mi porterà la sete di viaggio e l'instancabile smania di vivere, scrivere, raccontare.
    Un altro viaggio.
    Ancora.
    L’impatto con la città marocchina è stato dei migliori. Ho avuto un serpente appoggiato sul collo, ho danzato ai ritmi di bonghi africani e nenie arabe, ho rimediato dell'hashish in un vicoletto della Medina e sono riuscito a trovare una birra in uno strano club dove io e Petrus - il mio avventuroso compagno di viaggio - eravamo gli unici due occidentali. La nostra entrata mi ha ricordato quei vecchi spezzoni di film western di una volta, quando i cowboy di turno entravano nel saloon e tutti gli avventori si giravano per fissarli. Più o meno è successa la stessa cosa. E come in quei vecchi film, sono stati attimi interminabili.
    Marrakech. Clima torrido già al nostro arrivo, a inizio pomeriggio, quando atterriamo in una metropoli circondata da terra bruciata a vista d'occhio. I frontalieri allo sportello Controllo Passaporti sono molto cordiali e sorridenti. Abituato ai duri e severi controlli “oltre cortina”, mi sembra molto strano per me ridere e scherzare con il giovane gendarme che, una volta controllato il mio passaporto italiano, mi sorride e mi congeda con uno spensierato:
    «Ragazzino, buona vacanza!»
    Incasso il “ragazzino” molto piacevolmente, passo la frontiera burocratica e sono in Marocco per la prima volta in vita mia.
    Telefoniamo subito ad Amhed, il tizio dell'auto a noleggio, che ci porta una Fiat berlina in un parcheggio pieno di taxi e auto, ma vuoto di persone. Dopo un giro di presentazioni partiamo alla volta dell'Hotel Tachfine, vicinanze stazione ferroviaria e a 10 minuti a piedi dal centro storico.
    Il lungo Avenue Mohammed V ci conduce pian piano dalla Marrakech nuova (piena di negozi e locali un po' troppo occidentaloidi per i miei gusti) verso quella vecchia, cintata dalle antiche mura medievali e immersa in rigogliosi parchi verdi. Superata finalmente la Moschea Koutobia (purtroppo accessibile solo ai mussulmani praticanti), la Marrakech vecchia ci spara dritto in faccia il vero Nord Africa. Piazza Jernaa El Fnaa al tramonto è uno spettacolo davvero unico e mozzafiato: una quantità indescrivibile di persone popolano questa grandissima piazza, che ci accoglie con ritmi incessanti di tamburi e tamburelli, suoni di flauti e pifferi, melodie ipnotiche e spettacoli di danzatori, ammaestratori di serpenti a sonagli e perfino simpatiche scimmiette. Bancarelle che vendono di ogni e pure gazebo che offrono buon cibo. Ci infiliamo sotto il primo tendone, posto al centro della piazza e ordiniamo pesce e carne alla griglia a volontà. Per 200 dirham (l'equivalente di poco più di 18 euro) consumiamo un pasto oltre la sazietà. Ci dissetiamo con ottimo thé verde alla menta. La piazza continua a offrire il meglio di Marrakech in una serata che diventa notte, con le stelle e le luci che rendono ancora più magica l'atmosfera che si respira.
    Ci tuffiamo dentro il caratteristico Suq ovvero il mercato coperto che si estende su un reticolato labirintico di viette e piazze, alcune porticate, ma tutte strette e imballate di passanti, dove si vende di tutto: dalle spezie a prodotti di artigiano locale. La prima parte è molto turistica e offre souvenir di vario genere, mentre sulla seconda, quella leggermente più a nord, è meglio non addentrarsi, a meno che non si è alla ricerca di souvenir un po' meno legali. Ogni dieci metri un ragazzo si avvicina, mi parla subito in italiano e mi offre tipologie di hashish ai prezzi più svariati. Uscire indenni da questo labirinto di vicoli è pressoché impossibile una volta che ti perdi seguendo il tuo naso alla ricerca degli scorci più dimenticati e genuini del cuore di Marrakech. L'unico, e davvero unico, modo per tornare alla piazza Jernaa è mollare 100 dirham all'ennesimo Moahmed che mi si para davanti e che è deciso a non mollarmi, acquistare un po' di "fumo" marocchino e riuscire così a lasciarci alle spalle il vecchio Suq e i suoi pusher incalliti.
