MIRKO CONFALONIERA

  1. ROAD TO CYPRUS
    Larnaca, Nicosia, Nicosia Nord, Famagusta, Paphos

     
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    GIORNO 1 - #LARNACA

    "Holidays?"
    "Yes!"
    "Where are you from?" mi domanda la barista del Meeting Pub.
    E' un bel bar, di quelli che piacciono a me. Forse non troppo smarzo per entrare nella lista dei miei “baracci dell'Est Europa”, ma vagando per il lungomare di Larnaca mi ha colpito e ci sono entrato per bere due birre e uno shottino di jagermeister.
    "Italy! - rispondo, mandando giù il sorso di jager con ghiaccio e una sfiziosa fetta di arancia dentro - Northern Italy!"
    "Italy?" e scoppia a ridere. La battuta seguente è più o meno: "Sei italiano e vieni a Cipro a fare le 'holidays'? Come dire: con tutti i posti stupendi che avete in Italia, tu vieni qui?"
    "Why not?" le rispondo con una faccia di tolla, bella quanto il lungomare di Larnaca di notte.
    Cipro, fuso orario +1 rispetto alla madre patria italica, ma in realtà sarebbe un +2. Se guardate sulla mappa geografica qui di europeo c'è ben poco, a parte le bandierine dalla U.E. che ti accolgono all'aeroporto e che ti ricordano che Cipro (ma solo quella del Sud) fa parte dell'Unione, che si paga in valuta Euro, che c'è qualche scritta italiana qua e là (e che in TV in camera d'albergo si prendono i canali RAI), con l'unica differenza terrificante che in strada si guida sulla sinistra.
    Divertente aver preso il taxi dall'aeroporto ed essere stato trasportato nella zona balneare sud di Larnaca, dove sorge il "San Remo Hotel" (notare il nome italico), guidando - per me - "contromano". Volante a destra, tutto alla rovescia, è un po’ come aver attraversato lo specchio di Alice ed essere finito nel Paese delle Meraviglie. E che meraviglie! Una bella mezza settimana su un'isola del Mediterraneo che è europea solo per convenzione, geograficamente attaccata alla zolla asiatica, confinata sotto la Turchia e non molto distante dalle coste del Medio Oriente ma soprattutto - e qui viene il bello - divisa in due da un Muro e da una "green line", che taglia in due "l'Isola Che Non C'è". A sud, la parte greco-ortodossa che fa parte della U.E.. A Nord, oltre il Muro, la parte turco-islamica, una repubblica "de facto" dagli anni '70, riconosciuta solo dalla Turchia che l'ha occupata militarmente. L'Unione Europea arriva fino al Muro di Nicosia, poi è terra di nessuno. Difficile, improbabile, ai limiti dell'impossibile e sconsigliatissimo atterrare al di là: non esistono ambasciate, consolati, rappresentanze diplomatiche di alcun genere. Mi limiterò a girare per Cipro Sud? Manco per idea! Ci proviamo ad andare al di là del Muro, ma non oggi.
    Per la seconda volta di fila il mio viaggio rischia di saltare, stavolta per uno sciopero dei voli.
    "Dicono che il volo è cancellato perché non c'è l'equipaggio!"
    Siamo in fila da un'ora all'imbarco Easy Jet di Malpensa e qualcuno mormora questo nel cataclisma di parole, illazioni, dubbi, pensieri, atroci presentimenti. Un'umanità varia, non solo italioti che prendono il mio volo ma anche ciprioti e grecofoni che vogliono tornare a casa.
    No, vabbè, adesso me ne torno a Milano e giuro prendo il primo treno per la Sicilia o per la Puglia. E' incredibile la nemesi personale che mi sta perseguendo e che mi impedisce di raggiungere questa isola mediterranea.
    A marzo ero stato bloccato all'aeroporto di Bergamo da una zelante dipendente della RyanAir.
    "Passaporto?"
    "Eccolo!"
    "Biglietto?"
    "Eccolo!"
    "Green pass?"
    "Eccolo!"
    "Cyprus flight pass?"
    "Che cosa?"
    Una seccatura on line che bisognava compilare in quei tempi e che è stata abolita pochi giorni dopo la mia mancata vacanza.
    Giuro.
    Adesso puoi arrivare per caso in aeroporto, dire che sei lì per berti una birra e all'ultimo decidere di farti una scappata a Paphos per rimorchiare una bella greca e ti fanno salire con sorrisi, abbracci e auguri di buon volo. All'epoca, invece, mi hanno guardato in faccia e mi hanno lasciato giù.
    Maledetti.
    In altri tempi l'avrei raggiunta in ogni modo, Cipro, in nave, in barca, a nuoto, mettendoci un mese se fosse stato il caso. Invece, così sconsolato, optai per rifugiarmi in Puglia, a meditare su quanto sono stronze e inflessibili le belle dipendenti in giacca blu e camicetta bianca della Ryan Air che lavorano al gate di Orio al Serio.
    Cazzo, anni fa ho passato una frontiera terrestre turco-georgiana alle tre notte a bordo di un bus, dove ero l'unico italiano (e probabilmente l'unico occidentale). Un'altra volta mi hanno rinchiuso in un garage al porto di Valona, a me e alla mia Matiz Chevrolet per perquisirmi perfino i pneumatici e i ribaltabili posteriori dell'autovettura ("Cosa sei venuto a fare in Albania, Mirko?" "Turismo", "Come mai?", "Mi piace l'Est Europa", "Davvero?", "Sì, davvero", "O vieni per comprare della droga?", "Non scherziamo, non ho droga", "Mah... Con quei capelli lunghi lì, quegli orecchini e quei tatuaggi? Facciamo un piccolo controllo?"...). Insomma, il mio passaporto è il romanzo più avvincente e bello che ho mai "scritto". Come osa questa piccola Cipro lasciarmi a terra per ben due volte? Oh, adesso o mai più, giuro!
