MIRKO CONFALONIERA

  1. ROAD TO EAST EUROPE 5
    Bucarest, Tulcea, Maliuc, Crisan, Sulina

     
    0 Comments   76 Views
    .
    delta_del_danubio_colonia_pelicanos

    1. - Romania. Est Europa. Un pensiero fisso, un tarlo nella mia mente negli ultimi tempi. La possibilità di partire si è fatta concreta solo poche settimane fa e così ho realizzato l’idea di tornare in Romania dopo l’epico viaggio stradale del 2013 con due amici a bordo di una berlina partita da Pavia un freddo pomeriggio di fine ottobre e approdata sulle coste del Mar Nero dopo non so più quanti giorni e chilometri di “on the road”. Impossibile non pensare a quell’avventura di otto anni fa, mentre mi avvio verso l’aeroporto milanese di Linate a bordo del passante S13 da Pavia, per raggiungere la Romania questa volta con un più veloce volo aereo della Blue Air, che ho pagato un insulto al mondo intero come 9,99 euro. Autobus 73 da viale Corsica (stazione di Milano Porta Vittoria) ed eccomi allo scalo aeroportuale milanese.
    Passo i controlli doganali liscio come l’acqua, il volo decolla con qualche minuto di ritardo e dopo un’ora e mezza, ma nel nuovo fuso orario di +1 rispetto all’Italia, atterriamo all’aeroporto “Henri Conda” della capitale rumena. Fuori dallo scalo c’è il capolinea di una ferrovia che conduce direttamente a Bucarest Gara de Nord, nei pressi di dove ho prenotato una stanza d’albergo per stanotte. Niente di più comodo. Venti minuti di tragitto a bordo di un trenino di due vagoni, dalla livrea moderna, ma alimentato a diesel, che corre su una linea a binario unico non elettrificata. Arriviamo a Bucarest già qualche minuto prima: la sua metropoli è gigantesca, un alveare di cemento e catrame in mezzo a un deserto verde sconfinato.
    Gara de Nord. Gente, via vai, negozi, note catene alimentari di ristorazione. La Romania mi offre già un biglietto da visita molto diverso rispetto a quello di otto anni fa. Piazza della stazione - il mio albergo a due stelle sorge all’angolo con un piccolo distributore di carburante (la benzina al litro costa il corrispettivo di un euro). Mollo i bagagli in stanza e mi avvio a riscoprire questa città di 2 milioni di abitanti. Mi incammino per il lungo Bulevardi Dinicu, ma per raggiungere il centro “taglio” per il verdeggiante Gradina Cismigiu, un grosso parco urbano attraversato da sentieri e laghetti. Pranzo veloce in un economico fast food.
    Oltre il Bulevardi Regina Elisabetta inizia il vero centro di Bucarest, quello di via Lipscani, arteria pedonale che sorge a nord di Curtea Veche, il cuore della vecchia “Bucuresti”. Negozietti, botteghe ma soprattutto locali di ogni tipo fanno di questa vietta caratteristica il centro della movida cittadina, soprattutto dopo l’ora di cena. Attraversando il fiume Dambovita e percorrendo il suo lungofiume si arriva al cospetto del gigantesco Palazzo del Parlamento, l’ex Casa del Popolo fatta costruire da Nicolae Ceaucescu durante il periodo della Romania socialista, che con i suoi 86 metri di altezza e la sua superficie di 66 mila metri quadrati è il secondo più grande palazzo dell’intero mondo. Per tornare in centro percorro Bulevard Uniri, un gigantesco viale adornato da alti palazzi bianchi ed eleganti fontane monumentali. Progettato e costruito negli anni ‘70, rappresenta una sorta di “rinascimento socialista rumeno” dalle fattezze chiare e allegre, che andavano a discostarsi dal costruttivismo del socialismo reale sovietico che era decisamente più grigio e cupo. Da Plata Unirii si snoda un crocevia importante. A sud-ovest, risalendo l’Allea Mitropolei, ornata da alte statue, si raggiunge la Biserica Patriarhei, la principale chiesa ortodossa della capitale, annessa al palazzo del Patriarca. Dalla piccola altura si gode di una bella vista sulla parte meridionale della metropoli - che ovviamente è rapita dalla gigantesca ex Casa del Popolo - tuttavia, l’attenzione è per il seicentesco edificio religioso. All’interno è in corso una cerimonia liturgica. La messa è cantata in lingua latina (alcuni altoparlanti diffondono le mistiche sonorità anche sotto il portico d’ingresso) e al suo interno un nutrito gruppo di fedeli è rivolto verso l’altare in atto di preghiera. Un fedele è inginocchiato completamente per terra. Le donne indossano in testa foulard dai colori sobri. Una donna è inginocchiata contro la parete e sembra pregare contro il muro. L’atmosfera è davvero molto suggestiva e riesce a sconfiggere per poco il mio eterno agnosticismo. Resto per parecchi minuti ad assistere alla celebrazione ortodossa prima di uscire e riprendere il mio cammino esplorativo.
    Risalgo Piata Unirii e attraversando il dedalo di viette attorno a Curtea Veche risbuco in via Lipscani. Si è fatto pomeriggio tardi e i tanti locali e pub del centro storico si stanno preparando per vivere un venerdì sera frizzante. Entro in un cortile dove c’è un pub moderno e giovanile e a un tavolo esterno ordino un litro di birra alla spina Ursus. La pagherò qualcosa come 4 euro e mezzo. Serata nella hall dell’albergo - dopo lauta cena nel ristorante libanese accanto e un po’ di shopping di viveri in un market aperto 24 ore dall’altra parte della strada: in TV danno l’anticipo del campionato di calcio fra Farul Costanza e Dinamo Bucarest (non Steaua, ma Dinamo che è l’altra squadra della capitale). Al simpatico impiegato della hall del mio hotel, che mi confessa di essere un grande tifoso dei biancorossi, andrà male: vincerà il Costanza per 3-0.

    2 - Sveglia di buon’ora per prendere il treno regionale che parte dalla Gara de Nord di Bucarest e che mi deve portare a Tulcea, nella regione del Delta del fiume Danubio, ai confini con Moldavia e Ucraina. Partiamo in orario (ore 6:34), a bordo in una littorina dalla livrea moderna (due sole carrozze con scompartimento aperto) ma alimentata a diesel. Alcune linee ferroviarie (come la Bucuresti - Constanta) sono elettrificate e a doppio binario, ma il mio treno poi dovrà percorrere una linea secondaria.
    Fino a Medgidia percorriamo la direttrice più importante del Paese, costeggiando per lunghi tratti anche la moderna Autostrada A1. Alla stazione di Medgidia stiamo fermi parecchi minuti. Qui scendono e salgono parecchie persone. Snodo importante, sorge alle porte di Costanza ed è un crocevia di treni diretti, oltre che verso la cittadina sul Mar Nero, anche per Mangalia, capolinea e confine di stato con la vicina Bulgaria.