    Torniamo nella Marrakech nuova alla ricerca di un po' di birra per concludere la serata. Sembra impossibile trovare una sola goccia di alcol in tutta la città (situazione simile al mio recente viaggio ad Ankara), ma invece non è così. Petrus scorge uno strano portoncino di ferro leggermente socchiuso che potrebbe accogliere al suo interno qualcosa di alternativo. Chiediamo sfacciatamente al buttafuori (un molosso di colore e grande quanto un armadio che fa guardia all'entrata) se all'interno è possibile trovare almeno della birra: quello annuisce e ci fa passare. Il rustico locale è pieno solo di gente del luogo e io mi accorgo subito che io e Petrus siamo gli unici due occidentali. Diamo un po' nell'occhio, non solo agli alticci avventori maschi che bevono birra spagnola di importazione, ma anche a qualche solitaria e bella donna che fuma sigarette lanciandoci occhiatine languide…
    Marrakech appare subito bella, come il vero Marocco che cercavo, con le sua atmosfere cinematografiche e i suoi scorci più intimi. Ma è molto caotica, forse troppo, per cui domani Merzouga sarà una tappa molto più ambita. 600 chilometri a est, il piccolo villaggio sorge al confine con l'Algeria ed è immerso nelle dune sabbiose del deserto del Sahara. Un trip attraverso le alture dell'Atlante e per due giorni e due notti solo il Deserto, la sua pace, la sua solitudine, il suo senso di malinconia e di tranquillità, e i suoi cieli stellati: chi c'è già stato dice che siano una cosa meravigliosa e indescrivibile.

    II - Da qualche parte in Marocco, lungo la strada per Merzouga soffia un vento forte. Stiamo attraversando l'Atlante, la gigantesca catena montuosa che ci separa con il resto del continente, ma quassù il caldo arido africano sono una pallida illusione: pioggia incessante e un freddo che forse manco nei miei viaggi in Russia ho mai provato. A una stazione di servizio con annessa caffetteria è letteralmente impossibile scendere anche solo per bere un caffè caldo. Ho paura che non riusciremo ad attraversare il parcheggio e che il vento ci porti via. Ripartiamo subito a bordo della nostra Fiat. Scolliniamo a 2 mila e passa metri in una bufera di gelo. Subito, invece, dopo il paesaggio cambia di colpo: il sole rompe le nubi e il vento ci accompagna verso la pianura, un paesaggio già desertico con alte rocce di colore rosso e piccoli villaggi con le case basse.
    Percorriamo miglia e miglia in mezzo al nulla, soli nella lunga lingua di asfalto. La maestosa catena dell'Atlante (con le cime innevate) è alle nostre spalle, davanti a noi ci sono già mulinelli d'aria e vere e proprie tempeste di sabbia. Attraversiamo Ourozura, la prima grande città, in uno scenario apocalittico. Il cielo è completamente rosso e per via del vento di sabbia non si vede davvero quasi a un palmo dal naso. Sosta in un baretto di Skoura, la prima cittadina fuori dalla tormenta, per fare il pieno di caffè e di sigarette. Mancano ancora 300 chilometri all'oasi di Merzouga e alle prime dune sabbiose del Sahara, tappa notturna di oggi.