    "Ci imbarcano! Ci imbarcano! E' arrivato l'equipaggio!" urla una ragazza che si fionda dallo sportello del gate fino ad avvisare i suoi amici che erano in fondo alla coda insieme a me. Giuro che avevo appena messo lo zaino in spalla e mi stavo dirigendo fuori da quell'inferno a prendere il Malpensa Express e poi da Milano un cazzo di pullman notturno per il Sud Italia.
    Applausi e qualcuno fa partire anche cori da stadio. Sembra una trasferta di calcio e che stiamo andando tutti a vederci una partita dell’ex Coppa UEFA contro l'Omonia Nicosia FC.
    Meglio tardi che mai.
    Partiamo con un'ora di ritardo. E rapido calcolo mentale: Cipro è +1 dall'Italia, in realtà +2 come già detto, insomma arriveremo che il sole sta tramontando e indi fra una cosa e l'altro niente bagno in mare per benedire la terra cipriota che finalmente ha spalancato i suoi cancelli per accogliermi! Beh, tutto rimandato a domani.
    Per stasera ho giusto il tempo di un taxi, arrivare al San Remo Hotel, farmi una doccia, assaporare il caldo umido dell'estate asiatica, infilarmi in un fast-food all'angolo e mangiare un bel piattone di pesce grigliato all'irrisoria cifra di 10,50 euro con tanto di contorno e salsa greca agrodolce. A parte: una birra Keo, uno shot di ouzo (un distillato simile alla grappa molto diffuso nelle terre greche) e la compagnia di simpatici gatti randagi che stazionano sul marciapiede dell' "H Banìa". Qualcuno si scanna per mangiare i miei scarti che depongo per terra, altri sono lì solo per fare presenza e per ricevere qualche coccolosa carezza.
    Mi incammino verso il centro e subito dopo il piccolo castello milleduecentesco che sorge in riva al mare inizia il vero cuore cittadino, ovviamente preso d'assalto da locali in un sabato sera estivo e tranquillizzante. Lungomare pieno di locali, ristoranti, pub e anche bar che offrono musica dal vivo: niente robe complesse, bastano anche solo un duo di artisti (una chitarra acustica e una voce microfono) ad attirare tanta gente seduta ai tavoli oppure ad ascoltare in piedi. Ma il vero "movimento" è in Kleanthi Kalogera, una viuzza pedonale (parallela al lungomare) che sorge nei pressi dell'incantevole Chiesa di San Lazzaro, gioiello del IX secolo assolutamente da vedere, anche solo esternamente: trasmette un'atmosfera davvero indescrivibile.
    Dal sacro al profano: eccomi nella movida larnachese. Adocchio qualche bar che potrebbe essere il "mio", poi ne scelgo stranamente uno sul lungomare che per i miei standard potrebbe anche essere un po' fighetto, ma va bene così. Due birre, uno shottino e chiacchiere con la barista.
    "Starai molto qui a Larnaca?"
    "No, domani mi sposto a Nicosia!"
    "Oh, a Nicosia fa molto caldo! - mi dice - Essendo nell'entroterra le temperature sono molto 'hot'!"
    Sopporteremo anche quello. Stasera si sta bene, temperatura adeguata, una bella arietta arriva dal mare calmo del Mediterraneo. Domani spiaggia e assoluto relax, soprattutto nelle ore più calde del giorno; poi bus per Nicosia, la capitale. Le due città distano circa 50 km e i pullman ci mettono un'oretta o giù di lì. E' là che c'è il confine, il "border", quello che mi interessa attraversare per andare oltre, a Nicosia Nord, nella repubblica turca. Fino a pochi anni fa c’erano parecchie restrizioni e limitazioni e i cittadini di Cipro non potevano oltrepassarla, né quelli del nord né quelli del sud. Oggi c’è molta più libertà di passaggio e sui turisti, dicono, chiudono un occhio. Curioso come un "Muro" esista ancora nel 2022 nella “democraticissima” Unione Europea e nell'indifferenza di un mondo “pacifista” solo quando gli conviene. Vediamo cosa accadrà.

    GIORNO #2 – NICOSIA

    La benzina a Cipro costa 1,80 (sto girando in bus, ma i prezzi segnalati ai distributori di carburante lungo le strade indicano almeno 20 centesimi al litro in meno rispetto all’Italia). Si guida a sinistra, come già detto. Le prese elettriche sono quelle tripolari, tipo quelle che ci sono in Russia – e quindi NON quelle rotonde che ci sono nei Balcani o nell’Est Europa: ci vuole proprio un adattatore triangolare con le tre spine - a proposito di Russia, a Cipro ci sono un sacco di turisti russi e molti ci vivono per lavoro. Altre cose: il confine che taglia e divide in due l’isola e la città di Nicosia non è un’unica linea divisoria, ma sono due e corrono più o meno parallelamente: in mezzo ci sono alcune centinaia di metri di “zona neutrale”, che non sono né di Cipro né della repubblica turco-cipriota. E’ una striscia di terra “cuscinetto” che non è di nessuno (in teoria è sotto il controllo dall’ONU): sta lì e basta. Gran parte del “Muro” è in realtà formato da recinzioni e divisori di vario tipo (cancelli, reti metalliche, barili di petrolio), comunque assolutamente invalicabili (cintati ogni centimetro da filo spinato). Ci sono solo un paio di varchi pedonali da Nicosia Sud a Nicosia Nord, che collegano il centro storico, la cittadella antica cintata da antiche mura veneziane, ma solcata da ovest a est da questa lunghissima cicatrice. Le auto e gli altri mezzi devono fare, invece, un giro molto più lungo per passare di qua e di là.