    Abbandoniamo la moderna ferrovia a doppio binario elettrificato e il trenino si avventura su una linea a binario unico che sarà caratterizzato da attraversamenti stradali senza sbarre (il treno rallenta e fischia a ogni incrocio!), semafori meccanici di una volta, caselli ancora presenziati da ferrovieri che con bandierine gialle danno l’ok a proseguire, stazioncine di campagna immerse in mezzo al nulla e un paesaggio brullo, disabitato e quasi lunare. Per percorrere i circa 100 km di distanza ci mettiamo un’eternità, ma la lentezza del viaggio permette di assaporare il panorama davvero stupendo che ci circonda. Pastori con i loro greggi di pecore, fattorie immerse fra campi di frumento e girasoli, carrettini trainati dai cavalli.
    Solo a Babadag, dove inizia l’area dei laghi costieri e delle zone umide del Delta, sale un po’ di gente. La maggior parte, come me, sono diretti al capoluogo di Tulcea. Arriviamo alle 12:15 come da orario. Dopo aver mollato i bagagli alla pensione, mi reco alla caccia di un posto dove mangiare. Trovo un elegante ristorante sul lungo fiume Danubio. Sotto la veranda, direttamente in bella vista sul fiume, ordino un piatto di zuppa (“ciorba” o “borsc”), un secondo a base di pesce di fiume, un’insalata mista e una bottiglia da mezzo litro di birra. Pago in tutto 51 lei, una decina di euro.

    3 - Le strade finisco a Tulcea, poi non si prosegue più. Né in auto, né in treno, né a piedi. L’unico mezzo per raggiungere Sulina, i villaggi che sorgono in mezzo al delta e la foce del Danubio nel Mar Nero è via fiume tramite barche o comodi battelli di linea. La “Navrom Delta” (una delle tante compagnie di trasporto pubblico) ha due corse giornaliere, una alle 10 di mattina e l’altra alle 13:30. Vanno entrambe dritte a Sulina, ma io come prima tappa opto per Maliuc, villaggio di pescatori a una ventina di chilometri più a est e a un’ora esatto di viaggio. Il biglietto costa 26 lei (5 euro) e il battello (con un solo ponte passeggeri e un cabinato che a occhio ospita una 50ina di posti a sedere, più un piccolo “desk” esterno di un’altra ventina) lascia Tulcea alle 10 in punto. Il Danubio in questo tratto finale sembra un’autostrada nelle ore di punta. Non so più quante imbarcazioni, dalle piccole alle più grandi dimensioni, incrociamo o si affiancano al nostro viaggio. Subito dopo aver lasciato Tulcea alle nostre spalle, il Danubio si biforca in due grossi rami – il terzo, più a monte di Tulcea, è quello più a nord che segna praticamente il confine con l’Ucraina. Il ramo inferiore prosegue per Sfantu Gheorghe, mentre quello centrale tira dritto per Sulina, che dista 71 chilometri. Anticamente faceva un percorso diverso, pieno di spettacolari anse; poi con un lavoro di impeccabile pazienza è stato rettilineizzato in maniera quasi perfetta. Fra i due corsi del Danubio si apre un mondo acquatico di fiumi, laghi, paludi, canali e boschi a perdita d’occhio che è impossibile da esplorare se non a bordo di un motoscafo. Il viaggio prosegue, passando le sponde di qualche paesino piccolo, come Partizani, dove però non sostiamo.
    A Maliuc siamo già nel cuore del Delta puro e selvaggio. La nave attracca a un piccolo porticciolo, dove scendiamo solo in poche unità. La maggior parte delle persone resta a bordo, diretta alle spiagge e ai divertimenti di Sulina. Maliuc sembra un posto ai confini della realtà. Il classico paesino di quei film dove un turista capita per caso e quasi sempre fa una brutta fine. Solo la strada sul lungofiume è pavimentata di piccolo piastrelle romboidali: tutte le altre sono sterrate o si riducono a sentieri. Palazzoni vecchi, antichi, edificati sicuramente nel periodo socialista, distanziati fra loro da alberi e giardinetti verdi descrivono lo scenario un po’ desolante e non proprio accogliente a primo impatto. L’altro gruppetto di passeggeri che è sceso insieme a me si dirige verso imbarcazioni private che li scortano altrove. La motonave riparte davvero in fretta alle mie spalle e io resto completamente solo in quel mondo tagliato fuori da ogni via di comunicazione, sentendomi sempre più quel famoso personaggio di quel film retrocesso, però ora, da protagonista a comparsa di breve durata.
    Mi faccio coraggio, pensando che in Est Europa ho viaggiato spesso solo, mi sono trovato in situazioni apparentemente peggiori di questa, ma in un modo o nell’altro ho scacciato suggestioni fastidiose della mia mente. Mi incammino verso il B&B dove devo passare la notte, basta che percorro il tratturo che costeggia il fiume, indietreggiando di circa un chilometro in direzione ovest. Tuttavia, alla fine dell’abitato urbano, un cancello sbarrato mi arresta il cammino. Fantastico. Provo un giro più esterno, attraverso le stradine interne per aggirare quell’ostacolo e allora sì che la piccola e povera Maliuc mi sembra davvero un villaggio fantasma, abitato da fantasmi che potrebbero osservarmi da dietro le finestre di case silenziose e apparentemente vuote. Non c’è in giro nessuno, non si ode un rumore, è mattina inoltrata e fa già un caldo insopportabile, nonostante il verde non manchi di certo attorno a me. Più mi addentro in Maliuc, e più i palazzoni socialisti lasciano il posto in mezzo agli alberi a casettine di legno e piccole baracche. Passo una chiesetta, piccola, graziosa e dai colori vivaci, ma che sembra davvero uscita da un film di serie B, e poi la strada sterrata si allontana dal centro paese. Con un giro tortuoso sono in mezzo a una campagna spietata. Ecco la “Louisiana” che avevo sempre cercato dalle mie parti, eccola veramente qui che si apre ai miei occhi. Canali stagnanti, alberi che crescono e sbucano da ogni sponda, baracche galleggianti, imbarcazioni lasciate attraccate a piccoli moli, casupole di legno, fattorie con animali da cortile (mucche, vitelli, maiali, galline), ma nessun’anima in giro… Un sentiero sembra scendere ancora in direzione del fiume, camminando accanto a una recinzione di piloni di cemento legati fra loro da una ramina di ferro a maglie quadrangolari, arrugginite come il tempo che si è fermato in questo limbo di terra, che dovrebbe essere Europa, ma che Europa non è più almeno da Tulcea, ultima frontiera di civiltà e di “Continente”. Zone umide, laghetti, quelle baracche in legno da dove (sempre nel mio famoso film mentale di serie Z) potrebbe uscire il classico serial killer armato di motosega o di un fucile a pompa. Accelero stupidamente il passo a questi pensieri. Eccomi di nuovo sull’argine del fiume, ho bypassato così il cancello chiuso e ora posso dirigermi verso la mia destinazione. Una villetta di campagna, cintata con un bel giardinetto, tirata su con una costruzione bella e moderna; davanti c’è un piccolo ma comodo attracco per chi vuole arrivare via fiume.