    Dieci ore di viaggio estenuante ma assolutamente adrenalinico. Nello stivaletto destro tengo nascosto un pezzo di hashish grande quanto un sasso (quello rimediato a Marrakech). Nei pressi del bivio di Boumalne, all'ennesimo posto di blocco che incontriamo (ne abbiamo incrociato almeno uno ogni mezz'ora di strada), un gendarme ci intima di accostare. Andiamo troppo veloci, ma ovviamente io ho altro a cui pensare. Le scene iniziali del film “Fuga di Mezzanotte” di Alan Parker mi balenano davanti agli occhi in rapida successione… Eccesso di velocità, poco male. Paghiamo subito in contanti 300 dirham (meno di 30 euro), che più che una regolare contravvenzione sembra un accomodamento bello e buono, che mi ricorda molto una scena uguale in Bulgaria durante quel viaggio verso il Mar Nero di qualche anno fa.
    Il paesaggio dopo Ouarzazate mostra il vero Marocco, quello pre-desertico, quello dei villaggi tipici e molto suggestivi, e delle strade lunghe e diritte che corrono verso oriente come saette. Poco traffico, ma nei grossi centri urbani, da Kela a Tineghir e a Tinejdad rallentare è quasi d'obbligo per non investire passanti, biciclette e motorini che invadono letteralmente le sedi stradali. Donne col burqa, dromedari che gironzolano qua e là e un paesaggio assolutamente lunare caratterizzano il panorama.
    La statale principale passa da Er-Rachidia, ma noi decidiamo per la scorciatoia di Touroug: è poco battuta dalla direttrice turistica e la preferiamo fin da subito. Quando arriviamo a Rissani, l'ultima grande città prima del confine marocco-algerino, è già notte fonda. Raggiungiamo il piccolo paese di Merzouga che sembra spettrale e abbandonato, ma fortuna vuole che troviamo subito il piccolo e accogliente Chez Belkacem, dove ci servono anche un'ottima cena a base di verdure, insalata, carne e patate, e l'immancabile thè verde. Domani ci aspetta un affascinante tour fra le dune di sabbia fino all'Oasi di Merzourga, set delle scene finali del bellissimo film “Marrakech Express” di Gabriele Salvatores, scritto assieme al compianto Carlo Mazzacurati: una pellicola che consiglio di vedere (o ri-vedere), che narra di bei valori come l'amicizia, la fuga e, appunto, il senso di viaggiare.

    III - «Come mai le rocce in questa parte di deserto hanno un forma così?» (squadrati massi dalla superficie butterata proprio come gusci di tartaruga pietrificati).
    «E' la volontà di Allah! » risponde Alì con un sorriso.
    Alì è il nostro autista, che a bordo di un fuoristrada 4x4 ci sta scorrazzando fra le dune del deserto a ridosso del piccolo villaggio di Merzouga. Il poderoso mezzo gira fuori pista e si butta verso le prime piccole dune di sabbia rossa. Si balla come su un astronave senza controllo e l'impressione è che Alì voglia farci provare le emozioni delle auto da rally. Purtroppo è proprio così e dopo alcuni feroci zig-zag in pendenza non posso che attaccarmi saldamente al reggimano all'interno dell'abitacolo e attendere pazientemente la fine del giro di giostra mettendomi il cuore in pace. Il mondo gira vorticosamente, e cielo e dune si spostano come in un poderoso vortice. Qualche minuto più tardi Alì accelera su una pista di terra battuta, mentre le alte dune di sabbia (molto più alte di quando mi immaginavo: arrivano a toccare altezze quasi pre-collinari!) restano ai lati della vallata.
    Ci arrampichiamo sui pendii di dune nere come il catrame: è il deserto vulcanico, fatto di sabbia, terra e pietre fossili. C'è un piccolo accampamento dove vivono militari dell'esercito marocchino; appena più in alto piccole miniere di piombo e quarzo; ancora più in là un villaggio militare francese, usato negli anni '50 durante la guerra franco-algerina e poi abbandonato negli anni '60 dopo l'indipendenza del Marocco.
    Salendo verso l'alto il colpo d'occhio diventa magico e indefinibile. La vallata si presenta un mix di colori che va dal rosso scuro delle dune più lontane, al nero verso oriente. Sullo sfondo, un grosso altopiano segna il confine con la vicina Algeria (circa una cinquantina di chilometri), presidiato militarmente e impossibile da varcare.