    Ho visto il check point di strada Ledra, l’arteria principale del centro storico: un’elegante via pedonale piena di negozi, locali, ristoranti, affollata ovviamente all’inverosimile in una bella e non troppo calda domenica sera d’estate. Peccato che poi, quasi sul più bello, finisca proprio davanti a un confine di Stato messo lì quasi a finzione scenica per un film. Ma non è un film: c’è una dogana vera e propria, due piccoli fabbricati sono stati eretti in mezzo alla strada e si passa soltanto in stretti corridoi, dopo aver mostrato i documenti (passaporto o carta di identità valida per l'espatrio) alla polizia di frontiera. Non sarà il vecchio Muro di Berlino, ma non è neanche l'ormai indolore “muretto” di Gorizia / Nova Gorica: è davvero qualcosa di strano da vedere nell’Europa del 2022. Al check point di via Ledra finisce davvero l’Unione Europea: è il punto più a est dell’intera confederazione. Per darvi un esempio di che longitudine mi trovo: sono più a est di Instabul, più a est di Kiev, praticamente sotto Ankara, la Crimea e la penisola di Murmansk, esattamente nel golfo a U rovesciata che la Turchia forma con la Siria. Di fronte al mare di Larnaca, a poco più di 200 chilometri, c’è Beirut. Lo Jonio e l'Egeo sono mari lontanissimi da qui.
    Anni fa, in uno dei miei tanti viaggi “oltrecortina”, mi ero spinto fino a Baku, sul Mar Caspio, nell’entroterra asiatico, per cui non mi spaventano queste longitudini strane. Credo ormai di essere vaccinato a ogni tipo di inconveniente.
    “Italiani?”
    “Sì, noi tre”
    “Italiani scendere e aprire borse!”
    Spesso in Est le parole "italiani" e "controlli più approfonditi" sono sempre state sinonimi nei miei viaggi on the road. Confine albanese-macedone, confine turco-georgiano, confine georgiano-armeno, ecc..
    Quella volta ero con Juri e Sergej, stavamo andando da Tblisi e Yerevan, ed eravamo a bordo di un pulmino eterogeno di otto persone, però la parola “italiani” apre sempre a infiniti controlli più approfonditi.
    “Cosa andate a fare in Armenia?”
    “Turismo”
    “Italiani tutti spaghetti, Berlusconi e signorine buonasera!” e giù a ridere rumorosamente.
    Era un poliziotto di frontiera di una sperduta dogana sui monti innevati del Caucaso meridionale. C’è sempre stato poco da ridere per me in simili frangenti. Ma col tempo ci ho fatto il callo: è la giusta punizione, stile legge dantesca del contrappasso, di quando noi italiani facciamo i razzisti con chi viene in Italia.
    Touché. Palla al centro.
    Comunque di italiani a Cipro per ora manco l’ombra: quelli che erano sul mio volo sembrano spariti nel nulla. Meglio così. Non amo molto incrociare miei connazionali all’estero, soprattutto quelli che si contraddistinguono per l’elevata caciara che fanno in giro. Una sera a Dublino, in pieno centro cittadino, dopo aver incrociato un gruppetto di napoletani e di romani che vociavano e starnazzavano peggio che al festival di San Remo, decisi di tornare in albergo e di aspettare l’indomani per fuggire in treno a Galway dove speravo di non trovare più connazionali idioti e di alcun genere. Fortunatamente, fu così e solo da allora iniziò il mio vero viaggio in Irlanda.
    Per le vie e i locali di Larnaca e Nicosia si parla inglese fluente (molto ma molto migliore del mio). C’è un sole che spacca i sassi e di ombra, al contrario, ci doveva essere quella dell’ombrellone che oggi ho noleggiato per 5 euro (incluso sdraio) in una bella spiaggia di Finikoudes, il litorale di lidi attrezzati del centro di Larnaca: una giornata dedita al relax e alla beatitudine. Ho fatto due bagni di pochi minuti che non mi hanno salvato dalla prima scottatura ufficiale dell’estate. Sono rosso come le stelline del tatuaggio sulla spalla destra che circondano il disegno della faccia del “Che”. Quando scompaiono, nel senso che il rosso della scottatura diventa tutt’uno con il rosso delle stelle, allora è un brutto segno: vuol dire che il sole ci ha picchiato pesantemente. Eppure sono stato in acqua davvero poco.
    Allora, precisiamo una cosa: non sarà bello e favoloso come il mare delle foto che la gente continua a postare sui social network immortalando paradisiache isole greche e su questo punto possiamo essere d’accordo - e infatti, come già spiegato, Cipro per me non è un'isola "greca" ma un'isola "asiatica". Eluso questo pesante confronto, il primo mare assaggiato nella parte meridionale di Cyprus passa l’esame con pieni voti. Il fondale è sabbioso e basso, molto basso, si cammina davvero parecchio tanto prima di trovare un punto dove non si tocchi, ma l'acqua è trasparente e cristallina come quella di rubinetto. Oggi, inoltre, il mare era una deliziosa tavola piatta, stile piscina, con due belle petroliere al largo che facevano il loro sfondo da cartolina, prima che si agitasse un po’ e il vento diventasse irritante. Meno male che a quel punto è arrivato Andreas e siamo andati a bere una birra al Meeting Pub, ufficializzando il suo ingresso nel mia lista dei “Worst European Bar” da Mosca a Lisbona - che poi brutti bar non sono: li soprannomino “baracci” per le loro atmosfere famigliari e casarecce, in netta contrapposizione con quelli di dichiarata indole fighetta.
    Andreas è un amico di vecchia data, almeno da una decina d’anni. Il suo nome è legato a un insieme di cose che si annidano nella memoria ingarbugliata di ricordi attorno a Livorno, al Livorno calcio, alla curva degli ultrà delle B.A.L. (se avete mai notato uno stendardo in curva amaranto con la scritta “supporters from Cyprus” è il suo!), a un concerto degli "Erode" (band punk-oi! comasca) al C.P. 1921 in un freddo sabato sera di gennaio, a una ragazza di nome Giulia, bella quanto misteriosa, al mio amico Pablo che conosce sempre tutti, e a un ritorno alle sei di mattina sotto la neve carichi ancora di alcol e baldoria davanti alle saracinesche dell’Oste a Castelletto Po. Insomma, un minestrone di ricordi che per spiegarvi bene la ricetta ci vorrebbe un paragrafo a parte.