    Non c’è Julien ad attendermi, il giovane che stamattina per telefono in un fluente inglese mi aveva dato istruzioni per arrivare dal porto al B&B e mi aveva chiesto a che ora sarei stato lì. Ci sono solo ragazze, simpatiche, carine, solari, che sfoggiano quei sorrisi e quella bellezza est-europea alla quale non so resistere, ma che di inglese non spiccicano una sola parola, se non giusto due o tre di cortesia.
    “Not English!” mi fa la biondina subito dopo un accenno di conversazione da parte mia.
    Allora devo dare sfogo ai miei ricordi di una lingua rumena incrostata nelle falde della memoria.
    “Eu sunt Mirko”
    Da applausi. Potevo impressionarla anche con un più forbito “Numele meu este Mirko”, ma non volevo strafare.
    Mi conduce attraverso il giardino e poi sul retro, dove sorge un complesso di camere, bagni, corridoi e sale costruire in un piccolo complesso ligneo. Mi mostra la mia stanza, una piccola camera dalle pareti in legno, con un letto matrimoniale, un lucernario in alto, un comodino a lato e niente altro. Beh, volevo una vacanza all’insegna dell’avventura e non mi lamento.
    In qualche modo mi fa capire che Julien non c’è, ma che arriverà dopo. Ho tempo per una doccia fredda come il ghiaccio e per mettere qualcosa sotto i denti, cibarie varie che mi sono portato nello zaino da Tulcea.
    Il giovane arriva dopo pranzo e scambiamo due chiacchiere, con lui che parla inglese meglio di me e quasi faccio fatica a starci dietro.
    Gli chiedo se per caso nel pomeriggio si può fare un’escursione in barca. Di Maliuc credo di aver già visto tutto e siccome devo stare qua fino a domattina, la storia prenderebbe una piega un po’ noiosa, anche se un po’ di relax, magari leggendo qualche libro che mi sono portato dall’Italia, e magari in una location affascinante come in riva al fiume, non sarebbe affatto male come programma. Julien mi dice che di domenica non organizza escursioni, ma prova a chiedere a un suo amico pescatore. Affare fatto. Per 100 lei (20 euro) puntello alle 15:30 al piccolo attracco per un avventuroso “boat tour” di tre ore.
    Ecco Valentino. Ragazzo rumeno che ha lavorato una decina d’anni in Italia, precisamente vicino a Torino, e che parla bene italiano. A bordo della sua barca (un sei metri abbondanti spinti da un motore Honda a 40 cavalli) c’è anche una coppia che avrà la mia età: sono rumeni e parlano in rumeno, ma capiscono la mia lingua. Salpiamo in direzione est, ma subito dopo aver sceso il Danubio fino oltre l’estremità orientale di Maliuc, imbocchiamo il canale del Vecchio Danubio (lo storico percorso, più ansato, che il fiume faceva prima che fosse “rettilineizzato”).
    Entriamo in un mondo difficile da raccontare. Se il Danubio può assomigliare al fiume Po nei pressi del Delta e del Polesine (quindi molto grosso e largo da sponda a sponda), questa miriade di canaletti e affluenti si smarriscono in un multiverso completamente alieno. Quando prima ho sparato di essere nella “Louisiana dell’Est Europa”, non pensavo di averci imbroccato così tanto. Porticcioli allestiti alla bella e meglio, barche ormeggiate, vecchie imbarcazioni abbandonate, una fitta vegetazione che invade il corso del fiumiciattolo. Stiamo navigando su uno spazio fluviale anche nel tempo. Viaggerei adagio per ammirare ogni singolo metro di questa natura selvaggia e incontaminata, ma Valentino sferza al massimo la velocità e schizziamo a razzo. Biforcazioni, canneti, stagni. Il Delta è un labirinto di cunicoli acquatici da cui uscirne integri senza una mappa o un esperto barcaiolo è pressoché impossibile. La fauna è caratterizzata dapprima da animali da cortile (vacche, buoi, vitelli) che pascolano serenamente lungo le sponde dei fiumi, poi si fa più caratteristica. Ecco gabbiani, cormorani, martin pescatori e quant’altro.
    Il Lacul Fortuna è un gigantesco lago d’acqua dolce dove ammiriamo stormi di pellicani. Credo che è la prima volta che li vedo in vita mia. Si scansano quasi infastiditi dal nostro passaggio, mentre rallentiamo ed entriamo in questa vasta superficie d’acqua, bassa, ma molto estesa. Valentino sa dove portarci e ci infiliamo, dall’altra parte, in uno stretto cunicolo che a prima vista faremmo fatica a non arenarci. Non è così. Avanziamo fra alti canneti in quello che in realtà è un gigantesco acquitrino senza confini. Raggiungiamo il Lacul Mari, più a nord, e anche se è più piccolo del precedente, è più caratteristico, perché quasi tutta la superficie è ricoperta da piante acquatiche, fra le quali spiccano meravigliose ninfee bianche. L’acqua è bassa in questa stagione – ci spiega la nostra guida – e dobbiamo tornare indietro. In primavera si potrebbe proseguire ancora più a nord e raggiungere, con un giro più largo, il villaggio di Mila 23, l’unico borgo rimasto lungo il vecchio corso del Danubio. Torniamo verso il Lacul Fortuna, ma facendo un giro più settentrionale. Incrociamo barche di pescatori e un angolo dove un gruppo di amici ha montato delle tende e stanno facendo il bagno. Siamo immersi in una vegetazione così rigogliosa e naturale, senza la minima traccia di artefatti umani per chilometri e chilometri, che se mi vedessi sbucare un tirannosauro preistorico sulle sponde non rimarrei spiazzato. Riattraversiamo il Fortuna, il gruppo di pellicani e ritorniamo a Maliuc che è ormai il tramonto. L'avventura in barca è valsa l’intera vacanza.
    Ceno al "Nea Paul" (il mio B&B) dove mangio un piatto di polenta fritta con pesce di fiume in umido, condito da alcune pietanze. In serata conosco un amico di Julien, si chiama Alex, fa il fotografo e ha girato un po’ di Paesi. Parla molto bene in inglese. Discorriamo di Romania, Italia, altri paesi dell’Occidente, di calcio, di tifoserie, del periodo comunista romeno e di quando non c’è più stato, e di tornare sul Delta a giugno, quando tutti i colori visti oggi cambiano completamente, così come la flora, la fauna e le sensazioni provate oggi a bordo di una piccola avventurosa barca.