    Raggiungiamo un piccolo accampamento berbero, dove pranziamo a base di verdure e carne speziata grigliata. Puntuale il thè verde a fine pasto.
    Correndo a razzo al centro di un letto di un fiume arido e secco la 4x4 slitta sul fondo sabbioso.
    “E' un po' come per voi occidentali viaggiare quando c'è la neve -racconta Alì- Se l'auto sbanda non bisogna mai contro-sterzare, ma assecondare leggermente la sbandata e rimettersi in carreggiata!”.
    Il berbero schiaccia forte e il 4x4 scheggia in mezzo a piccole macchie verdi, dromedari neri allo stato brado e piccole tendopoli indigene. Raggiungiamo anche un vecchio villaggio fortificato, con le mura delle piccole case fatte in argilla e sabbia, ma ormai completamente disabitate.
    Rifacendo il giro intorno passiamo per l'Oasi di Merzouga, un piccolo polmoncino verde condito da una fitta vegetazione, ruscelli di acqua e alte palme. Si ritorna al Chez Belkacem in un clima caldo ma abbastanza ventilato.

    IV - «Ci vieni a recuperare domattina alle 8 all'accampamento?» domando una volta che il mio dromedario si è tirato su e io sono comodamente in sella.
    «Insciallah! – mi risponde con un sorriso beffardo Alì – Se lo vuole Allah! » e giù una grossa risata.
    Lo guardo con un'occhiata mista di stupore e terrore.
    «Allah lo vorrà!» mi limito a rispondere.
    Essere abbondonato in mezzo al Sahara non è nei miei progetti: voglio visitare altre città del Marocco.
    Il cammelliere che traina i due dromedari tira la cordicella e partiamo, salutando Alì che rivedremo domattina all'accampamento berbero in mezzo alle dune del Sahara. Forse.
    Io e Petrus ci mettiamo circa un'ora e mezza a dorso di dromedario per scollinare le dune di sabbia. Le maestose bestie si arrampicano su alte coste, la sabbia cade giù in certi punti quasi a strapiombo, e il paesaggio tutto attorno è solo deserto sabbioso a perdita d'occhio. Scorgiamo in lontananza qualche altro turista a dorso di dromedario. Il clima è caldo e arido, e il mondo che mi circonda è fatto di sabbia a perdita d'occhio.
    Arriviamo all'accampamento berbero che manca un'ora al tramonto. Io e il mio compagno di viaggio ci sistemiamo in due tende diverse e aspettiamo l'ora di cena e poi di passare la notte. Ma per vedere bene il sole cadere dietro le dune uno degli indigeni mi spiega che devo arrampicarmi a piedi sulla cima di un'altissima duna.
    La fatica è immane, ai limiti dello spasmo: le dune sembrano vicine e basse, ma mentre si cammina i piedi affondano nella sabbia calda; il vento batte forte le sue incessanti folate provenienti dal lontano altopiano algerino di fronte a noi e il tutto amplifica lo sforzo. Ma, ovviamente, il gioco ne vale la candela. Il tramonto sul deserto è uno spettacolo indimenticabile.
    Una volta tramontato il sole, calano buio e silenzio su tutto il mondo circostante… e il cielo in poco tempo diventa un capolavoro della natura. E' proprio vero quello che mi hanno sempre detto, cioè che le notti nel deserto sono qualcosa di meraviglioso e magico. Ed è proprio così. Il cielo stellato è di una bellezza indescrivibile, le stelle brillano più del solito, miriadi di altri astri luminosi si affacciano nella volta celeste che sembra davvero più vicina e splendente, quasi che si possa toccare con la mano; e poi ancora scie, galassie, stelle cadenti, bagliori, luccicchii… E qui non c'è nessun artifizio tecnologico che riesca a riprendere questa meraviglia: qui solo l'occhio umano immortala appieno questa magnificenza. Mettiamola giù così: quando vediamo il cielo notturno in Italia vediamo tante stelle nel cielo (se siamo fortunati a essere in una notte limpida e magari invernale). Immaginate, tuttavia, che nello spazio nero fra le stelle che vediamo noi, in realtà ci siano tantissime altre piccole stelle. Se riuscite anche solo a immaginare una cosa del genere, allora potete avvicinarvi a capire cosa sia il cielo stellato del Sahara.