    “Bad memories!” mi fa l’amico quanto tocco l’argomento e anche se ci ride su, pensando a quella sua storia con quella tizia livornese, preferiamo andare avanti.
    Siamo seduti a un tavolino sotto il porticato del locale. Fa un caldo pazzesco e il peggio dovrà ancora arrivare in questo mio viaggio. Parliamo di tutto e di più per un paio d’ore. Io sono appena arrivato e lui partirà domani per Roma e poi per la Toscana. Tifa Livorno da quando lo conosco, una cosa davvero particolare per un ragazzone di una quarantina d’anni che vive dall’altra parte del bacino del Mediterraneo. Lui era di Nicosia, quando l’ebbi conosciuto, ma da quando si è sposato (due o tre anni fa) è venuto a vivere a Larnaca. Un bel salto da una capitale in linea con quelle del Sud-Est Euro-Asiatico a una cittadina di mare.
    Scopro un po’ di cose interessanti, che mi dice l’amico. Innanzitutto che il greco parlato a Cipro è un po’ diverso da quello parlato in Grecia. Sono proprio alcune parole a fare la differenza.
    “Io se vado in Grecia e mi parlano in greco, io capisco quello che dicono. Ma se io vado in Grecia e parlo il greco-cipriota rischio di non essere compreso!”
    Una sorte di variante, qui in questa terra d’oltremare o stato sovrano e indipendente?
    “Diciamo che sulla carta siamo uno stato indipendente, però se la Grecia dice di fare una cosa… noi la facciamo! La Grecia controlla un po’ la vita politica, economica e sociale di questa parte di Cipro. Non è proprio il massimo, ma è così!”
    Poi, non tutto è così come sembra, per un occhio esterno, ovviamente: a parte le turiste, le belle ragazze sembrano tutte uguali, con quei loro delineamenti ellenici, i capelli lunghi e neri, e i corpi tirati a lucido come opere d’arte di un museo.
    “Le vedi quelle due ragazze che stanno camminando sulla strada?” mi domanda.
    “Sì, le vedo”
    “Secondo te di dove sono?”
    “Cipro?”
    “Sì, esatto! Ora guarda quell’altre due, quelle un po’ più dietro. Che te ne pare?”
    “Sempre di Cipro!”
    “No, quelle due sono due turiste greche!”
    “Come fai a dirlo”
    “Lo so!” mi risponde con un sorriso.
    C’è differenza, mi spiega, un po’ come Nord e Sud Italia. Un occhio allenato scorge ogni piccola differenza.
    Si avvicina inesorabilmente l’ora della partenza dell’intercity bus per Nicosia delle 17:30. Ma questa “green line”, allora, si può passare e andare dall’altra parte?
    “Sì, si può. Anche noi possiamo muoverci da una parte all’altra. Ci vogliono i documenti. Una volta sola non avevo documenti con me e sono dovuto tornare indietro”.
    Altre chiacchiere su Omonia e Apoel (le due principali squadre di calcio della capitale), su Nord e Sud, e poi ci avviamo alla fermata del bus, già affollata di viaggiatori. Sono tutti ragazzi e ragazze e meno giovani della capitale, che sono venuti a godersi una sana giornata di mare. Saluto Andreas, strappandogli la promessa di venire una successiva volta in Italia, ma di farsi un giro nel nord della penisola, così da passare a salutare me e l’amico Pablo. Dice che verrà in inverno, quando le temperature saranno più basse, perché anche lui (come me) non ama molto il caldo e la stagione estiva. Ma è vero che le temperature a Nicosia sono più alte che qui?
    “As at the hell!” e scoppia a ridere.
    Per una volta non lo trovo divertente. Sopportare il caldo umido dell’entroterra cipriota non sarà affatto una passeggiata.
    Saluto l’amico e salgo a bordo. Ovviamente, avendo la guida alla rovescia rispetto a noi, anche i bus hanno le portiere che si aprono sulla parte sinistra delle vetture. Sembra di essere dentro a un gigantesco mondo allo specchio. Pago il biglietto all’autista – 4 euro – e mi accomodo dove c’è posto. Lasciamo Larnaca puntuali e ci tuffiamo verso nord-ovest, lambendo la rocciosa catena montuosa del Monte Olimpo. Arriviamo all’autostazione di Plateia Solomou in Nicosia come da programma. Una bella camminata di una ventina di minuti lungo le mura veneziane per arrivare al mio affittacamere, nei pressi di Porta Famagosta.
    Tira una bella aria fresca, una manna per la mia pelle rossa come il fuoco e che comincia a bruciare come carbonella sulla brace. In serata gironzolo un po’ per il centro della parte Sud. L’impressione che mi faccio è che la divisione non è così netta: almeno qui a Nicosia Sud (come in tanti altri Paesi che ho visitato nei Balcani e nel Caucaso) convivono le culture ortodossa e mussulmana insieme. Attorno all’imponente Αποστόλου Βαρνάβα e altri edifici cristiano-ortodossi si elevano moschee con le lune ottomane che svettano nel cielo. Alle otto in punto fra le viette strette e colorate del centro storico meridionale si diffonde la melodia del canto dell’Imam, una nenia magica che rapisce completamente la testa. In queste atmosfere girare, anzi perdersi, per le viuzze di Nicosia “old town” è davvero bello: a ogni angolo può sbucare una chiesa, oppure l’ingresso di una moschea. Il tutto continua così fino a quando non arrivo in Ledra Street, il lungo corso principale che finisce sbarrato contro quei casermoni che segnano quel confine che c’è ma che non dovrebbe esserci. Allora confermo puntualmente le mie idee, che non sono tanto le religioni a dividere il mondo, ma di più lo sono gli esseri umani.

