MIRKO CONFALONIERA

  1. ADRIATIC ROAD 3
    s.s. Codognese, s.s. Padana Inferiore, s.s. Alto Polesana, s.s. Adriatica #iononviaggioinautostrada

    Tags
    ADRIATIC ROAD
    By Liutprando il 10 Jan. 2016
     
    0 Comments   81 Views
    .
    ponte-metauro.statale-adriatica-16-fano

    0 - Niente usuale petrus da "Vito's" stasera. La bottiglia è più asciutta dell'arida e gelida notte padana sopra di noi. Io e Paul ordiniamo due fondi di fernet, cercando di farceli andar bene, per scaldarci dall'inverno fuori e per digerire una notte, l'ultima, almeno per me, in nord-ovest. Chiacchieriamo del più e del meno, fra sorsi di amaro nero e forte come il generale inverno fuori. La città è deserta, il locale idem, e l'atmosfera è degna di uno scenario da film horror dove da un momento all'altro mi vedo entrare una banda di bikers che in meno di un minuto si trasformano in vampiri assetati di sangue umano. Fanculo, notte uggiosa e fanculosa. Manco uno straccio di luna in cielo. Solo freddo, ghiaccio siberiano-sovietico e il ricordo di poche ore fa di Lei, del suo profumo, della sua pelle, del suo corpo, sul mio, appiccicati, attaccati, mentre fuori la notte per un istante veloce flash non è notte ma un sogno. "Sarai il mio ultimo pensiero ogni sera prima di chiudere gli occhi" le confesso, quasi vergognandomi, di questa debolezza romanticuccia confidata così, alla vigilia della partenza, prima di rivederla fra quindici giorni. E la Puglia, e il Sud-Est, e il viaggio on-the-road, e le strade statali, e la foto di Putin appesa al mio cruscotto, e la cagnolina di peluche Livietta al mio fianco, e una bottiglia di amaro sotto il sedile, e un'altra vuota accanto, e un pacchetto di sigarette finito e da sostituire (o altrimenti il viaggio già lungo due giorni sarà interminabilmente infinito), e cartacce varie, e musica .mp3, e un mal di denti infernale, e un dannato dente cariato non curato, e sedili vuoti, e la strada davanti a me, e chilometri, a migliaia, come i miei perché. Ecco i miei compagni di viaggio di domani... Penso a questo, mentre Paul mi rabbocca il bicchiere, parlandomi del mio romanzo "Badlands Along Po River" (edizioni Parallelo45), di come l'ho scritto, quando e come mai. Sorrido, svuotando il sacco. La lunga strada mi aspetta, due giorni di viaggio per raggiungere la "California d'Italia", le sue spiagge, i suoi ricordi di un'estate e di tante estati passate e mai più tornate, le sue città, pianure, valli, colli, montagne, tavolieri, lungomari, pensieri. IO-NON-VIAGGIO-IN-AUTOSTRADA, perché le mie autostrade sono le vecchie strade statali, i miei autogrill sono i le osterie che incontro lungo il cammino, dove ordino da bere, un bianchino, una birra, un qualcosa, ascoltando i discorsi e le chiacchiere da bar, i dialetti straziati, la vera Italia da nord a sud. Un altro viaggio verso sud-est. Un altro inverno. Un'altra volta Puglia.

    1 - Pessina Cremonese (CR), statale 10, 98simo chilometro di viaggio. Asfalto, catrame, rombi di camion, auto, cielo grigio e sta pianura padana lunga e distesa all'infinito quanto un deserto verde fatto di logistiche, capannoni, piccoli borghi, campi incolti. Puglia ancora lontanissima in questo viaggio-miraggio verso il Sud-est percorrendo solo strade statali. Mi fermo al Bar del Camionista, lungo la statale "Padana Inferiore", fra Cremona e Mantova: è una tappa obbligata per i tutti i miei viaggi passati di qua verso il Polesine (cfr. https://confaloniera.blogfree.net/?tag=badlands). Sembra un autogrill, lungo una strada statale, ma dentro si respira aria di bar da paese. Cordialità e habitué che si conoscono da una vita. Giornale locale e chiacchiere sul domani. Linkin Park in soffusa radiodiffusione e titolone a mezza pagina sul nuovo lungo serbo ingaggiato dalla Vanoli Basket. Ordino un caffè e una lattina di coca cola per sconfiggere l'abbiocco post prandiale. La strada chiama, irresistibile profumo di smog, di campagna, di nebbia e di umidità. 98 km a est da Pavia, ancora un'infinità per la California d'Italia, lungo strade nazionali che danno la surreale impressione di non finire mai.

    2 - Ravenna, statale 16, 330simo chilometro di viaggio. Appena prima di Mantova anziché proseguire lungo la s.s. 10 per Monselice, le indicazioni per Ferrara mi obbligano a svoltare lungo la tangenziale che mi porta a sud della città virgiliana. Traffico intenso in un'ora di punta e a tenebre già calate su tutto il mondo intero. Mi dirigo lungo la s.s. 482 che costeggerà l'intero corso del fiume Po (diventando più in là s.r. 6) fino a Occhiobello, nei pressi di Ferrara. Il paesaggio fra la provincia mantovana e quella rodigina è caratterizzato da strade dritte e poco trafficate che corrono in mezzo a lande desolate e spettrali, dove ogni tanto spuntano come cattedrali in mezzo a deserti spaventosi e accecanti stabilimenti iper-futuristici, che in un trionfo visivo di acciaio e cemento spruzzano minacciose nuvole di fumo verso l'alto: la sensazione è quella molto futuristica di essere catapultati improvvisamente in un film di fantascienza post-apocalittica. Proseguo la mia corsa nel buio, scartando gli odiatissimi autovelox, alla ricerca di un po' di civiltà terrestre. Solo nei pressi dell'incrocio della statale "Adriatica" appaiono luci, svincoli, centri commerciali e la periferia della città di Ferrara. Attraverso finalmente il fiume Po nei pressi di Santa Maria Maddalena, confine regionale fra Veneto ed Emilia. Il chilometraggio della statale "Adriatica" (che con i suoi complessivi 1000 km esatti che collegano Padova ad Otranto è la strada statale più lunga d'Italia, nda) segna chilometro numero 78..... io devo arrivare al km 730.... di strada ce n'è come percorrere una galassia sterminata di pianeti, stelle e supernova luccicanti. Ferrara la supero con una comoda tangenziale che poi si butta in una scorrevole s.s. 16 senza incroci a raso, almeno fino ad Argenta. Da lì in poi, a parte la breve circonvallazione di Alfonsine, è tutto un percorso interno fra gli addormentati paesini romagnoli. Ah, ovviamente, se non fosse scontato ‪#‎iononviaggioinautostrada‬ e neppure so cosa siano i navigatori o i tom-tom... Ravenna appare dal nulla: mi dirigo in direzione nord, percorrendo prima la s.s. Romea, e poi tuffandomi nella zona industriale a ridosso della stazione ferroviaria. Stanotte alloggerò ad un hotel sulla circonvallazione esterna, a pochi minuti dal centro storico (che ho intenzione di visitare, facendoci un salto). Domani il lungo cammino riprenderà sulla statale 16 fino in Puglia...