    Nel bivacco siamo in pochi turisti, solo tre gruppi di persone, fra le quali due ragazze toscane, Valeria e Federica, con le quali facciamo amicizia, trascorriamo un'allegra serata, cenando nella tenda principale e degustando un menù a base di riso, verdura e carne speziata. Ci scambiamo allegramente opinioni e impressioni sul posto dove ci troviamo, raccontando a turno aneddoti e ricordi dei nostri viaggi in giro per l'Europa e paraggi.
    L'indomani mattina ci svegliamo tutti quanti presto per ammirare l'alba, altro spettacolo indescrivibile: la sfera solare appare limpida e chiara nella sua sferica e perfetta rotondità, spuntando dietro la linea piatta dell'altopiano algerino. In due soli minuti il sole è già nel cielo sopra l'Africa settentrionale, illuminando il deserto e tutto il mondo circostante.
    E’ già ora di ripartire. Alì è stato di parola: è già fuori che ci aspetta a bordo del suo inseparabile fuoristrada per riportarci al villaggio di Merzouga. Salutiamo Valeria e Francesca, che sono dirette verso Agadir, nel sud del Marocco, ma con le quali ci scambiamo i contatti FaceBook e la promessa di rivederci presto in Italia. Sarà così.

    V - Io e Petrus salutiamo Alì e i famigliari gestori del Chez Belkecem, promettendo loro di tornare un giorno. Che ci crediate o no, nel Deserto ci sono stato poco più di 36 ore, eppure è stata un'esperienza bellissima che temo già irripetibile appena abbandoniamo Merzouga in direzione nord.
    Percorriamo la strada nazionale 13 verso Rissani. Fino a Erfoud il paesaggio è desertico: mix di dune sabbiose a destra, verso il confine algerino, e arida terra bruciata e incolta a sinistra. Nei paraggi di Er-Rachidia (dove c'è l'ultimo bivio per tornare verso Marrakech) il paesaggio comincia a cambiare notevolmente. L'altopiano si spacca in profondi canyon naturali e piccole alture collinari e pre-montuose dell'Atlante ci immettono nella suggestiva Valle dello Ziz, un paesaggio di terre rosse, un azzurrissimo lago artificiale e alte gole a strapiombo.
    Dopo le gallerie ci fermiamo in un piccolo villaggio alle porte di Er-Rich. Si pranza a base di carne, patate, verdure e il solito improcrastinabile thè verde alla menta, che un simpatico cameriere del caffè-ristorante ce lo serve soprannominandolo come il “whisky marocchino”.
    Si scende verso Midelt, il panorama si apre a pianura, ma per raggiungere Fès, che dista ancora centinaia di chilometri, bisogna superare la catena del Medio Atlante. Dopo Thimadite il paesaggio muta ancora lentamente, ma in maniera radicale e del tutto inattesa: il Marocco abbandona il colore rossiccio delle zone aride e desertiche, abbracciando tinte verdi di rigogliose vallate. Anche la fauna locale passa dai muli e dromedari tipici della zona a sud dello Ziz, a greggi di pecore e mandrie di cavalli che pascolano felici.
    Al bivio di Azrou prendiamo la stradina per Ifrane e i restanti 100 chilometri che ci accompagnano a Fès sono a dir poco clamorosamente scioccanti: verdissime e rigogliose colline, foreste di conifere, impianti sciistici (!), qualche cumulo di neve qua e là, e un paio di località davvero turistiche e con un panorama che sembra lontanissimo dagli abituali cliché sul Marocco.
    Dopo Kandar si ritorna verso la pianura, si scende e la temperatura lentamente ricomincia a salire. Arriviamo a Fès, metropoli di un milione di abitanti, in un torrido tramonto, incolonnati a bordo della nostra Fiat in un traffico infinito.