    GIORNO 3 - #FAMAGUSTA

    “Trans Europa Express, trans Europa Express,
    di qua e al di là dal Muro l’Europa è persa in trance,
    in Alexander Platz come in Piazza del Duomo,
    Europa persa in trance stupidamente,
    i miei amici anche, i miei amici anche,
    sotto la NATO o il Patto di Varsavia?” (cit.)

    A Cipro la canzone dei vecchi “CCCP – Fedeli alla Linea” è ancora attuale, nonostante sia stata scritta più di trenta anni fa. Un Muro bello e buono divide in due la capitale Nicosia e il resto dell’isola. Forse non è un muro appariscente come quello di Berlino, ma è una linea divisoria che appare e scompare ogni tanto camminando per le viette strette della capitale. Cancelli con fili spinati, reti metalliche accompagnate da barili di petrolio accatastati l’uno sull’altro (la loro perfetta forma cilindrica impedisce di arrampicarsi sopra) e pezzi di “muraglia” vera e propria, mattoni e cemento che sbarrano le strade all’improvviso fra palazzi e case. Oltre c’è la “buffer zone”, larga poche centinaia di metri e piena di abitazioni vuote, sgombrate dal 1974, anno in cui Cipro è stata tagliata in due dalla guerra fra turco-ciprioti e greco-ciprioti, e dall’occupazione militare degli anatolici nel nord dell’isola. Da allora, superando i non molti check-point in cui si può transitare da uno stato (Republica di Cipro) all’altro (Repubblica Turca di Cipro del Nord - solo “de facto”, non riconosciuta dalla comunità internazionale ma solo dalla Turchia) si passa in un altro mondo, a forte impronta mussulmana e turcofona, che è a tutti gli effetti un protettorato della Turchia.
    Quella di Ledra Street è la dogana più battuta, sorge in pieno centro storico, all’interno dell’antica cittadella cintata dalle vecchie mure veneziane. Un cerchio perfetto tagliato orizzontalmente da ovest a est e che divide due mondi speculari. La “buffer zone”, questa terra di nessuno che c’è in questa breve striscia di terra fra le due “green line”, gestita dall’ONU, è in realtà una sottile striscia di case e abitazioni vuote e desolate. Un paese fantasma a perfetto divisorio fra il mondo greco-ortodosso e quello turco-mussulmano.
    “Only one Cyprus” ha scritto qualcuno con una bomboletta a spray su un muro. Dogana d’uscita di Cipro e dell’Unione Europa, con due sportelli: uno per i ciprioti, l’altro per i turisti con passaporti UE ed extra-UE. Quattrocento metri più avanti in una stretta vietta da cui si scorge l’abbandono circostante di case e palazzoni vuoti e disabitati (e in cui cartelli raccomandano di non fare foto né videofilmati!) c’è la dogana di ingresso nell’altra repubblica. Bandiera del Nord (mezza luna ottomana su sfondo bianco con bande rosse) tassativamente sempre accompagnata da quella della Turchia. In entrambe le frontiere mi esaminano accuratamente il passaporto. Non ci sono problemi: mi fanno passare ed entro a Nicosia Nord, che in lingua turca è indicata come “Lefkosa”.
    Si avverte subito di entrare in un nuovo mondo, in un piccolo gigantesco bazar a cielo aperto, con tantissimi negozi e locali dove si può mangiare. Addio moneta euro, qui ci vuole la lira turca per ogni transazione, si parla lingua ottomana e su tutti i tetti dei palazzi svettano torri di moschee che a orari puntuali irradiano gli ipnotici e suggestivi canti degli Imam. Mi ricorda molto Skopje, la città ex jugoslava della Macedonia del Nord: anch’essa ha questa caratteristica bi-polare. Ma lì basta attraversare un fiume per passare dalla parte ortodossa a quella islamica, non ci sono dogane o abitazioni evacuate.
    Visibile per la sua altezza anche dalla parte sud della città è l’imponente Moschea di Selimiye, una via di mezzo fra una cattedrale gotica e un edificio religioso mussulmano di origine milleduecentesca. Lì vicino sorge anche il caratteristico mercato coperto, tipica costruzione molto diffusa nel mondo arabo (in fin dei conti, anche se ho percorso poche centinaia di metri, sono a tutti gli effetti dentro a un mondo islamico!). Dovrei raggiungere il bastione Musalla, percorrendo l’elegante Girne Caddesi, che offre un bel colpo d’occhio ai turisti che come me bazzicano al di qua della “linea verde”. Ma succede che mi smarrisco per le viette della cittadella di Nicosia Nord e vago fra viuzze e vicoletti molto diversi dai corrispettivi della cittadella del sud: case abbandonate, abitazioni semi diroccate, senso di abbandono e di povertà, una sensazione che capto per la prima volta da quando sono arrivato sull’isola. In un crocevia in cima a una casa campeggia un’enorme bandiera della Turchia e accanto un drappo che ritrae il volto beffardo di Erdogan.
    Arrivo alle mura esterne e mi dirigo ancora più verso nord, verso l’autostazione di Ataturk Caddesi, uno spiazzale parecchio lontano rispetto al centro storico, da dove partono le autolinee per ogni destinazione della repubblica turca. Fa un caldo veramente atroce, ogni isolato e ogni incrocio passato è davvero uno sforzo immane per me che già di principio odio l’estate, odio il caldo, non tollero temperature che siano superiori a un rigido inverno moscovita: e la cosa peggiore è che non è neanche mezzogiorno.