    3 - Ravenna. Notte sulla s.s. 16 per la Puglia. 330simo km di viaggio - “Sei in viaggio in solitaria, hai detto?” mi domanda il barman versandomi il secondo shottino di fernet. Si chiama Joe, è un amico di Paul e gli ho portato i suoi saluti dalla lontana Pavia. Ieri sera avevo detto all'amico che, durante il mio viaggio on-the-road verso il Sud-Est, avrei fatto tappa notturna a Ravenna, dove lui conosce il barista del Fellini's Scalino Cinque, un lounge bar che sorge nel palazzone di inconfondibile architettivismo anni Trenta che domina piazza Kennedy, l'anticamera del centro storico della città romagnola patrimonio dell'Unesco. “Sì" -ripeto. “E dove sei diretto?” incalza Joe porgendomi il bicchierino gonfio d'amaro nero. “In Puglia. Ma percorrendo solo strade statali”. Un sorriso di stupore, poi mi domanda spontaneamente quanto tempo ci metterò. Due giorni. Credo. Spero... Sorrido anche io pensando a quanto pazzo sono, in fin dei conti. Ma le asettiche autostrade private, capitaliste e a pagamento le lascio per chi concepisce l'idea di viaggio solo come mero spostamento geografico da un punto all'altro del globo terrestre. Io ho un altro concetto di viaggio, per questo viaggio su strade statali, mi fermo nella città e nei bar dove capita, a volte a caso, a volte pensandoci prima. Era tanto che volevo visitare Ravenna, da sempre sfuggita ai miei perenni e instancabili girovagare per l'Italia al seguito da esagitato tifoso di squadre di calcio o di basket. D'altronde negli anni le referenze me ne hanno sempre parlato molto bene. Per cui eccoci, finalmente, San Vitale, il Duomo, il Battistero, la tomba di Dante, la basilica di Sant'Apollinare, ecc. Appena fuori le mura antiche la città nuova è un intricato dedalo di sensi unici: mi smarrisco e per puro caso mi ritrovo in piazza Gandhi, appena alle spalle di Porta Adriana, emblematico ingresso della città vecchia. Via Cavour addobbata ancora con luci natalizie, ma vuota come le mie reali possibilità di uscire con una bella ragazza che lavora in ospedale assieme a me. I primi agglomerati di persone li trovo in Piazza del Popolo, elegante piazzetta porticata su un lato, ma la città vive solo attorno a bar o disco-pub, che sparano musica anche all'esterno, lungo le principali direttrici quali via Guidone o via Ricci. Dalle mura antiche a ridosso di San Vitale fino a piazza Caduti per la Libertà è un divertente smarrirsi in strette viette e piazzette che caratterizzano tutto il centro storico. Tempo di mettere qualcosa sotto i denti e poi qualcosa per digerire. Così mi ritrovo al Fellini's, a discorrere con Joe dei miei viaggi transpadani verso il sud-est, infinitamente lontano eppure così magicamente vicino: l'aria di mare, di Adriatico, la s.s. 16… tutto fa sembrare la Puglia davvero dietro l'angolo, ma non è così purtroppo. Domani mi aspettano più di cinquecento chilometri di strada statale prima di raggiungere casa, attraverso città, paesi, luoghi, regioni, provincie, e un lungomare che mi accompagnerà per ore e ore, insieme a canzoni dell'autoradio, un pacchetto di sigarette, pensieri, sms, ricordi, il mal di denti, i mal di pancia, i capelli spettinati dal vento, una foto di donna da qualche parte nel portafoglio o dentro la giacca (ma tassativamente dalla parte del cuore), buoni propositi su come passare queste vacanze, cosa fare, non fare, scrivere, dire, baciare, lettera, testamento.

    4 - Fano (PU), statale 16, 450simo km di viaggio... Dopo colazione e dopo aver fatto il pieno di g.p.l. a un distributore sulla tangenziale di Ravenna sono già in sella alla mia Matiz blu lungo la statale 16 direzione sud. Fino a Rimini la strada è scorrevole, a tratti a doppia carreggiata. Lasciato il capoluogo romagnolo appare la gigantesca ruota panoramica del maestoso parco divertimenti di Mirabilandia avvolto nella nebbia: con la statale lunga e diritta e un paesaggio brullo circostante, l'immagine cinematografica è molto felliniana. Subito dopo, tuttavia, il paesaggio cambia radicalmente. Iniziano le caratteristiche cittadine di mare e il traffico si fa più intenso. Attraverso Rimini e i suoi malefici semafori lungo la tangenziale esterna. Riccione e Misano sono praticamente attaccati senza interruzione urbana. Solo dopo Cattolica la s.s. 16 torna veloce e scorrevole. Attraverso Pesaro e finalmente, dopo il centro urbano, vedo per la prima volta il mare. Fano è una cittadina marchigiana che conserva ancora le antiche mura. La circonvallazione costeggia tutto l'antico centro storico. Mi fermo per un caffè appena fuori città. Un cartello indica che per Ancona mancano una cinquantina di chilometri. Per la Puglia molti di più. Viaggiare su strade statali non è solo un modo di viaggiare... è una filosofia di vita, penso sorseggiando un caffè amaro seduto in un locale e attraverso le grandi vetrate guardando la lunga strada "Adriatica"...