    L'alloggio prenotato sorge nella Medina Vecchia, quella di El Bali: impossibile arrivarci in auto. La parcheggiamo nel primo cortile che capita, custodito da un anziano uomo che la sorveglierà per 30 Dirhma; invece, nell'intricato dedalo di viette piccole, strette e semibuie della Medina alla caccia del Dar Tarya (come cercare il classico ago in un pagliaio) ci accompagna un ragazzotto alla modica cifra di 50 Dirham.
    «Bienvenidos in Maroco» esordisce così la simpatica ragazza alla reception del guest house che ci ospita (una bellissima maison d'hotes nel cuore della città vecchia).
    La medina di Fès è un labirintico dedalo di viette in cui smarrirsi è suggestivo e piacevole. I due corsi principali, Tala el Kbira e Tala Sghira, corrono paralleli e attraversano la città vecchia dall'arco di Bab Boujeloud fino alla Chouara, la zona della Moschea di Karaquin e delle Mederse. Nonostante sulla mappa il percorso sembri agevole e soprattutto breve, è quasi impossibile portarlo a termine, soprattutto in tempi rapidi. Le due Tala scendono e risalgono su e giù strette e in mezzo a infinite bancarelle e negozi di ogni genere. Da piccoli slarghi partono vicoletti altrettanto suggestivi che è impossibile non percorrere lasciandosi letteralmente perdere nel cuore e nella magia di questa città. Inutile seguire le mappe, è più semplice seguire le folle in discesa se si vuole raggiungere la Moschea, oppure la folla che risale se si vuole tornare verso la porta di Bab Moujeloud.
    Nelle ore serali è praticamente impossibile percorrere neanche 100 metri e non essere assaliti da venditori di merce di vario genere (alimentari, spezie, gioielli, ecc.). Le ore notturne svuotano El Bali di negozi e mercati, e lasciano i suq e le viette in balìa di gatti randagi e di pusher di ogni età che mi assalgono chiedendomi di che Paese sono e che tipo di hashish voglio. Nell'ordine da quando ho messo piede a Fès per levarmeli da dosso ho risposto di essere: roman (rumeno), espanol (spagnolo), russkiy (russo), francese, spagnolo, italiano... Niente da fare: i giovani e sorridenti ragazzotti che popolano la Tala el Kbira sono poliglotti e rispondono in quasi tutte le lingue del mondo....
    Mi rassegno e mi arrendo davanti alla medersa di Cherratin: acquisto 100 dirham di hashish nero come il carbone - ovviamente il suo proprietario mi rassicura che è la migliore qualità assoluta, che viene dalla montagna, più buona di quella di Marrakech, ecc. – e me la fumo in pace, assecondando l’usanza di farlo pubblicamente in assoluta normalità, come se fosse tabacco in Occidente.
    Finalmente in un po' di tranquillità nel piccolo e buio vicoletto del Dar Tahrya, la maison d'hotes dove alloggiamo. Un’oasi di pace nel caos incessante della medina; ma alzando gli occhi al cielo non vedo le stelle, né quella pace e né quel senso inspiegabile di poesia che provavo ieri notte immerso nelle dune sabbiose del Sahara.

    VI - L'Oceano a suo modo è un Deserto, non di terra o di sabbia come quello del Sahara, ma fatto di acqua e con lo stesso eterno e infinito senso di inconsolabile malinconia…
    Questi sono i miei pensieri dall'alta balconata della Kasba di Rabat, mentre attendo con impazienza il tramonto su questo magnifico scenario.
    Non è stato così veloce raggiungere Rabat, la capitale del Marocco, da Fès dove ci siamo svegliati stamattina. Seppure le due città distano soltanto 200 chilometri, ma io e Petrus abbiamo deciso di percorrerli, come fin qua, tutti in strada statale, rinunciando alla nuova e sicuramente più veloce autostrada a pedaggio.