    Lungo la Gazeteci Caddesi la vita torna prepotente a farsi sentire con il rombo di motori e il traffico di auto che corrono avanti e indietro. Anche nella parte nord si guida sulla sinistra, quindi bisogna fare attenzione a quando si attraversa ogni strada. Attorno al parcheggio dell’autostazione sorgono un po’ di locali, negozi e uffici. C’è un “exchange” aperto e ne approfitto per scambiare un po’ di euro in lire turche. Subito accanto c’è una caffetteria, dove sono obbligato a fare una sosta per bere una bottiglia d’acqua (niente birre o alcolici, come da copione, in molti locali nel mondo mussulmano) e una tazza di caffè turco: una brodaglia nera come il petrolio, amara come il caldo soffocante di Nicosia e con un fondo di caffè macinato sulla tazzina di almeno un dito e mezzo. L’effetto di svegliarmi, comunque, lo fa del tutto.
    Biglietto per Famagusta (“Magusa!” mi correggono immediatamente allo sportello della biglietteria, usando il toponimo turco) acquistato per 50 lire (2,85 euro). Pulmino da venti posti che parte pochi minuti dopo che salgo a bordo e mi accomodo accanto al finestrino. Facciamo altre fermate nella sterminata metropoli turca prima di imboccare la veloce superstrada a doppia carreggiata (ma ovviamente si viaggia su quella sinistra!) e lasciare la capitale alle spalle. Corriamo in un paesaggio brullo, quasi desertico, caratterizzato da colori giallo ocra, che sembrano anch’essi dividersi e distaccarsi con i verdeggianti paesaggi del Sud percorsi ieri. Su una collina a ovest della città, a mo’ di Hollywood, campeggia il disegno gigantografico della bandiera della Repubblica Turca di Cipro del Nord e una scritta (in turco) che ovviamente non riesco a tradurre.
    Il viaggio dura un’oretta (le due città distano 60 km) e mi accorgo che stiamo arrivando a destinazione dagli enormi palazzi che sorgono all’orizzonte come la classica cattedrale in mezzo al deserto. Io scendo all’ultima fermata, ovvero al bus terminal che sorge di fronte al bastione Ravellin, dove sorge l’alta e imponente statua di Zafer Aniti, ovvero il Monumento della Vittoria dedicato ai turco-ciprioti nella guerra di conquista - o di liberazione (e qui dipende sempre dai punti di vista delle parti...) degli anni ‘70. Attraverso il già citato bastione Ravellin si entra nella cittadella antica, cintata anch’essa dai veneziani nel XVI secolo. Le fortificazioni di Famagusta sono molto caratteristiche, perché a differenza di quelle di Nicosia sono costituite da una cinta muraria alta ben 15 metri che è circondata da un fossato scavato nella roccia sul lato di terra e dal porto sul lato del mare. Il piccolo centro storico si gira in fretta, ma la cittadella di “Magusa” è molto bella e ricca d’arte: seppur molto più piccola (l’intera città conta solo 40.000 abitanti), Famagusta all’impatto del visitatore appare molto più piacevole della caotica e rovente capitale; anche la temperatura, trovandoci a ridosso del mare, è decisamente molto più mite.
    Il cuore pulsante batte attorno all’affascinante Moschea di Lala Mustafa Pasha, costruita nel XV secolo come cattedrale cattolica ma poi trasformata in moschea dopo la conquista da parte dell’impero ottomano nel XVI secolo. In effetti da lontano sembra una cattedrale cristiana, ma poi da vicino le mezze lune ottomane che svettano sulle sue altissime torri sono inequivocabili. Accanto ci sono i ruderi dell’antico Palazzo Reale veneziano: oggi ne resta ben poco. Le medioevali chiese ortodosse giacciono in stato di abbandono e decadenza: un esempio su tutte è la maestosa Chiesa di San Giorgio dei Greci, della quale sono crollate pareti e un pezzo di navata e soffitto. Nella stessa misera condizione vivacchia la Chiesa di San Giorgio dei Latini. Altre, ancora ben conservate, come quella di San Francesco o la Chiesta Nestoriana, sono comunque chiuse, inaccessibili e non sembrano aperte al pubblico da parecchio tempo. In buono stato è la fortezza del XIV secolo che sorge nella parte settentrionale della cittadella, a ridosso del mare (si può ammirare la famosa Torre di Otello).
    E’ tempo di un drink in una caffetteria che batta al suo interno aria condizionata gelida come il vento di gennaio in Siberia. Niente birre, ovviamente, così mi accontento di un thé freddo con ghiaccio e una fetta di torta al cioccolato. La cameriera che me la serve, notando la mia guida turistica, mi domanda se sono italiano e mi racconta che è stata ad Alba, in Piemonte, e che le è piaciuta molto.
    Dopo aver fatto merenda, proseguo verso sud, in direzione del bastione Arsenale, che dà sul porto e sul lungomare. Prima di abbandonare il centro storico c’è un piccolo memoriale dove vengono ricordati alcuni turco-ciprioti che durante la guerra del 1974 furono assassinati (sarebbero stati disarmati) dalle milizie greco-cipriote e da quelle greche. Così recita una lapide esposta.
    La parte curiosa di Famagusta arriva spostandosi a piedi verso Palm Beach, la spiaggia più bella e decisamente più strana che abbia mai visto in tutti i miei ansiosi peregrinare in luoghi sperduti d’Europa e oltre. Ieri Andreas mi aveva accennato a qualcosa di simile a una “ghost town” che c’è a Famagusta, ma forse non avevo tradotto o capito bene il suo inglese veloce e fluente.