    4 - Con qualche minuto di ritardo la grande nave fluviale della Navrom Delta arriva all’imbarco di Maliuc, dove esattamente 24 ore fa mi aveva lasciato giù sperduto e abbandonato. Lo scenario è pressoché identico a ieri, la scenografia quella di una cittadina fluviale fantasma, con pochi (spettri) che si aggirano per le case e l’unica strada pavimentata da sampietrini del lungo fiume. Sono seduto su una panchina riparato dall’ombra di una grossa pianta per evitare il già pressante caldo umido e afoso di questa mattinata. Di fronte su un’altra panchina una coppia di queste parti, sulla quarantina d’anni: lui è uno smilzo piccoletto che indossa un cappello a tesa larga in testa, una shirt un po’ sciupata e due lunghi pantaloni che mettono caldo solo a guardarli; lei un po’ grossa di stazza, indossa una maglietta senza reggiseno al di sotto, che fa intravedere un seno voluminoso ma cadente come cocomeri andati a male. Ridacchiano in continuazione e si sbaciucchiano come sedicenni arrapati che ieri sera l’hanno fatto per la prima volta.
    L’amore a Maliuc, un villaggio ai confini del mondo, dove transitano ogni tanto soltanto qualche battello per rapirti e portarti via nelle uniche due direzioni possibili: Tulcea o Sulina. Io sono diretto a quest’ultima, capolinea del tragitto, ma anche del fiume Danubio, almeno del suo ramo centrale, laddove si tuffa nel Mar Nero. Ricordo che qui non ci sono strade che collegano fra loro i piccoli paesi di questo universo lontano anni luce dalla concezione di “continente” che abbiamo banalmente in testa. Qui le strade sono poche, sterrate e interrotte da canali e affluenti dell’ancor più lungo e immenso fiume Danubio (che raggiunge profondità anche di 20 metri); formano isole, penisole, peduncoli tagliati fuori dal mondo da paludi, stagni e giganteschi laghi. Non ci sono ponti che collegano i tasselli di questo puzzle, ma si viaggia solo a bordo di barche o di battelli. Altrimenti resti qui, a Maliuc, a osservare i motoscafi che sfrecciano davanti al molo a velocità siderali, mentre il tempo che passa ma in reltà sembra restare ancorato agli anni della Romania di Ceaucescu.
    Arriva anche un gruppetto di quattro ragazzotti, sono anch’essi diretti a Sulina. Ecco la nave, la stessa di ieri. Oggi è lunedì e speravo fosse meno affollata, invece sembra esserci più gente. Solite lente manovre di attracco, con l’ometto – lo stesso che c’era ieri – che raccoglie le cime del battello, le fissa in modo sicuro, poi apre il cancelletto. Non scende nessuno. Salgo a bordo, percorrendo uno stretto e piccolo passatoio sospeso fra il vuoto e l’acqua di fiume, traballando a ogni passo che faccio. Il personale di bordo sulla nave tende la mano a chi trasporta trolley o borse pesanti. Non ho il biglietto, non ci sono biglietterie a Maliuc, solo un attracco che sembra uscito da un romanzo di Mark Twain dell’Ottocento.
    “Puoi farlo a bordo!” mi aveva rassicurato ieri sera Julien, quando gli avevo chiesto come avrei fatto a raggiungere Sulina privo di documenti di viaggio.
    Si mollano le cime e si salpa. Mi metto sempre a poppa, in piedi vicino a un corridoio laterale, sperando di intravedere fra la gente seduta e quella in piedi qualche scorcio da immortalare in qualche foto. Passiamo l’ultima zolla di Maliuc che si affaccia sul Danubio e subito dopo la confluenza del vecchio fiume, dove ieri Valentino ci aveva scortato a caccia di avventure ed emozioni di altri tempi. Il paesaggio cambia rapidamente. Le sponde si fanno più spoglie e aride, meno boscose: si aprono pianure piatte e brulle a perdita d’occhio. A metà tragitto fra Maliuc e Crisan incrociamo una nave mercantile di dimensioni fantascientifiche. E’ lunga e piatta quasi quanto un’astronave che fluttua in un universo fatto di stelle e galassie a perdita d’occhio. Sventola un tricolore molto noto e una scritta campeggia sulla sua poppa: “RUSSIA”. Questa viene direttamente dal Mar Nero, dalla Crimea o dai porti di Sochi ed è diretta quasi sicuramente a Tulcea. Rimaniamo ad ammirarla in un silenzio catartico mentre scivola lentamente via - qualcuno scatta delle foto o realizza dei brevi video con i propri telefoni cellulari. Poi è il turno di una mercantile battente bandiera olandese. Il terzo mercantile, con bandiera rumena, mi fa capire che il Danubio, almeno in questo tratto, è più di un fiume, ma è una gigantesca direttrice d’acqua verdastra e torbida come lo spazio profondo che collega l’Est con l’Ovest del Mondo.
    Crisan appare alla nostra sinistra. A primo occhio sembra un villaggio di fiume più turistico, meglio tenuto che Maliuc, e forse anche meno genuino. Ristoranti, alberghi, locali, villette private, tutte munite di piccoli attracchi, iniziano a tranquillizzarci che siamo in procinto di attraccare. Qui scende un bel po’ di gente, anche se siamo ancora lontani dalle spiagge di Sulina. Ci vuole un’altra oretta, che adesso pare interminabile. Il Delta d’ora in poi muta profondamente, si inaridisce ancora di più e non è più quello selvaggio e incontaminato di prima: sembra quasi prepararci all’arrivo nella città terminale del viaggio. Palazzoni, darsene, stabilimenti navali. Più in là, verso il centro, ristoranti, alberghi e locali per turisti veri e propri e non avventurieri ed esploratori di altri mondi.
    Gran parte della città sorge sulla sponda destra, ma ci sono palazzi e caseggiati anche dall’altra parte. Solo che non ci sono ponti per attraversare questo gigantesco fiume che ormai, prossimo alla sua foce, ha raggiunto una larghezza di dimensioni siderali. Bisogna ricorrere a volenterosi taxi-boat, piccole barchette di pescatori, che vogliono solo 1 Leu (20 centesimi) per traghettarti da una riva all’altra. Salpano di fronte alla Pensione Perla (zona ovest della città) e lasciano giù a un attracco nei pressi dei capannoni industriali dalla sponda sinistra del Danubio.