    La nazionale 6 percorre fuori dalla metropoli una lunga serie di valli e colline verdeggianti, attraversando villaggi e cittadine (come Meknes e Kemisset) in un paesaggio più mediterraneo che africano.
    La giornata è bella calda, il cielo è azzurro e pian piano davanti a noi la vallata si apre a pianura, finché all'orizzonte si intravede la nostra ultima meta.
    La capitale è tagliata in due dal Bou Regreg, il primo grande fiume che incontro da quando stiamo instancabilmente girovagando per questa nazione. Un modernissimo ponte collega le due metà, la Sala (la parte nuova) con la città vecchia - dove sorgono la Medina, la Kasba e il quartiere Ocean.
    Il lungomare di Rabat è alto e scoglioso, ma il colpo d'occhio è subito eccezionale. L'Oceano imperversa da tutta la sua essenza con violente ondate contro le alte scogliere. Non ho di fronte a me il solito mare sul quale più volte mi sono dilungato in aliene fantasticherie sulle terre d’oltre orizzonte. Qui ho di fronte un continente liquido dalle dimensioni spropositate e quasi incalcolabili. Lo spettacolo del tramonto, inoltre, è qualcosa ai limiti dell'immaginabile, che fa quasi da contraltare all'alba ammirata in mezzo alle dune del Sahara. Il disco solare cala lentamente sull'orlo piatto dell'Atlantico, senza una nube che offuschi il suo inesorabile cammino. La rotonda sfera grazie all'effetto ottico diventa una gigantesca palla rossa che lentamente affonda nelle acque dell'Oceano. E' come se il sole si inabissasse nell'Atlantico e dopo una caduta di pochi secondi sparisse inghiottito dalle acque lasciando solo flebili raggi di luce che illuminano ancora per poco la vecchia Medina e il mondo intero.
    La Kasba ha le stesse atmosfere di una cittadina di mare pugliese: strette viette e case basse dal colore bianco ma dal basamento azzurro, che caratterizzano la vecchia cittadella a ridosso sull'Atlantico. La Medina, invece, differisce da quelle di Fès e di Marrakech: è più raccolta, meno incasinata, ma sicuramente ha lo stesso fascino di una città araba chiusa da alte mura sui tre lati. A ovest, sul versante che dà sull'oceano, un immenso cimitero arabo mostra una miriade incalcolabile di tombe e sepolcri a cielo aperto.
    Per l’ultima sera in Marocco, Petrus vuole lasciarsi un po’ andare, così acconsento alla sua idea di cenare in uno dei ristoranti più lussuosi della città. Una gigantesca struttura in legno con diretta vista sull’oceano, sicuramente una location fra le più cari ed eleganti (e inaccessibili a gran parte della popolazione). Ordiniamo una cena a base di pesce e anche se spendiamo qualcosa in più del solito, ci sembra di banchettare a un pasto degli Dei.

    VII - Da Rabat a Casablanca ci sono un centinaio di chilometri, ma io e Petrus come sempre ce li facciamo tutti su strada nazionale. Traffico lento e intasato in questa parte di Marocco, soprattutto a ridosso di queste due grandi città.
    Di Casablanca mi avevano parlato tutti male prima della mia partenza, descrivendola come una tappa da evitare. Ci concediamo così solo qualche ora, attraversandola con piccole soste da nord a sud. Sinceramente non condivido queste stroncature. Casablanca merita una sosta almeno per due motivi. La litoranea meridionale è lunga, larga, bella e con un colpo d'occhio davvero eccezionale. Parcheggio immediatamente a bordo pista e cammino sulla spiaggia sabbiosa dell'Oceano fra passanti che si godono un sabato di sole, e surfisti di ogni nazionalità che sfidano le onde dell'Atlantico. La corrente dell'Oceano è molto strana: le onde sono veramente alte, ma molto più lente rispetto a quelle del mare, come se si muovessero al rallentatore. L'acqua è freddissima, ai limiti del sopportabile, cosa già constatata con stupore qualche anno fa sulle coste portoghesi di Cascais.