    5 - Montesilvano (PE), Abruzzo, 630simo km di questo on-the-road percorrendo solo strade statali. Il mare Adriatico appare ogni tanto alla mia sinistra, il più delle volte nascosto da massicciate, dalla ferrovia, o dalle tante cittadine che incontro e che sono obbligato (per mancanza di varianti o circonvallazioni) ad attraversare per intero. Eccoti lì, penso, osservando i suoi scorci azzurri in quella sua mistica pace che regala altrettanta tranquillità... La strada lenta, le altre auto, pochissimi camion, persone che attraversano sulle strisce pedonali, che camminano sui marciapiedi, volti, sorrisi, facce serie, occhi, sguardi, chissà che pensano, chissà che dicono. E pensare che dietro a ognuno di loro c'è una storia, un qualcosa, un perché, un per come... Mi fermo in un baretto appena oltre il confine fra le provincie di Macerata e di Fermo. Osteria vecchia maniera, di quelle che piacciono a me, con gruppi di amici al bancone che brindano alla vita che verrà e anziani ai tavolini che giocano a carte imprecando per un sette di quadri giocato male. Ordino da mangiare un panino, poi un dolce e infine una sambuca al caffè; spendo in tutto solo 6 euro. I prezzi cominciano a scendere, segno che la Puglia, seppur ancora lontana, si sta avvicinando... Sambuca, sigaretta, messaggi, sigaretta, cielo, asfalto, strada, il mondo che gira attorno a me. Si riparte. La costa adriatica scivola via lentamente, ma in maniera inesorabile. Il sole appare fra le nuvole strane e dietro le alte montagne del Gran Sasso nei pressi di Pescara. Ho attraversato città come San Benedetto del Tronto e Giulianova come se fossero addormentate su sé stesse. E allora anche il viaggio si trasforma in un sogno, che ha una ancora più grande utopia, quella che sto coltivando da ieri, cioè di raggiungere la “California d'Italia” percorrendo solo strade statali, novello Jack Kerouac di serie B che odia le autostrade e preferisce le vecchie strade di una volta. E allora via da Pavia a Cremona, poi a Mantova, costeggiando il fiume Po, fino a Ferrara, Ravenna, poi la statale 16, e così con Rimini, Riccione, Pesaro, Fano, Ancona… Finché arrivo a Pescara. Seduto su una panchina, in un parcheggio di un distributore di g.p.l. e altri carburanti, dominato da palazzoni giganteschi e da un vento insolitamente freddo, finché uno non si accorge che è quel freddo tipico di mare, di litorale, di bagnasciuga, il vento del Sud. Fumo una sigaretta, e allora comincio a capire. Il traffico lento, i treni che passano, le fronde degli alberi che si muovono, le onde del mare che arrivano e che si ritirano, sensualmente, l'orizzonte, la linea piatta che segna il confine con l'Est, la strada lunga, diritta, verso il Sud, chiacchiere, voci, dialetto abruzzese, palme che adornano il viale, il tramonto, la voglia di una birra Peroni, di arrivare, di Lei che fosse qui con me e adesso. Questo è il vero senso di VIAGGIARE...

    6 - Termoli (CB), Molise, 750simo km on-the-road... Dopo aver saltato la sterminata e incasinata e trafficatissima bolgia di Pescara con una tangenziale dritta e veloce, rimbocco la statale 16 nei pressi di Francavilla. Il tragitto si fa subito molto tortuoso, fatto di continui tornanti e curve che danno su strapiombi a mare. Il colpo d'occhio sulla riviera sud abruzzese sarebbe molto suggestivo se il sole non tramontasse in un attimo e calassero le tenebre più spietate su ogni landa che attraverso. Ortona, San Vito e Tollo sono gli ultimi avamposti di civiltà umana, poi mi accoglie solo un buio tenebra che sembra infinito. Un anabbagliante della mia Matiz, tra l'altro, decide di tradirmi, per cui guido anche con difficoltà, seppur il traffico di auto e di camion dopo Pescara è praticamente inesistente e per chilometri e chilometri mi sembra di essere l'ultimo uomo sulla Terra, sopravvissuto ad una ecatombe nucleare molto probabilmente scoppiata mentre io ignaro seguivo i cartelli per Foggia. Sono indeciso se fare un'ultima sosta a Vasto (cittadina chietina arroccata su colli che dominano la litoranea adriatica) oppure Termoli, che ho già visto in passato… Almeno, così mi sembrava… La scelta, invece, di ri-visitare il porto molisano si rivelerà azzeccata. Per me Termoli era soltanto tre cose fino ad oggi: autogrill sulla A14 dove, quando VIAGGIAVO in autostrada, facevo l'ultima tappa e l'ultimo rifornimento di g.p.l.; le prime spiagge sabbiose dalle conformazioni nord-pugliesi dove passai una mini-vacanza nella lontana estate del 1996; il Porto, dove ogni giorno da giugno a settembre centinaia di persone prendono d'assalto le navi che vanno alle Isole Tremiti, gioiellini caraibici trasportati al largo delle coste del Gargano… Mai un errore di valutazione più grande in vita mia! Come parcheggio davanti alla stazione e mi incammino verso il centro mi accoglie un fortissimo vento, che dà subito l'impressione che il mio soggiorno sarà breve e sbiadito. Invece, addentrandomi dalla piazza Vittorio Veneto lungo via Nazionale, un carino corso pedonale, mi dirigo verso la vecchia cittadella, una penisola affacciata sul mare, parzialmente ancora cintata, che mi omaggerà delle sue bellezze architettoniche: una stucchevole torre antica, una meravigliosa cattedrale romanica e sognanti strette viuzze lastricate di marmo che con le luci giallognole dei lampioni assumono tonalità quasi fosforescenti. Dal suggestivo lungomare della cittadella si ammira a nord la litoranea di luci e spiagge, a sud il porto a quest'ora silenzioso e immobile. Una bella sorpresa Termoli: una sosta veloce e breve, ma sicuramente obbligata, per chi transita come me nel vasto deserto fra Pescara e la Puglia. Da vedere. E dopo una pizza & birra veloce in un locale davanti alla stazione ferroviaria il viaggio potrà finalmente riprendere e giungere forse alla fine? Chissà…..

    7 - Arrivo a Serracapriola (FG) a notte ormai fonda. Il buio è totale, le lande attorno a me sono più desolate di un pianeta spopolato. Vago nel buio finché i fari (pardon, il faro) della mia auto illumina il cartello blu con la scritta "Compartimento della Viabilità per la Puglia". Inconfondibile segnaletica che indica il confine fra le regioni del Molise e della Puglia. E dopo 750 km di strade statali e due giorni di estenuante viaggio eccomi finalmente alla frontiera pugliese... e ora l'ultimo sforzo, dunque: avanti s.s. 16 fino a Barletta!

    8 - San Ferdinando di Puglia (BT). 880 km di strade statali e, con le soste e la tappa notturna a Ravenna, 32 ore di viaggio... in autostrada i km sono meno di ottocento e oggi con le moderne e veloci A1 e A14 siete a Barletta in otto ore con due soste tranquille nei vari attrezzatissimi autogrill disseminati lungo il tragitto. Otto ore, un terzo di giornata, una frazioncina irrisoria rispetto ai viaggi che percorro io sulle vecchie strade statali, piene di semafori, colonne, stop, città, e distanze lontanissime che sembrano non arrivare mai... E però... E però. .. E però, c'é sempre un però. Chi percorrerà almeno una volta nella vita le vecchie strade si accorgerà di quel PERÒ senza doverlo star qui a spiegare o a ripetere. Ognuno avrà a suo modo un suo però. Il mio è che viaggio in Statale per il piacere di viaggiare e raccontare. Attraverso l'Italia, le sue regioni, le sue differenze che la fanno eterogenea e unica allo stesso tempo, diversa e unita da nord a sud, lungo le vecchie nazionali, come un continente di popoli e gente attraversato da una route sixty-six nostrana, fermandomi ogni tanto, dove capita, perché il bello è fermarsi, guardare, fumare una sigaretta, scrivere un paio di cose, e poi ripartire. Non é forse anche la vita stessa un viaggio? e allora perché non farlo con tutta la calma del mondo e la voglia di viaggiare dentro la testa?... Io in un modo o nell'altro in Puglia ci sono arrivato. Per l'ennesima volta. E anche se stanco e sfinito ho riempito un altro po' quel famoso vasetto che si riempie viaggiando: sasso dopo sasso, granello dopo granello, viaggio dopo viaggio... Chissà se lo riempirò mai tutto il mio di vasetto e cosa accadrà quando sarà colmo. Tuttavia, stasera non me lo voglio chiedere. Stasera mi godo la mia birra media al Controvento pub lungo questa magica statale 16 e con la mia Puglia tutta attorno a me. Nel tempo ci penserò. Per ora mi sollazza viaggiare a modo mio. E scrivere per raccontare. Dal Sud Est, 880simo km di viaggio, buonanotte Italia.