    Avevo prenotato una tenda in un sedicente “camping” dalle parti di via Popescu, ma quando arrivo in loco capisco che il bassissimo costo del pernottamento (10 euro!) era uno specchietto per allodole bello e buono, perché le fotografie sul sito di Booking.com erano assolutamente ingannevoli. La struttura è fatiscente, ridotta al limite del degrado, nonostante il quartiere di casette di legno circostanti sia molto caratteristico. Il cortile non è recintato né ha protezioni di alcun tipo, le tende (cinque in tutto) sorgono in un’aia tenuta malissimo e mal curata, sotto un sole battente che le rende dei forni a microonde dove cuocerci dentro degli esseri umani. Il resto della struttura è ancora peggio. La “hall” dove vengo ricevuto è un cortiletto con due tavolini posti sul retro, ingombrato da pentole e stoviglie lì poste almeno dal giorno prima, sulle quali nugoli di mosche stanno allegramente danzando impazzite come a un rave party per insetti; i bagni sono dei cessi chimici locati in un angolo del giardino in mezzo a erba alta, cresciuta in maniera incontrollata e ingiallita dai colpi solari. Cani randagi che si strusciano fra l’erba e collassano ogni dove completano il quadro esterno. L’interno dell’edificio è forse ancora peggio: una baracca tenuta in piedi alla bell’e meglio, che è tutto tranne che confortante. La stanza “dormitorio”, nel caso non amassi l’accomodamento nella tenda indiana del giardino, è uno stanzone fuoriuscito da un ripostiglio dove sono stati messi un paio di letti a castello e un piccolo ventilatore che diffonde aria bollente e irrespirabile. Mi accolgono due tizi, ai quali poi se ne aggiunge un terzo, che non sono romeni: parlano inglese e sembrano più degli hippy scappati dall’Ovest per creare qui a Sulina una “Comune” bella e buona.
    “E’ meglio che dormi fuori nella tenda, perché qui fa caldo!” mi dice la ragazza bionda, che sta insieme al capellone con i rasta.
    Mi accomodo in quella che dovrebbe essere la mia. La tenda è un telone legato su attorno a un palo, che non si può manco chiudere o sigillare. Dentro sono stati buttati per terra un paio di materassi sporchi, due cuscini e uno sgabello per rendere un po’ di comfort: forse mi sentirei più a mio agio se mi trovassi disteso su un letto di una camera mortuaria. Se dovessi giocare ai cowboy contro gli indiani sarebbe un pomeriggio assolutamente indimenticabile. E io, ovviamente, starei dalla parte dei pellerossa e cercherei di fare il culo a quei fottuti yankee americani. Bang! Bang!
    “Se vai in centro è meglio che ti prendi un repellente per i ‘mosquistos’ – mi suggerisce Ivan, quello che si era presentato qualche minuto dopo e che la ragazza del rastafariano mi aveva detto essere il “titolare” – Qui di notte ti divorano vivo!”.
    Cammina a piedi nudi fra l’erba del prato e il marciapiede della casa. Si è acceso una sigaretta di fronte a me. Ha la camicia sbottonata sul petto e sulla pancia, un occhio più chiuso dell’altro e un’espressione di uno che si è appena svegliato dopo una notte a base di alcol e droghe varie.
    Bentornato indietro nel tempo di almeno 60 anni.
    Okay, ne ho già abbastanza.
    Mi sarebbe piaciuto restare lì solo se avessi avuto vent’anni in meno e una sana dose di incoscienza ancora addosso.
    Maledetti visi pallidi, è solo rimandata. La vecchiaia incipiente, mi spinge a salutare e a cercare un alloggio diverso.
    Ritorno verso il molo della parte nord. Alcuni ragazzini sanno facendo il bagno nei primi metri di fiume festosi e divertiti come bambini per la prima volta che salgono sulla giostra di paese.
    Il taxi boat sta già venendo da questa parte, così non devo aspettare troppo a lungo, per salirci a bordo e farmi riportare di là per sempre. Pago i due Leu promessi e me ne vado alla ricerca di un tetto sopra la testa per la notte. Nel frattempo su Booking.com ho già visto che c’è una struttura in centro con qualche camera ancora libera. E’ un affittacamere posto in un alto caseggiato di legno, che sorge sulla terza strada. Arrivo lì senza prenotazione, ma combiniamo subito l’accordo. Famigliola gentile e molto premurosa. Mi becco un solaio molto caratteristico, pareti di legno, letto a due piazze, aria condizionata, TV, bagno in comune, perfino un balcone esterno dove poter fumare in santa pace. Penso a quei maledetti soldatini che ormai staranno conquistando l’accampamento indiano al del Delta Camping e ai poveri Ivan, Rasta e Biondina ormai arresi e prigionieri, mentre io qui in un attico quasi di lusso. In un universo parallelo io arriverei a cavallo, sconfiggerei i cattivi, libererei i buoni e la biondina, che innamorandosi di me, scapperebbe con me in groppa al mio fedele destriero.
    Applausi e titoli di coda.
    Non c’ tempo per escursioni in barca, le più belle della zona partivano stamattina o sono partite nel primo pomeriggio. Così mi reco pazientemente verso le spiagge di Sulina, che sorgono un po’ fuori dal centro abitato. C’è da oltrepassarlo tutto, percorrere una strada asfaltata ma che poi diventerà sterrata, costeggiare un caratteristico cimitero ortodosso (balzano immediatamente all’occhio perché non hanno recinzioni o mura di protezione e si vedono tutte le tombe stando dalla strada) e un ponticello di un canale scolmatore. Poi finalmente il mare, la spiaggia, il punto più a Est di tutta l’Unione Europea. Ebbene sì, controllate le mappe: Sulina è la punta più orientale non solo della Romania ma di tutta l’U.E.! La propaggine del Delta nel Mar Nero la rende una meta sperduta che si lancia verso l’Ucraina a nord e la Russia dall’altra parte di questo specchio d’acqua salata. Lidi attrezzati, spiagge libere, belle ragazze est europee in costume da bagno che passeggiano sul litorale. Cosa desiderare di più?
    Alla sera ceno in un locale sul lungo Danubio: antipasto misto terra/fiume e poi piattone di polenta con pesce cotto al forno. Provo ma non ci riesco, pur trattandomi bene non spendo oltre 13 euro nostrani. Fine della quarta giornata in un supermarket aperto fino a tarda ora per fare spesa di un po’ di viveri, fumando un paio di sigarette su un molo osservando una poderosa nave da crociera passare davanti a miei occhi e bevendo una birra media “Ursus” in un baraccio fumoso e ombroso del lungofiume che - non c’è neanche bisogno di dirlo - finisce dritto dritto nella mia lista di “worst european pub del cuore da Mosca a Lisbona”.
    Amo l’Est Europa alla follia.

    5 - Le temperature stanno iniziando lentamente ad abbassarsi anche qui in Est Europa. Non sembra, soprattutto di giorno, quando soltanto camminando con zaino in spalla mi becco di quelle sudate che mi verrebbe voglia di gettarmi vestito nelle acque del "Bel Danubio Blu" per cercare rinfresco e conforto. Ma da quando sono arrivato, obiettivamente non fa più quel caldone insopportabile che sembrava avermi seguito dal Nord Italia. Stanotte, per esempio, all’affittacamere Casa Oana di Sulina ho dormito con la finestra spalancata, ma a un certo punto mi sono dovuto coprire con le lenzuola, perché ha cominciato a fare davvero freschino. Sensazione bellissima per chi come me patisce molto il caldo. E all’opposto, ama il Freddo e le stagioni invernali.