    Dopo una piccola zona umida fra il porto e uno sperone che si apre in mare, inizia questa distesa di sabbia dorata che immette in un mare dalle fattezze tropicali. Ai margini dei lidi, tuttavia, prendono inquietantemente forma una serie di hotel e di alti palazzi che riportano chiari segni di abbandono e di desolazione (qualcuno mostra anche chiari segni di vecchie esplosioni di arme da fuoco pesanti). E’ Varosia, il quartiere fantasma di Famagusta, un gigantesco agglomerato completamente disabitato e recintato da cancelli, recinzioni e filo spinato. Qui fino al 1974 ci vivevano i greco-ciprioti che durante l’invasione turca abbandonarono in massa le loro case da un momento con l’altro (alcune testimonianze raccontano che intere famiglie fuggirono via lasciando tavole apparecchiate e tutto quello che stavano facendo, emigrando verso il Sud). Dietro le barricate sorgono ancora le vecchie case, i condomini, i negozi (perfino la Chiesa di S. Agios Ioannis) coperti però da 40 anni di polvere e di sedimenti. Tutto ciò che è stato costruito a Varosha anni fa, dopo 4 decenni di mancata manutenzione, è ormai inutilizzabile a causa dei gravissimi danni degli agenti atmosferici, degli animali e del trascorrere del tempo. Questa “città fantasma” che si affaccia su uno dei mari più belli della zona, recintata come una zona di guerra e presidiata da torrette di militari turchi è l’emblema delle mille contraddizioni che questa isola nasconde e di cui il resto del mondo non ne è a conoscenza o forse fa finta di non sapere.
    Ho letto che da qualche anno a qualche gruppo di greco-ciprioti è stato concesso da parte dell’esercito turco di poter tornare sulle spiagge di Varosia (o Maras, a seconda del toponimo): e infatti è così. Ma ancora oggi persistono le divisioni, le palizzate, le barricate: i ciprioti per recarsi su quelle spiagge devono passare da un check-point sul lungomare e restare all’interno di un perimetro “recintato”, poiché la rete divisoria arriva in spiaggia e perfino ai primi metri di mare: un ulteriore cordone galleggiante divide e isola il loro pezzo di spiaggia da quella abitualmente frequentata dai turco-ciprioti. Un apartheid estivo-vacanziero da mal di testa e da nausea. Per il resto, lo scenario degli alti palazzi vuoti e desolantemente in rovina alle spalle di Palm Beach è qualcosa di distopico, uno scenario da film di fantascienza in cui a Varosia trova la sua scenografica rappresentazione.
    Dopo un lungo bagno nelle meravigliose acque del Mediterraneo, mi rincammino verso il bus terminal, ma appena vedo un taxi decido di chiedere un passaggio. Poi di nuovo mini-bus per Nicosia Nord e siccome mi avanzano ancora tante lire turche, decido di fermarmi a cenare nella cittadella di “Lefkosa”. Ripasso il confine nella dogana di via Ledra senza alcun problema, poi torno verso il mio alloggio percorrendo le viette che costeggiano la “green line” meridionale.
    Di caratteristico, a pochi passi da via Ledra, c’è il “Berlin Wall 2”, un baraccio tipico dei miei, peccato che di lunedì sia chiuso. Non è nulla di che, se non che nel suo nome ovviamente fa un paragone fra il vecchio Muro di Berlino e quello attuale di Nicosia (sul dehor esterno si rincara la dose con la scritta: Check Point Charlie). Subito alle spalle c’è un pezzo di “muro”, ovvero una cancellata sbarrata con il filo spinato sopra. Mi fermo a bere un paio di ouzo al Palaia Pineza Bar, poco più avanti: è più caratteristico, perché qui si vede proprio la piccola vietta Manis sbattere contro un muro messo di traverso per la strada. Barili di petrolio, filo spinato, ma qualche simpatico gatto randagio in qualche modo riesce ad andare e venire.
    Per la serata, dopo una ghiacciata doccia alla Sylvias Antique House dove alloggio, preferisco il solitario Rock Bar di via Ermou (una lunga e dritta direttrice che finisce proprio contro un cancello chiuso da rete metallica, barili e filo spinato). Serata moscia, siamo solo io, il proprietario, un simpatico gatto nero che si fa coccolare, e la musica degli AC-DC sparata a mille. Va bene così: dopo tante riflessioni sulle cose viste oggi ho solo voglia di tanta solitudine.

    GIORNO 4 - #PAPHOS

    Che Nicosia e la controversa parte “Nord” con tutti i suoi limiti mi sarebbero comunque mancati appena avessi messo piede sul bus per Paphos era come una sensazione certa e matematica, rannicchiata lì in un angolo della mente e pronta a verificarsi come un assioma algebrico. Già lo sapevo e così puntualmente è stato. Il meglio di Cipro, o quanto meno la parte più caratteristica e “strana”, la lasciavo alle mie spalle, almeno temporalmente parlando.
    Dall’autostazione del Bastione Tripoli di Nicosia partono un sacco di pullman per ogni destinazione di Cipro del Sud, fra cui anche l’intercity bus delle ore 11:00 per Paphos. Un 55 posti, bello, grande, confortevole e di ultima generazione, con obbligo di mascherina a bordo, che percorre 150 km a 7 euro di biglietto da pagare all’autista. E già qua mi manca il pulmino scrauso, smarzo e piccolo di ieri col quale siamo partiti da un afoso spiazzale di Nicosia Nord alla volta di Famagusta, che ogni tanto dava qualche colpo di motore, che era pieno all’inverosimile di turco-ciprioti (e io unico occidentale a bordo) e che mi chiedevo se fossimo mai arrivati a destinazione: a me piace viaggiare così, mi piacciono i posti così, quelli che raramente piacciono ad altre persone, motivo spesso per il quale difficilmente trovo compagni di viaggio disposti a seguirmi in queste avventure ai confini del mondo.
    “Io a Cipro Nord non ci vengo, finché quei turchi di merda occupanti e invasori non se ne vanno!” mi avevo detto Juri, inossidabile compagno di viaggio e di avventure nel profondo Est, a bordo di minivan improponibili in giro per il Caucaso e la Gagauzia, spesso a temperature sotto zero e con basse probabilità di trovare alloggi e ristori prima del calar delle tenebre. Non si tira mai indietro davanti a nulla il mio amico biellese, neppure a un viaggio a San Pietroburgo a 30 gradi sotto zero in pieno gennaio; eppure stavolta non c’è stato niente da fare, è stato di parola: a Cipro non c’è venuto per questo e altri motivi.
    “Mamma li turchi!”