    9 – Monte Sant'Angelo (FG) - Big Peter è stranamente in ritardo. Sono le 11:35 di una bellissima fine mattinata pugliese, il vento dei giorni scorsi ha spazzato via ogni nuvola estranea in questo bellissimo dipinto azzurro che io chiamo “Cielo del Sud”, e il Gargano, sornione e sospettoso all'orizzonte, che fa da chioccia sul maestoso Golfo di Manfredonia, è lì che sembra impaziente di aspettarci. Bip-bip, messaggio via whatsapp dell'amico, che recita così: “Estremista! -suo particolarissimo modo di soprannominarmi per via di certe mie uscite spesso improvvise e impulsive, nda- Sto arrivando!”. Allora puntello spostato in piazza, a quello che io chiamo bar Falcone (ma che in realtà si chiama Gran Royal Bar), per salutare Savino, il proprietario, conoscenza di una vita, chiedere come sta, come va e come non va, ordinargli da bere un bicchiere di bianco e uno di campari, sorseggiandoli, gustandomi la visuale della piazza nuda, spoglia e bella come una ragazza dell'Est, e rinvangando anni e aneddoti adolescenziali di sbronze e bevute e ubriacature da antologia in quel bar nei vecchi e spensierati anni Novanta. Partiamo carichi come non mai alla conquista del Gargano. In auto si parla del più e del meno: i nostri quarant'anni, l'Inter e il Torino calcio, le ragazze di oggi, quelle di ieri, vecchie scopate memorabili, annessi e connessi. Dopo Trinitapoli imbocchiamo la s.s. 159 “delle Saline”, che corre in uno stretto istmo di terra fra il mare Adriatico, e le suddette saline, enormi vasconi d'acqua salata per l'estrazione e la produzione del sale dall'acqua di mare, che sono le più grandi di Europa e le seconde a livello mondiale. Fanno parte di una riserva naturale dove nidificano e vivono curiosissimi fenicotteri rosa. In limpide sere il sole che tramonta, su quello che una volta era il Lago di Salpi, è uno spettacolo davvero più unico che raro da immortale in foto-cartoline. Si prosegue: dopo Zapponeta, piccolo borgo abitato e immerso in una desolante landa di terra bruciata e zone umide, sopraggiungiamo a Manfredonia, capoluogo dell'omonimo golfo marino. Dopo la sua moderna e veloce tangenziale ci arrampichiamo su una stretta strada piena di tornanti verso Monte Sant'Angelo, celebre cittadina posta a 800 metri sul livello del mare che conserva il Santuario di San Michele Arcangelo, patrimonio Unesco, antichissimo centro di culto di epoca longobarda, che ha la spettacolare caratteristica di trovarsi in grotte scavate nelle rocce calcaree. Un collaudato itinerario religioso obbliga turisti e pellegrini a visitare, oltre al santuario dell'omonimo arcangelo, la vicina San Marco In Lamis (dove da vedere assolutamente c'è il Convento di San Matteo Aposotolo, IX secolo d.c.) e la più celebre (e fin troppo inflazionata) San Giovanni Rotondo, sede del Convento di Padre Pio. Il trittico garganico, se unito al rientro verso casa a una sosta veloce nella non lontanissima Borgo Incoronata di Foggia (per ammirare la curiosa Madonna nera col Bambin Gesù, scolpita da un tronco di albero di ulivo scuro), completerà la classica gita fuori porta che qui nel Nord Barse / Sud Foggiano è tipico e classico organizzare con amici nelle giornate di Pasquetta o nelle domeniche primaverili/estive. Il tutto, ovviamente, per i meno ferventi cattolici come me si unisce a un tour eno-gastronomico tutt'altro che secondario. Monte Sant'Angelo, oltre che essere patria della “Tarantella Garganica” (una variante meno conosciuta della più nota pizzica salentina, nda), è famoso per il suo pane dalla caratteristica forma tonda e di grande dimensioni (le forme arrivano anche a essere gigantesche quanto un busto umano) e che ha la capacità di conservare la sua fragranza anche dopo una settimana intera. Altre due specialità culinarie sono il caciocavallo (un formaggio duro dal sapore un po' piccante) e la carne di agnello, qui servita in qualsiasi ristorante del centro storico, che la offrono in ogni forma anche se alla brace, con i buonissimi torcinelli o gnumareddi (=”interiora di agnello”), è la morte dei sensi. Orecchiette con cima di rapa e acciughe per iniziare il pranzo (piatto regionale d.o.c.), che poi finisce con l'assaggiare il Limonovo, un tipico amaro montesantangiolino a base di buccia di agrumi e foglie di ulivo. Monte Sant'Angelo in questa stagione è molto diversa rispetto ai periodi estivi o domenicali. Quando io e Big Peter usciamo dalla trattoria davanti al santuario ci sembra di essere catapultati in una cittadina spettrale e deserta. Gran parte dei locali e delle botteghe di souvenirs sono chiusi (ma molti riapriranno dopo le cinque pomeridiane) e tutta quella calca che avevo sempre incontrato nelle mie precedenti escursioni sono davvero un lontano ricordo. Diciamo che forse, allora, questa è la stagione migliore per visitare il piccolo e grazioso centro storico, arroccato su un colle, che va dal castello al Santuario, e che si perde in strette stradine, scale e spettacolari scorci sul Golfo adriatico. Proseguendo in auto per le già citate San Marco e San Giovanni attraversiamo le verdeggianti vallate del Gargano e lentamente ritorniamo sulla pianura del Tavoliere delle Puglie, mentre il sole stra tramontando dietro gli Appennini Dauni.