    Dopo la passeggiata sulla spiaggia, risaliamo in auto e percorriamo il lungo e verdeggiante boulevard Sidi Mohammed, fino al secondo e importante motivo per vedere Casablanca ovvero l'imponente e stupenda Moschea di Hassan II, che troneggia sullo skyline della metropoli. L'edificio ha il minareto più alto del mondo e sorge in parte sulla terra e in parte su terreno strappato all'oceano. Una bellissima e gigantesca piazza, alle spalle della moschea, accompagna verso le strette viuzze dove, fra ragazzi che giocano a pallone in mezzo alla strada e negozi che vendono un po' di tutto, si arriva alla Medina Vecchia. Attorno si aprono i grandi boulevar alberati e a doppia carreggiata, sui quali troneggiano edifici e palazzi ipermoderni costruiti su quartieri molto più popolari.
    Dopo l'ultima tappa del tour marocchino, il viaggio da Casablanca all'aeroporto di Marrakech è da vero cardiopalma. Oltre al presunto usuale traffico del fine settimana in uscita dalla città marocchina più cinematograficamente famosa al mondo, ci becchiamo pure le file dei tifosi accorsi a vedere il sentito derby fra di calcio le squadre di Casablanca e Marrakech. I 210 chilometri di superstrada sono un unico intasamento di auto e furgoncini con a bordo tifosi bardati di sciarpe biancorosse in esagitato fermento: un'esodo dai numeri incalcolabili che si riversa casualmente sul nostro stesso tragitto rallentandoci di molto e facendoci temere seriamente di perdere l'aereo per l'Italia.

    VIII - L'aeroplano è decollato alle otto di sera in punto, concedendoci l'ultima vista dall'alto su Marrakech al tramonto. Da una parte l’Oceano Atlantico, dall’altra le catene montuose dell'Atlante, il deserto del Sahara, Le verdeggianti valli di Fès, Le spiagge oceaniche di Rabat e Casablanca...
    Non smetterei mai di viaggiare. Ciò che mi stanca e che mi logora non è l'irrefrenabile sete di esplorare, bensì la routine, le solite cose, le solite illusioni, la solita vita. Quella che dopo ogni viaggio mi riattende appena rimetto piede in Italia. Ed è facile dire che è solo un luogo comune sostenere che dopo ogni viaggio il proprio mondo sembra più piccolo. E' veramente così, e non c'è nulla da fare.
    Sono le 4 di mattina, sono a casa, e sto guardando il cielo stellato. Bello quanto volete, ma nulla a confronto con quello che si ammirava fra le dune del deserto. E’ un'imposizione non scritta, tuttavia ufficiale, quella di riprendersi la solita vita, con le sue fregature; come se sia così semplice, soprattutto ripensando ai posti visti e alle persone conosciute in questo lungo girovagare di 1566 chilometri su e giù per il Marocco, sotto le stelle, il sole, il vento, la neve, il freddo, la pioggia.
    Potrei già cominciare a pensare a un nuovo viaggio per evadere un po' dall’inevitabile malinconia che mi sta già assalendo, anche se di certo non basta, perché il vuoto sarà sempre difficile da colmare. E non bastano pochi momenti piacevoli, pochi ma buoni amici con i quali condividere una birra e, né una notte a guardare la luna con una donna che vorresti avere tutta per te ma non puoi.
    Le cose nel nostro piccolo mondo non vanno mai come vogliamo. Solo al di fuori di questo riusciamo a realizzare davvero i sogni, i desideri e le utopie.
    Mi continua a balzare in testa un detto berbero che Valeria, una delle due ragazze toscane conosciute all'accampamento di Merzouga durante la cena, mi ha raccontato:
    «Sai qual è la differenza fra un dromedario e una donna?»
    Subito pensai a un banale indovinello per farmi due risate, invece la risposta mi lasciò completamente spiazzato:
    «Con un dromedario attraversi il deserto, con una donna attraversi la vita»
    Il Marocco mi manca già inconsolabilmente.

    Edited by Liutprando - 4/4/2021, 11:06
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