    Sveglia alle ore otto e colazione est-europea: uova fritte con pancetta, formaggio e verdure assortite. Non sono abituato a mangiare così tanto a colazione, perciò varrà come un pranzo molto anticipato. Avevo in mente tante cose stamattina da fare a Sulina. La prima era una escursione in barca di tre ore, ma quella che interessava a me, quella aperta in Mar Nero, quasi tutte le barche la organizzano solo di sera precisamente verso il tramonto. L’altra opzione era di recarmi ancora alla “Plaja”, prendere un po’ di sole, scottarmi ancora un po' la pelle, fare un paio di bagni schivando le numerose malefiche meduse avvistate ieri e poi tornare verso il porto per l’ora che sarebbe salpata la Navrom. Alla fine ho optato per restare in città e mi sono accontento di spaparanzarmi su una panchina sul lungo Danubio a leggermi un bel romanzo noir di Joe Lansdale che mi sono portato da casa. Mi godo anche uno spettacolo abbastanza inedito: l’attracco di una gigantesca nave mercantile battente bandiera turca e con la scritta "Istanbul" in bella vista sulla poppa. Forse è la più grande e imponente di tutte le imbarcazioni che ho visto sfrecciare avanti e indietro in questi giorni.
    Verso mezzogiorno e mezzo mi avvio verso il molo, acquisto il biglietto per Crisan (26 lei = 5,1 euro) e attendo che il battello arrivi da Tulcea, faccia scendere i tanti passeggeri e poi permetta a tutti altri noi in partenza di salire a bordo. Oggi siamo di meno rispetto agli altri due viaggi e posso finalmente permettermi un posto a sedere in prima fila sulla poppa della motonave: il paesaggio, seppur visto da “retro”, sarà ottimo. Salpiamo in perfetto orario e abbandoniamo lentamente Sulina, che si allunga sul fiume per qualche chilometro, da ambo le sponde, prima di sparire completamente dietro una piccola ansa.
    In una quarantina di minuti siamo a Crisan. Sono l’unico passeggero che deve scendere. Nessuno deve salire. Il molo è deserto, nemmeno presenziato da qualche addetto portuale della compagnia navale. Deve fare tutto uno dei marinai a bordo. Attraccare, legare la cima, aprire il cancelletto del "gate", e aiutarmi a saltare indenne e a non precipitare giù nell’acqua del Danubio. Forse lo Sbarco in Normandia è stato meno traumatico. Sono sul molo sano e salvo, ringrazio il marinaio e vedo la nave ripartire in direzione di Tulcea.
    Lo scenario è più desolante di Maliuc, seppure Crisan avevo già notato che mostra più attrazioni. Ma in giro non c’è anima viva. Il villaggio si distende completamente lungo l’allea principale, pavimentata da sampietrini, sulla quale si affacciano casette colorate oppure baracche in legno. Quasi tutte le abitazioni dispongono, dall’altra parte della stradina, di un piccolo attracco fluviale. Passo di fronte a un piccolo cimitero ortodosso, che come al solito non ha pareti o mura di cinta, e si fa ammirare in tutto il suo macabro e seducente splendore. Cammino parecchio, circa due chilometri, sotto un sole dannatamente caldo e afoso, prima di trovare il camping Casa Mihaela. Questo è davvero come me lo aspettavo, come le foto di internet dicevano di essere, come le tende appaiono davvero quelle strutture economiche ma accoglienti e smart che sono. Per cui non scappo inorridito come ieri da quell’orrido lager di turisti gestito dai tre hippy che mi avevano avvinghiato a Sulina.
    Ho a disposizione, però, poco tempo perché chiedendo se è possibile fare un giro in barca in giornata, Bogdan - uno dei gestori del camping - mi dice di sì ma che si parte fra pochi minuti. Allora, sbroglio i miei bagagli nella tenda in fretta e mi preparo per salpare. Di fronte al camping c’è un piccolo attracco con una barca che accoglie me e altri sette membri, che sono tutti turisti del camp: una coppia giovane di ragazzi tedeschi e due coppie di romeni di mezza età. Partiamo, con Bogdan a poppa che manovra il mezzo alla guida di un volante e di un cambio automatico.
    Ci dirigiamo inizialmente verso ovest, ma poco dopo la biforcazione fra il Sulina Branch e il canale del Dunarea Veche, viriamo in direzione sud-est seguendo il Canalul Caraorman (in lingua turca, dato che la Romania è stata per secoli sotto la dominazione ottomana, “Kara” e “Orman” significano: “Nera Foresta”). E’ un lunghissimo canale immerso in una ricca vegetazione di canneti, piante acquatiche e rive boscose, dove pascolano allegramente buoi, vacche e cavalli: proseguiamo così fino all’omonimo villaggio. Ci accorgiamo del posto da alcune costruzioni abbandonate che si affacciano sul piccolo porticciolo, che forma una sorta di laghetto circolare. Bogdan ci spiega che erano fabbriche che trasformavano la sabbia (materiale molto diffuso in questa zona del Delta) in vetro. Fortemente volute da Ceaucescu, lavorarono poco e molte di esse non furono manco completate, perché la rivoluzione del 1989 si portò via tutti i progetti del regime comunista.
    Attracchiamo e ci dirigiamo a piedi verso il centro del paese, che si snoda attorno a tre-quattro strade sterrate e sabbiose. Sembra di essere in un paesino del Far West, con gli unici edifici pubblici del paese (la scuola che comprende tutte le classi, il municipio, un bar che fa anche da emporio, la chiesa ortodossa più ‘antica’ dell’intero Delta) che si affacciano sulla sterrata via principale. Per il resto casette recintate e fattorie come in un film girato nel Texas Orientale. Restiamo sotto i portici del bar/emporio ad aspettare Marc, un collega di Bogdan che a bordo di un PK arrangiatissimo - con un tendone sul cassone posteriore e due panchine poste lateralmente - ci deve scortare verso la prossima tappa.
    Eccoci pronti per il nostro “safari”, come l’ha chiamato Bogdan, che parla un fluentissimo inglese, e che spesso mi lascia spiazzato. Meno male che ho ancora qualche ricordo del mio rumeno autodidatta di una decina di anni fa, così un po' in “english” e un po' in “roman” riusciamo a capirci. Ci dirigiamo a velocità sostenuta verso sud. Marc guida come un matto e il PK nero sembra reggere i sobbalzi sulla strada sabbiosa, ma io che sono seduto proprio sull’ultimo posto laterale destro, temo sempre di più che da un momento all’altro possa essere sbalzato fuori dal veicolo. Più che un safari finora mi sembra la riproposizione di una Parigi-Dakar, e più che il Delta del Danubio quello davanti ai miei occhi adesso sembra più il Deserto del Sahara nei pressi di Merzouga. Anche allora Alì si divertì a scorrazzarmi a tutta velocità a bordo della sulla sua 4x4 sulle dune di sabbia per farmi provare l’emozione di un rally del deserto: ma in quell’occasione ero comodamente seduto dentro l’abitacolo, con la cintura di sicurezza allacciata e con una visuale da cinema in 3D alla quale mancavano soltanto una ciotola di popcorn e una lattina di birra ghiacciata. Oggi non è per nulla così, e allora non posso fare altro che aggrapparmi alla bene e meglio da qualche parte, mettermi il cuore in pace e pregare che tutto quanto finisca alla svelta.