    10 – Margherita di Savoia (BT) - Io, la mia cagnolina di peluche di nome Livietta, il mare Adriatico, la spiaggia di Margherita, i gabbiani che volano bassi, uomini che camminano sul lungomare, cani e pensieri, nuvole e onde del mare, il mio Est Europa davanti a me, la città di Barletta da una parte e dall'altra il Gargano, il vento calmo, la pace, il sole dietro case e palazzi, pensieri per donne non qui, una giornata di gennaio che é primavera, un libro di Garcia Marquez, quel blu profondo sopra e davanti ai miei occhi... e la Puglia tutta attorno. Questa è la California d'Italia!

    11 – Molfetta (BA) - Puntello alle nove stasera davanti a casa mia, ma Big Peter non è puntuale neanche stasera: forse se una bella figa gli dicesse fatti trovare a quest'ora che ti passo sopra come il Freccia Bianca Milano-Lecce apparirebbe all'improvviso. Gira e rigira, aspetta e aspetta, e l'amico si presenta con dieci minuti di ritardo, ma accompagnato da Roxy, vecchia amica di entrambi che non vedo da parecchi mesi. Baci, abbracci, insulti perché non mi faccio mai sentire e quando mi faccio sentire sono solo per raccontare guai o delusioni o disillusioni sentimentali. E va be', è notte, siamo in Puglia, stiamo a qua a cantarcela di ogni? No, si sale in macchina e la statale 16 ci guida magicamente in direzione sud. Le città costiere del Nord-Barese (Barletta, Trani, Bisceglie, Molfetta, Giovinazzo) sarebbero da visitare tutte, anzi, da sfogliare come si sfoglia un'enciclopedia alla ricerca di singole parole sparse qua e là. Avendo la fortuna di essere mezzosangue puglise, negli anni della mia vita mi sono dato all'esplorazione della costa, così come per le rispettive doppelganger entroterrene (Corato, Ruvo, Terlizzi e Bitonto). Sono tutti gioielli architettonici che racchiudono scorci che meritano di essere visti almeno una volta. Ma la notte purtroppo è una sola, e stanotte è la volta (anzi, è la ri-volta) di Molfetta, 25 km a nord-ovest di Bari, prima città della provincia oltre il confine della B.A.T.. Da queste parti Molfetta è più famosa per la zona attorno alla statale 16, che corre lontana dal centro; attorno allo svincolo sono cresciuti come funghi futuristici: un ipercapitalista outlet, una traficattissima area commerciale, un luna park perenne, sale ricevimenti, e una smisurata zona artigianale-industriale (a fare da contraltare a tutto ciò dovrebbe esserci da qualche parte anche un centro sociale occupato e autogestito). Il post-modernismo della Molfetta di periferia si contrappone appieno a quello del suo grazioso centro storico, raccolto in una penisola che si affaccia sul Mare Adriatico, e che conserva tutte le sue meraviglie: il romanico Duomo di San Corrado, il borgo antico e il suo porto, le strette e caratteristiche viette, il suggestivo lungomare. Ci addentriamo senza una precisa meta. Le viette, bianche e illuminate da luci fioche, sono deserte e quasi spettrali. Ci colpisce la Chiesa della Morte, una sconsacrata costruzione religiosa ad angolo sulla cui porta campeggiano quasi a monito severo un teschio con ossa incrociate: un implicito avvertimento di non varcare quella soglia. Silenzio e rumore solo dei nostri passi. Gatti randagi che sull'Approdo di Sant'Andrea sembrano sfidarsi l'uno con l'altro. L'acqua del mare è di una limpidezza che sembra di essere ai Caraibi, e la piattezza dell'Adriatico davanti a noi condisce l'impressione di calma e relax immersi in un buio contornato solo da luci di pescherecci lontani e irraggiungibili. Tutt'altro skyline una volta raggiunto il Duomo e la zona del Porto. Il lungomare molfettese offre una passeggiata luminosa, ricca di locali e di qualche essere umano in più. Ci infiliamo in uno di questi pub, un giovanile e cordiale lounge, dove ordiniamo svariati drinks e stuzzichini, mentre io chiacchierando con due ragazzi dietro al bancone scopro la loro passione per la musica hip-hop, le serate con musica a palla e disco e lontano da tutto e da tutti. Ecco che mi raccontano del sedicente centro sociale in via dei Lavoratori, nascosto in uno dei capannoni a ridosso della s.s. 16, che una sera di qualche anno fa io e Pablo, vecchio amico di viaggi randagi sulle strade statali di mezza Italia, alla ricerca di un locale underground alle porte, provammo vanamente a cercare per ore e ore smarrendoci fra uliveti e capannoni industriali. E' tempo di rientrare, non prima di un ultima camminata per le viette bianche e strette del centro di Molfetta, immortalati dalla luce biancastra dei lampioni e delle poche stelle in cielo che beffardamente, poco dopo, sembrano accompagnarci nel nostro ritorno sulla s.s. 16 verso la provincia di Barletta.