    Ha ragione, come non dargliene? Ma la Cipro del Sud, anzi quella dell’Ovest – e rimarco la parola “Ovest” che anche su quest’isola ha incredibilmente la stessa accezione che ha ovunque – turistica, “figa”, rassicurante, quella così con i grattacieli di Limassol alti e futuristici stile Blade Runner, quella che ti arrivo, parcheggio, check in in albergo di lusso con piscina e fornelli in camera, spiaggia a pochi metri, ristorantino con stella Michelin, cartolina e calamite da portare a casa ad amici, ecc... Boh, io non lo so, sarò strano, ma non è il mio mondo. Il mio è quello oltre i muri, oltre le cortine di ferro che dividono i mondi, oltre le barriere che nessuno vuole varcare. Anche a me non piace la situazione di Famagusta (ben peggiore di quella di Nicosia!) ma quanto vorrei essere ora lì in un baraccio a discorrere, con un turco-cipriota davanti a quella brodaglia nera che chiamo caffè, su chi ha ragione e su chi no.
    Invece sono a Paphos, solo per ragioni logistiche dovute a un aereo che parte domattina presto. Arrivato dopo due ore di viaggio, attraversato la parte occidentale di Cipro che, manco farlo apposta, è collinosa e verdeggiante come il Sud d’Italia. Troppo simile, talmente simile a un “Occidente” che è praticamente uguale. Sì, qui è giusto che sia Unione Europea perché tutto è occidentale, perfino il paesaggio. Lunghe e diritte superstrade, città balneari con i loro palazzoni, villette arroccate sui poggi montuosi che ti sbattono in faccia che il progresso e l’agio economico è arrivato fin qua. Buon per loro, ma quanto mi mancano i paesaggi lunari di ieri del Nord dove non incontravamo anima viva, dove spazi immensi tagliavano la pianura della provincia di Gazimagusa fino alle colline a nord e dove ogni tanto piccoli paesini, con le loro moschee, apparivano dal nulla in mezzo a un vero e proprio deserto giallo-verde arido e marziano? Un altro mondo... Ecco, allora, che il Muro di Cipro assume valenza, perché davvero divide due metà che sono due mondi diversi e lontani fra loro.
    Taxi per il New York Hotel, dove ho pernottato una camera d’albergo, e qui iniziano i guai di oggi. Albergo occupato da rifugiati: così appare subito al mio arrivo. Ragazzi e ragazze di colore stazionano ovunque, dai balconi delle camere superiori alla hall dell’edificio. Mi dirigo alla reception. Una sorridente signora mi spiega che sono stato “spostato” (ma senza fornirmi la ragione, anche se la ragione è ben evidente) in altra struttura “molto più bella e accogliente”. Io sinceramente di altre strutture “molto più belle e accoglienti” non so che farmene, me ne starei davvero lì con i ragazzi africani a passare un giorno e una notte senza problemi, ma in men che non si dica mi cioccano in mano un bicchiere di caffè nero come il petrolio e un attimo dopo sono a bordo di un taxi (pagato dalla struttura) che mi porta sulla litoranea nord. Molto nord. Talmente nord che Paphos scompare lentamente alle mie spalle e mi catapulto in una zona brulla, bassamente abitata, dove un albergo a 4 stelle con vista mare, piscina, camere strafighe e tutte quelle cose che odio di un viaggio, è lì pronto ad accogliermi. Niente Paphos, niente viette del suo grazioso centro storico che si arrampicano sulla parte “alta” in cima a una collina, niente baracci nascosti che avrei scovato stasera, niente locali di ciprioti dove sarei entrato per bere una birra e raccontato al barista che me l’avesse chiesto che sono un viaggiatore italiano in cerca di avventure. Niente di niente di tutto questo.
    C’è una bella baia tutta privata, un mare che è tutto mio, una piscina in cortile che di sera e di notte si illumina d’immenso, il sole che tramonta sulla linea del mare come quella volta a Rabat in Marocco sull’Oceano Atlantico, un ristorante che si chiama Sonny’s dall’altra parte della strada dove si mangia a base di pesce molto ma molto bene, una stazione di servizio poco distante dove c’è un ATM e poco più giù un market aperto 24 h che vende alcolici e tabacchi. Che me ne faccio di tutto questo servito e riverito in pochi metri se non ho le mie stradine, i miei vicoletti, i miei pub di seconda mano, le storie vere di vita vissuta anziché questi quattro ricconi occidentaloidi che se ne stanno sdraiati tutto il giorno sotto un ombrellone a bordo piscina?
    La vera Paphos, se mai c’è, se mai ci sarà qualcosa oltre a questa patina consumata di turismo consumista, se mai si annida qualcosa di genuino là nel suo centro storico lontano da me, è rimandata alla prossima visita. Certo, però, che Larnaka, Nicosia, Nord Nicosia e Famagusta sono state tutt’altra cosa. Il tramonto sul Mediterraneo che ammiro dal balcone del Sonny’s Restaurant è un tramonto di un viaggio come ce ne sono stati altrettanto in passato. Difficile non rifletterci malinconicamente su.
    Cipro resterà nei miei ricordi come un’isola dalle mille sfaccettature, dai tanti risvolti, dalle troppe contraddizioni, l’ultimo Paese europeo con un Muro bello e buono che la divide in due, una parte occupata militarmente da un Paese straniero ma l’altra “controllata” e “consigliata” (come mi ha detto senza mezzi giri di parole Andreas) da un’altro Paese ancora. Ognuno porta avanti le sue ragioni, più o meno giuste o sbagliate, anche se mi chiedo ma noi erranti osservatori di passaggio chiamati “turisti” chi siamo per poter giudicare chi ha torto e chi no?
    Forse Cipro non dovrebbe essere né greca né turca, ma dovrebbe essere dei ciprioti e basta.
    Lontana da tutto e da tutti.
    Forse solo così potrà essere libera, unita e senza più alcuna cicatrice.
    FINE.
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