    D’un tratto spunta un manto boscoso all’orizzonte: sembra davvero un’oasi in un quel deserto sabbioso che stavamo attraversando dal villaggio di Caraorman. Il perimetro è tutto recintato da aguzzi fili spinati, ma il cancello principale è completamente spalancato. Entriamo da quell’unico varco. La foresta di piante secolari è bella, sfoggia una fauna di bovini lasciati allo stato selvatico, cavalli, e uccelli (upupa, gufi e altre specie). Bogdan ci dice che sono presenti anche gli sciacalli e infatti ne vediamo un esemplare piccolo che fugge in mezzo alla boscaglia appena ci vede arrivare di gran carriera. Facciamo due soste, in due punti diversi, per ammirare meglio la natura che ci circonda. Effettivamente è una parte di mondo incontaminata, lontana fortunatamente dalle mani speculatrici dell'Uomo che non è mai stato poi così tenero di fronte alla conservazione della Natura. Ma qui, dall'Uomo siamo lontani. Il Delta del Danubio segna con i suoi mille canali e affluenti un reticolato di isole e penisole di difficile accesso. I pochi paesi e villaggi che ho incontrato durante questo viaggio (Sulina esclusa) vivono di poco: pesca, agricoltura e turismo di nicchia. Difficile, soprattutto per motivi logistici, pensare che in futuro autostrade, catrame e cemento possano arrivare in maniera massiva in questo paradiso perduto. Ed è meglio così.
    Fine del tour, Marc accelera ancora di più e in un battibecco siamo di nuovo a Caraorman e al porticciolo.
    Risaliamo il percorso di prima, ma visto che il sole non è ancora tramontato, Bogdan propone una piccola deviazione per uno stretto canale immerso nella boscaglia, che ci conduce al vasto Lacul Iacob. La superficie è invasa da piante acquatiche, il fondale è basso ed è impossibile proseguire, ma in lontananza - più o meno verso il centro del lago - vediamo uno stormo di pellicani che stanno dormendo, tutti ammassati uno sopra l’altro. Qualcuno di loro si sveglia e inizia a fissarci in maniera diffidente e sospettosa. Prendiamo un’altra deviazione, che ci farebbe tagliare per tornare verso Crisan, ma il fondale è ancora basso e Bogdan confessa che non se la sente di proseguire da quelle parti. In autunno o in primavera, quando c’è più acqua, è tutto completamente diverso.
    Torniamo sul Canalul Caraorman e ripercorriamo il percorso di prima a ritroso, che ci offre, però a questo giro, uno spettacolare tramonto su queste lande meravigliosamente sperdute del Delta del Danubio.
    Arriviamo a Crisan al crepuscolo e i locali di ambo le sponde stanno accendendo le luci e le musiche per attrarre clienti e offrire la solita serata su questo “water world” che è lontano anni luce dalle nostre concezioni di geografia e di mondo comune: qui non ci si sposta sulle normali strade, perché le strade non esistono. Qui ci si sposta sull’acqua, a bordo di navi e motoscafi, lungo l’asse del Danubio che ha mille diramazioni, che poi formano crocevie di canali, laghi, stagni, e tantissime avventure e posti da scoprire.

    6 - Il sole sorge presto in Est Europa, più presto di quanto si possa credere. Qui il fuso orario è, per mera convenzione, solo +1 rispetto all’Italia, ma in pratica sarebbe un +2. Il che fa sì che il sole sorge prima alla mattina e, ovviamente, cala dietro le piatte pianure rumene molto anzitempo. E’ la luce solare a svegliarmi nella tenda del Camping Casuta Mihaela dove ho passato la notte. Una tenda a due piazze, dotata di due comodi materassi, immersa in un’aia buia, fresca e piena di alberi, a due passi dal gigante Danubio, che per tutta la notte è scorso lento e silenzioso. Un po’ meno silenzioso è stato il dirimpettaio "Infinity Pool", un mega complesso che sorge sulla sponda opposta, che offre, oltre a stanze da letto e un ristorante, un disco-pub che fino a tarda ora ha sparato musica dal vivo in ogni angolo del Delta. Avere avuto una macchina a disposizione qui sarebbe servito come aprire un chiosco di gelati al Polo Nord, poiché per andare di là a bermi una birra e gustarmi dal vivo la sicuramente bella cantante rumena, anche se avessi avuto una Cadillac rossa fiammeggiante me la potevo infilare nelle profondità del fiume (per non dire di peggio) e poi lasciarla là sotto per le prossime ere geologiche. Non ci sono strade sul Delta, non ce ne sono manco per idea a Crisan, dove c'è solo un’allea larga quando una buona pista ciclopedonale, che costeggia tutto il lungofiume, pavimenta da sampietrini trapezoidali, sui quali corrono al massimo qualche bicicletta e pochi monopattini. Per il resto si cammina, schivando cani randagi, dall’aspetto sospetto ma innocuo, e più simpatici gatti facenti parte di una numerosa colonia di felini ben radicata.
    Niente da fare, insomma: non mi è restato che ascoltare la music live da questa parte di fiume, contemplando di come in questo “water world” sia indispensabile possedere un motoscafo per ogni spostamento. Di mezzi terrestri a quattro ruote ieri ho visto solo un trattore, con rimorchio, e una piccola ruspa, che di fronte a una delle tante casette di legno sul lungo fiume (a circa metà strada fra il porticciolo della Navrom Delta e il camping) stavano portando via alcune macerie ammucchiate in malo modo ai bordi dell’allea. Per il resto, ogni rombo di motore proviene dai tantissimi fuoribordo che sfrecciano in continuazione in mezzo all’oceanico fiume Danubio, più dai battelli di linea e dalle mastodontiche navi mercantili di ogni possibile e immaginabile nazionalità, che ogni tanto rapiscono l’attenzione di tutti quelli che volgono lo sguardo al Danubio in cerca di risposte.
    Dalle parti della Casuta Mihaela c’era solo una piccola baracca, eretta su una palafitta, adibita a pub vecchia maniera, che offriva qualche birra e la visuale sull’”Infinity Pool” di fronte. Troppo poco. Così me ne sono andato mestamente a dormire, comprendendo una volta per tutte che se possiedi una quattroruote non sei il re del mondo, soprattutto se vivi nel mondo acquatico del Delta del Danubio.