    12 – Taranto - Cielo grigio stamani su tutto quanto il Sud-Est. Giornata uggiosa, e se non fosse stato per Lucy che mi ha buttato giù dal letto a furia di TOC-TOC sulla porta di casa per chiedermi se avevo una sigaretta da offrirle, credo che avrei dormito tutto il giorno, nonostante ero d'accordo di recarmi con Big Peter nella città di Taranto, ultimo angolo di Puglia ancora inesplorato (almeno parzialmente) dai miei occhi. Infatti, poco dopo, l'amico arriva tutto tirato e con un'espressione dura e gelida come il freddo insolito di oggi. Imbocchiamo la statale 16, direzione sud, con io che sto ancora metà sonnecchiando e metà ripensando ai curiosi e bizzari sogni notturni. La statale “Adriatica” fino a Bari (e anche oltre) è tutta a doppia careggiata, con uscite a svincoli e niente incroci a raso. Il traffico è leggero, si infittisce soltanto nei pressi del capoluogo pugliese, quando la s.s. 16 diviene praticamente la sua tangenziale esterna. Dopo il maestoso stadio San Nicola che si ammira dalla superstrada nei pressi del casello autostradale facciamo la prima sosta ad un baretto in un'area di servizio fra palazzoni grigi e macchine ferme ai bordi stradali. Due caffè per svegliarci, serviti da due ragazze tanto belle quanto fredde e di pochi sorrisi. Ripenso a Licia, la ragazza del Bar Inter, che ieri mi ha servito un amaro fernet, mentre cercavo di scacciare via la noia e pensieri, entrando per caso in quel locale e trovandoci il suo sorriso e i suoi occhi azzurri sulla cima di lunghi capelli e di una bellezza tipica mediterranea che mi ammaliò, e che mi costringerà stasera, al rientro, ad una futile scusa, una amaro lucano, o altro, per rivederla anche solo pochi minuti e scambiarci ancora due chiacchiere innocenti. Ripartiamo imboccando la statale 100, che fino a Gioia del Colle è a doppia carreggiata, per poi diventare negli ultimi tratti a corsia unica. Taranto fino a oggi per me era sempre stata unicamente una città scivolata via dai finestrini dell'auto durante i viaggi verso il Salento jonico. Le gigantesche e scioccanti ciminiere dei mega-complessi industriali dell'Ilva, ammirate dalla statale nei pressi di Massafra, o anche dalla tangenziale per Grottaglie, sullo sfondo di un cielo perennemente rossiccio era tutto ciò che sapevo di Taranto. Per me la “Città dei Due Mari” finiva sempre lì, se non una fugace incursione, una tarda sera estiva rientrando da Baia Verde (LE), alla caccia nei suoi sobborghi più a sud della quasi leggendaria birra Raffo (una lager chiara, tarantina d.o.c., che ha come disegno impresso il delfino – simbolo della città – e i contorni rosso e blù – i colori sociali del Taranto Calcio, nda) e della puccia tarantina da Poldo's, una variante fin troppo “americanizzata” e infarcita di ogni della più classica versione leccese. Stop. Taranto restava un'utopia vista dal nuovo ponte di Punta Penne, e l'amletico dubbio se oltre a quelle acciaierie che sputavano nuvole di fumo in continuazione e a quello scenario futuristico alla Blade Runner esistesse pure una città. Oggi, finalmente, l'avrei scoperto… Iniziamo subito con la fine, e perdonatemi l'ossimoro bizzarro: Taranto è una grande scommessa non vinta. E' una scommessa perché la sua conformazione naturale è a dir poco spettacolare: la città vecchia sorge su un isola all'imbocco dei due mari (il mar piccolo, un mare “interno” dalla curiosa forma di un gigantesco otto; e il mar Grande, lo Jonio 'esterno' racchiuso fra Punta Rondinella, Capo San Vito e le dirimpettaie Isole Cheradi), collegati alla parte 'nuova' dall'originale Ponte Girevole; è persa, perché vivacchia, anzi vegeta, in uno stato di abbandono e di disagio grande quanto lo Jonio intero. L'isola, dal Castello Aragonese, fino al Duomo, e a tutte le strette viuzze del reticolato urbano, sembra la realizzazione vivente di quel vecchio film di fantascienza “1997: Fuga da New York”, dove si immaginava, a suo tempo (il film è degli anni '80), che l'isola di Manhattan diventasse una mega prigione a cielo aperto senza leggi né codici, e dove una società parallela di detenuti, prigionieri e reietti vari si organizzasse secondo le uniche regole della sopravvivenza e della legge del più forte. Varcare a piedi il Ponte Girevole e addentrandomi negli stretti budelli della Taranto Vecchia galleggiante mi ha fatto lo stesso effetto. Tantissimi palazzoni, architettonicamente belli, ma vuoti e tenuti in maniera un po' fatiscente, passanti che ci squadravano male ad ogni nostro passo, un ragazzo che ci ferma e ci intima un'elemosina - e quando Big Peter gli molla stufo di sentirlo una moneta da 50 cents, questo ne pretende con veemenza un'altra. Poco più avanti, non siamo neppure arrivati in piazza Duomo, un tizio inchioda la sua motoretta davanti a noi sbarrandoci il cammino e chiedendoci minacciosamente: “Cumpà! C'è qualcosa che non va?”. Sono quasi certo che devo ringraziare la compagnia dell'amico Big Peter e la sua grossa stazza fisica se sono uscito indenne oggi da Taranto Vecchia, che non mi aspettavo certo così ostile nei riguardi di due ignari turisti. Ma il fatto è che Taranto non vive di Turismo, e me ne accorgo ad ogni passo, ad ogni angolo: il collasso dell'Ilva ha lasciato profondi strascici di disagio su questa città, che potrebbe essere una seconda Venezia, o una Venezia del Sud, e invece è una grigia e tetra isola che si specchia in uno scenario di degrado, disoccupazione, malattia (i tantissimi casi accertati di tumori lasciati proprio dall'eredità dell'Ilva) e abbandono. Il lungomare piccolo (l'altro versante) è un po' l'emblema dell'effetto che mi ha fatto Taranto in generale: se sullo Jonio lo sfondo rimane monopolizzato dagli stabilimenti portuali e industriali della zona nord-ovest, da questa parte prende il comando la desolazione di vecchie chiatte e di navi in pensione lasciate malinconicamente a marcire ormeggiate a largo fra la città vecchia e il ponte della superstrada. Ci infiliamo in una tipica trattoria, dove mangiamo bene e a base di pesce, ma dove senza indicarci mai il prezzo di niente ciò che ordiniamo, alla fine ci aspetterà un conto un po' arrotondato, che Big Peter liquiderà con un profetico: “Vedi? Questo è uno dei tanti motivi per cui il Sud non riuscirà mai a uscirne fuori dalla sua situazione”. Incasso senza battere ciglio. Ci avviamo nella città nuova, dove lo scenario cambia radicalmente: dai Giardini Peripato (una graziosa oasi verde che si affaccia sul mar Piccolo) in poi prende vita un secondo centro cittadino, fatto di strade lastricate, negozi e piazze tenute fin troppo bene. Taranto Vecchia e Taranto Nuova, la forte contrapposizione fra il degrado e il modernismo però di facciata. In mezzo il vuoto, di una città malinconicamente lasciata al suo destino dopo i fatti dell'Ilva. A Taranto Nuova di trovare una birra Raffo, ovviamente, non se parla manco a pagarla a peso d'oro… Anni fa, quella famosa sera girovagando per i sobborghi meridionali, faticammo molto a trovare un locale che avesse questa birra. E non capivo perché. E' una birra tarantina d.o.c., la versione doppelgangeriana della barese Peroni, perché non c'è? Perchè, mi spiegò finalmente una trattrice in una pizzeria d'asporto parecchio fuori città, la birra Raffo costa poco e attira una certa clientela che molti locali non vogliono avere… Ricollego magicamente quelle parole alla giornata di oggi, e allora non ho dubbi. Forse sarà rischioso e imprudente, ma io voglio bermi una Raffo a Taranto, e se lo voglio devo tornare sull'isola della città vecchia. Convinco Big Peter arrivando al compromesso che lui resterà in auto col motore acceso (io chioso con un melo-cinematografico: “se non dovessi tornare entro cinque minuti, parti a razzo e vai a dire a Lei che l'ho sempre amata”) davanti a un baraccio di pescatori sul lungomare piccolo, mentre io scendo e mi avventuro in mezzo a occhiatacce che si commentano da sé. Sono stato in situazioni ben peggiori, da solo a girare per i sobborghi di Mosca alla ricerca di una copisteria, un sabato sera ad Ankara nella culla dell'islam o a Baku in balia di un tornado che si abbattè sulla costa del mar Caspio, e ho sempre riportato tutto a casa: possibile che Taranto sia più temibile? Infatti non lo è. Ordino al bancone la mia Raffo, la pago all'irrisoria cifra di un euro e me la gusto fuori seduto a un tavolino, fumando una sigaretta, e respirando aria di mare salmastro e umido. E' già notte, e ora di tornare verso il nord della Puglia ripercorrendo a ritroso le statali 100 e 16. In auto io e Big Peter chiacchieriamo di donne, di viaggi, del Muro di Berlino, dell'Est Europa, della Romania comunista dei tempi di Ciaucescu, di come si stava meglio quando si stava peggio, di tutto e di più.

    13 – Trani (BT) - Qua nel Nord-Barese Trani è considerata una meta assolutamente da non perdere, e per quanto io da sfegatato oltranzista barlettano preferisco e mi piace di più la “Città della Disfida”, condivido che ogni vacanza o passaggio nella provincia B.A.T. (unica provincia trina in tutta Italia, nda) senza aver visto la "sorella" Trani, è come mangiarsi un piatto di orecchiette in bianco, e non accompagnate con le consorti cime di rape o meglio ancora foglie di rucola. Così è un sabato sera insolitamente freddo, buio, e ventoso quando Rosemary (un'amica sanferdinandese conosciuta da pochi anni) mi chiama per chiedermi se nel mio perenne girovagare da nord a sud della Puglia ho dieci minuti di tempo da concederle per un caffè e una sigaretta. Farò di più, le confesso; che fai stasera? Niente? Davvero? Okay, allora ti va di uscire fuori paese? Trani? Perfetto! Si va! Sembrano passino pochi secondi da questa chiacchierata a quando siamo su un astronave che viaggia alla velocità delle luce sulla statale 16 in direzione sud, invece il sabato notte ci ha già presi e inghiottiti. In auto si fuma, si ride, si scherza, si parla del più e del meno, mentre la radio trasmette canzoni .mp3 pop nostalgiche degli anni '80 e della nostra adolescenza che ormai non c'è più. Trani è soprannominata “la Perla dell'Adriatico” (ogni mare, penso, ha la sua perla: mi ricordo Vargas, la “perla del Mar Nero”, e quel viaggio on-the-road di anni fa con Anthony e Nikki che attraversammo ex Jugoslavia, Bulgaria, Romania, Transilvania e ogni altra cosa che finiva in IA per raggiungere quelle sponde di quel mare al confine fra due continenti). Effettivamente la Cattedrale di Trani, spettacolare capolavoro di romanico pugliese, reso celebre ai neofiti qualche anno fa con quello spot tv pubblicitario di una nota marca di automobile, che sorge su un lungomare tutto da vedere, non lascia indifferente. Per visitare Trani ci vuole poco, ma a ogni passo si respira aria di mare mixata a storia e suggestione. Noi respiriamo anche un freddo vento che spira da Est che rende quasi disumano la più classica delle camminate. Castello Svevo, Cattedrale di San Nicola Pellegrino, il porto che monopolizza tutto il lungomare della città vecchia, il Molo di Sant'Antonio dove si ammira il faro e Trani come una cartolina in bianco e nero d'altri tempi e dove d'estate c'è una discoteca all'aperto che offre divertimento per i giovani e meno giovani che vogliono ballare e bere cocktails praticamente sugli scogli del mare Adriatico. Ma limitare, come ho fatto io per anni, le bellezze di Trani al piccolo itinerario che dalla Cattedrale conduce, attraverso il porto e il faro, alla deliziosa piazzetta Tomasselli, come tutto il resto piena di ristoranti e locali, sarebbe un grosso errore. La litoranea sud sarebbe tutta da percorrere in auto, peccato che da qualche tempo a questa parte un maledetto senso unico di marcia ce lo impedisce. Meno male che Rosemary conosce scorciatoie e parallele, e in men che non si dica siamo nella punta più a sud dalla città, quella dove sorge il Monastero di Santa Maria (XI sec.), situato sulla penisola di Capo Colonna. Arrivarci è un'impresa degna del migliore coraggio. Siccome coraggio non ne ho, ma ho molta incoscienza, soprattutto nei miei viaggi, non mi fermo e tiro dritto. La strada che dalla litoranea conduce alla penisola è battuta non solo da un fortissimo (e gelido) vento tropicale, ma anche da una vera e propria mareggiata. Fermi all'imbocco della breve salita del Monastero io e Rosemary assistiamo a esplosioni di schiuma di mare contro gli scogli che si riversano con rabbia e violenza sulla stradina. E' una pioggia di acqua di mare, dentro la pioviggine incessante che ci accompagna da quando siamo partiti da San Ferdinando, più paragonabile a colpi di fuoco di carri armati sbucati da un mare agitato come un terremoto che preannuncia la fine del mondo. Dio Nettuno, all'orizzonte, quell'orizzonte che ci divide con la dirimpettaia Repubblica di Montenegro, vuole a tutti i costi impedirci di raggiungere il monastero benedettino. “Hai paura?” chiedo a Rosemary, come se la sua risposta avesse importanza. Una violenta ondata di acqua di mare si abbatte sugli scogli e si alza nel cielo prima di schiantarsi a terra sulla strada che dobbiamo percorrere. “Io no! -mi risponde l'amica, accendendosi una sigaretta e fumandosela con tuta tranquillità- Basta che il vento non ci capotti”. Attimi di silenzio mentre osservo un'altra scarica di acqua violenta che sembra prendere a cazzotti duri e forti la stretta vietta che si arrampica su a Capo Colonna. Mi ricordo improvvisamente Baku, il mar Caspio, quel viaggio di pochi mesi fa nel Caucaso, quel tornado che mi sorprese mentre vagavo per le vie della capitale azzera, e poi mi rifugiai in quel pub in quello scantinato dove conobbi Sabina e poi e poi e poi… Quante cazzate... “Non ci capotterà!” mi limito a rispondere. Trattengo il fiato e schiaccio l'acelleratore fino in fondo. Folate di vento che fanno ondeggiare l'auto. Schizzi di acqua di mare come se attraversassimo un urugano. Ricordi, non so perché, di Istanbul vecchia, del mar Bosforo, pieno di meduse, donne col burqua, nenie soffuse in sottofondo, moschee islamiche, tramonti d'oriente, il mercato del vecchio Bazar, e dei bambini che facevano il bagno in mare a pochi passi dall'attracco del traghetto… Siamo sulla cima della penisola. Dal finestrino dell'auto il monastero di fronte a noi e tutto il lungomare di Trani fino alla vecchia Cattedrale è uno spettacolo indescrivibile. Uscire fuori penso sia più suicida di correre nudo in una tempesta di neve in mezzo alla siberia sovietica di gennaio. Il vento mi solleverebbe da terra e mi trascinerebbe fino alle scogliere di Capo d'Otranto, donde si vede in serene giornate le coste albanesi. Restiamo pochi minuti ad immortalare lo spettacolare scenario di bellezze e rabbia, prima di ripetere il passaggio nelle forche caudine della Natura. La Matiz barcolla, folate di vento e inondazioni di acqua di mare ci avvolgono, ma passiamo indenni. Nel viaggio di ritorno, sulla statale 16, mi accorgo che il parabrezza è letteralmente cosparso di sale. Ci penserà la natura a pulire via il tutto. Seppur un mezza luna si affaccia beffarda fra nuvole gonfie e nere, nella notte e fino a mezzodì del giorno dopo sulla “Calfornia d'Italia” si abbattono in successione: vento, pioggia, vento, nevischio, vento, neve, vento, grandine (!), vento, pioggia, vento, neve, vento, nevischio, pioggia, ancora grandine, pioggia, nevischio e ho perso il conto... Sulle strade, comunque, non resterà nulla. Perchè qua, come già più volte insinuato e nauseato e stancato e rotto-i-coglioni-con-sta-storia, noi siamo la “California”, mica una regione come le altre…

    14 – San Ferdinando di Puglia (BT) - Ultima sera e ultima notte in California d'Italia. Grande festa con gli amici di sempre. Siamo in una dozzina: c'è Big Peter, chef indiscusso e mastrofocaio ai carboni ardenti; Jim che ha portato il pane di grano duro fatto in casa; Lucy, Roxy e altre ragazze che hanno preparato torte e dolci; Nat che mi ha regalato un sigaro che ci siamo fumati fra le stelle e le chiacchiere di una serata invernale uggiosa e un po' malinconica. L'ultima, almeno per me, in Puglia. Grigliata tipica nord-barese, comunque. Se da noi le serate così, a base di carbonella e carne al fuoco sono esclusivamente di braciole e bistecche di maiale, qua nel sud-est si predilige la carne e le interiora di agnello. Gli "Gnumaredd" (la dizione cambia da zona a zona, anche all'interno della stessa provincia) sono intestini di pecora arrotolati su sé stessi che cotti alla brace sono la fine del mondo. Idem, i "tacchcéd", costolette di ovino dalla fragranza tenera e dolciastra. Non c'è "ciufftéd" (=festicciola fra amici) che non contempli almeno uno di questi due elementi. Birra Peroni e Birra Raffo per innaffiare il tutto, e discussioni su quale sia la migliore: Bari e Taranto a confronto, in questo derby pugliese birraiolo fra due mondi (Terre di Bari vs. Salento) spesso culturalmente contrapposti... Vino nero "Di Troia" d.o.c., ovviamente, superparter, nero foggiano tosto e duro che tiene testa ai più blasonati vini salentini. E per finire un amaro lucano al 'Roxy Bar' di Via Nazionale, ma solo per me e Big Peter, con le ultime parole, le ultime battute, gli ultimi buon viaggio, ci vediamo alla prossima, scrivi quando arrivi, e altre frasi di circostanza... Quando nel cielo nero come il catrame appare una mezza luna, che sembra brillare ma in realtà non lo fa come le altre sere, è segno inequivocabile che la mia vacanza è giunta al termine... Domani la statale 16 mi riporterà lentamente verso nord, verso casa, verso chissà quanto tempo ci metterò, con le sue ore interminabili, probabilmente due giorni, probabilmente la voglia di percorrerla e ripercorrerla, camminare, andare avanti, sconfinare, nord, sud, est, ma sicuramente NON ritornare verso casa... Che palle. Girerei in tondo pur di restare qua, diciamo, per i prossimi quarant'anni. Potrebbero bastare per costruirmi una vita, un diario di bordo, guardare il tempo passare, la marea del Golfo salire e scendere, le stagioni andare e venire, chiedere a una bella cameriera di un pub di uscire una sera a vedere la città di Barletta insieme..... Incomincia il lungo viaggio di ritorno verso il nord-ovest.

    15 – Epilogo - Io e Alina ci stiamo rivestendo a bordo della mia auto. Le ultime immagini degli ulivi, delle vigne e della campagna immersa nel silenzio della valle dell'Ofanto. Poco più in là i rombi e i tuoni di auto e camion che corrono impazziti sulla statale 16, le cime dei palazzi della città di Barletta che brulica impazzita come un alveare di api e vespe meccaniche, oltre ancora l'azzurro mare che sembra quasi confondersi e amalgamarsi con il cielo. Lei è bellissima come non mai, i suoi lunghi capelli neri e il suo fascino selvaggio e allo stesso tempo dannatamente romantico sono mozzafiato. Prima di scendere mi stampa un bacio sulla guancia con un affettuoso: “Buon viaggio”. E' la prima volta che si abbandona a una così dolce smanceria… Il sole è già alto nel cielo quando torno in paese e sistemo armi e bagagli. C'è solo il tempo di pochissimi minuti per un caffè da Jim, che gestisce una caffetteria / sala biliardi in una vietta dietro la piazza. Parliamo del mio viaggio, di quando scenderò ancora, dei miei programmi per i viaggi futuri… Ci perdiamo poi a discorrere del più e del meno, ma il tempo è tiranno e la strada mi aspetta. L'asfalto, le nuvole all'orizzonte, il Gargano alla mia destra sembra un gigantesco e infinito dipinto, svincoli, incroci a raso, musica in sottofondo, pensieri nella mia testa, la Livietta sul sedile al mio fianco, il volto di Putin che sorride beffardo, una bottiglia di fernet sotto il sedile, cani randagi e prostitute ai bordi della lunga strada, gigantesche pale eoliche all'orizzonte, chilometri e chilometri di vuoto dentro. La strada adriatica appena oltre il confine fra Puglia e Molise è ancora infinitamente lunga. Non so quanto tempo ci metterò a percorrerla tutta, non so cosa dirò, cosa farò, a chi o a cosa penserò. So quello che sento già ora, invece, questa specie di malessere fra il torace e la bocca dello stomaco, non ha mai diagnosi, né prognosi, viene sempre e puntuale, più implacabile di tutto ciò che odiamo e detestiamo. Io lo chiamo “mal di Sud”, dannata nostalgia, malinconia, voglia di girare l'auto e tornare già indietro; non dà scampo, non dà tregua, a chi, purtroppo come me, non vive la Puglia solo come una semplice vacanza di stagione, ma la vive perché dentro le proprie vene scorre anche solo in parte il sangue di questa terra, di questo mare, di questo cielo. Mi accompagnerà nel lungo viaggio di ritorno e nei giorni a venire. Lo so. E non ci sarà nulla da fare. Non si può togliere né curare né niente. Ma fortunatamente c'è una altra cosa che di solito ci accompagna e che mitiga il mal di Sud, lassù, nella val Padana dei sogni irrealizzabili e delle illusioni reiteranti. “La vita può togliere un pugliese dalla Puglia, ma non potrà mai togliere la Puglia da dentro un pugliese” (proverbio barese)… FINE.

    Edited by Liutprando - 10/4/2016, 16:38
      Share  
     
    .