    Non sono manco le otto di mattina quando i cocenti raggi solari penetrano nella mia tenda, posizionata ovviamente verso oriente. Poco male, ho dormito quel che basta, e dopo una lauta colazione mi appresto a ripartire. Nel camping ho notato di essere soprannominato dagli addetti ai lavori e da alcuni altri ospiti come “italianul”, ovvero “l’italiano”, per il fatto molto probabilmente di essere l’unico della mia nazionalità. Ieri sera, a cena, all’interno di un gazebo in legno adornato da lunghe zanzariere per ripararci da quelle infernali bestiacce succhia-sangue (non lamentiamoci mai più in Val Padana delle zanzare, non abbiamo idea di cosa siano davvero le zanzare in altre parti del mondo come questa!), avevo condiviso il tavolo con due donne, madre e figlia, di nazionalità belga, che come me sono in vacanza lungo il Delta.
    “Parli inglese?”
    “Un poco”
    “Parli romeno?”
    “Un poco”
    “Di tutto un po’ – hanno constatato ridendo - Cosa parli bene?”
    “L’italiano” ho risposto con una bella faccia tosta.
    Comunque l’avventura a Caraorman di ieri ha unito per poche ore rumeni, tedeschi, UN italiano e quant’altro, per un ricordo che resterà vivo in ognuno di noi per tutta la vita. C'è una foto di gruppo che ci ritrae tutti insieme e l'ho postata sui miei social network a perenne memoria.
    Saluto Bogdan e ci scambiamo l’amicizia su FaceBook. Ieri avevamo parlato un po’ di storia, e che era stato in Italia per vedere Roma, ma che gli piacerebbe tornare per visitare Firenze.
    “What is… Ticino?” mi domanda leggendo sul mio profilo FB che faccio l’articolista per l’omonimo giornale.
    “An italian river” rispondo.
    Ha la sua bellezza, così come il fratello maggiore fiume Po, detto da noi "Il Grande Fiume", ma qui è tutt’altra cosa. Qui sul Danubio perdi il fiato e ci lasci il cuore. Mannaggia.
    Saluti e arrivederci a una mia prossima futura, chissà quando, avventura sul “Delta Dunarii”.
    Mi avvio di buon ora verso l’attracco. Mancano 4 ore alla partenza della mia nave, ma considerando i 2 chilometri abbondanti di strada, pardon di allea, e il caldo afoso e umido che ci sarà fra poco, con il pesante zaino che mi sto portando appresso lungo tutta questa “Strada per l’Est Europa” è meglio incamminarsi ora che fa ancora relativamente meno caldo. Come non detto. Sarà un bagno di sudore unico e avrò un po’ conforto solo una volta arrivato in loco, spaparanzato sulla panchina sotto le frasche delle piante davanti all’imbarcadero, mentre mi sgolo una bottiglia di tè freddo al limone comprato nell’unico mini-market lì di fronte.
    Il tempo passa grazie alla continuazione della lettura dell’ultimo romanzo di Joe Lansdale, “Freddo a Luglio”, un buon noir come molti dei suoi ambientati nel suo natio Texas, di cui mi leggo tutta la seconda parte. Ogni tanto, qualche fotografia qua e là, ma soprattutto per quelle gigantesche mercantili che ogni tanto passano e che sembrano davvero delle astronavi galleggianti.
    Verso mezzogiorno arriva una coppia di rumeni che ieri era in barca con il gruppo di Bogdan e con il quale ci siamo avventurati fino a Caraorman. Ci salutiamo e scambiamo due parole. Devono prendere il battello delle 12 diretto a Sulina. Io, invece, devo aspettare quello delle 14, che va in direzione opposta, ovvero Tulcea. C’è un nutrito gruppetto di persone che vanno verso Sulina. Sono tutti turisti, non solo romeni, ma anche anche di altri paesi europei. Quando salgono a bordo e la motonave se ne va, restiamo sulle panchine del piccolo spiazzo di fronte all’attracco solo io e un anziano oriundo del paese. Fa per chiedermi qualcosa, vorrebbe forse scambiare due chiacchiere, ma gli faccio capire che purtroppo sono straniero e non capisco quasi nulla. Spesso il mio look mi fa apparire un perfetto est-europeo. E' sempre stato così.
    Per la corsa delle 14 da Sulina a Tulcea al molo si presentano altre persone. Ci sono anche la giovane coppia di tedeschi, che alloggiavano sempre al mio Camp e che erano anch’essi ieri sulla barca di Bogdan. Ci salutiamo con un informale e ormai internazionale “Ciao”.
    Salpiamo alle 14:15, direzione ovest. A ritroso ripercorro tutti i paesaggi e le tappe viste in questi giorni. L’attracco del camp Mihaela, la biforcazione del Canalul Caraorman, l’imbrocco del Dunarea Veche che porta su al Lacul Fortuna, l’attracco di Maliuc, dove sale una famigliola tedesca che alloggiava al Nea Paul domenica sera. L’Est Europa è così: ti vedi, ti perdi, ti rivedi. Quando passiamo davanti al B&B de La Nea, noto che sulla sua barca ormeggiata al piccolo molo c’è Julien indaffarato a mettere posto qualcosa. Mi sbraccio per salutarlo, non so se mi vede.
    Tiriamo dritto senza più soste, neppure quella di Partizani, che dovrebbe essere da tabella oraria, ma che invece snobbiamo superbamente. Subito dopo c’è la confluenza con il Saint George Branch, il ramo inferiore del Danubio che da qui porta verso il villaggio di Mahmudia, i laghi della parte inferiore del Delta e la foce di Sfantu Gheorghe. Idee per prossime avventure fluviali.
    Una volta tornato tutt’uno il Danubio è gigantesco e sembra più che un fiume un piccolo lago stretto e allungato in direzione est-ovest. Dopo un’ansa ecco apparire le prime navi ormeggiate sulla riva destra, la collinetta dove troneggia un piccolo obelisco con la scritta TULCEA a caratteri giganteschi e i primi palazzi della città di oltre 90 mila abitanti e capoluogo amministrativo di tutta la regione.
    Sbarchiamo al molo numero 2 alle ore 16:30, perfettamente in orario. Mi avvio verso il mio nuovo alloggio, prenotato anzitempo via booking.com, l’Hotel Insula, che ha la curiosa caratteristica di sorgere completamente su un minuto isolotto all’interno del Lacul Ciuperca, un piccolo lago costiero, separato dal corso del Danubio da uno stretto istmo di terra, sul quale corre la ferrovia e sorge la stazione ferroviaria e quella delle autocorriere. Al centro del lago c’è una gigantesca fontana che spruzza in alto con una traiettoria di parecchi metri un gioioso gioco di acque.
    Verso ora di cena mi avvio sul lungofiume alla ricerca di Ivan Pescar, un risto-bar a base di pesce, le cui recensioni di Trip Advisor sembrano ottime. Mi siedo a un tavolo sulla veranda esterna, direttamente con vista sul gigantesco Danubio, e ordino del “Borsc Pescaresc” (una zuppa di pesce con verdure e peperoncino piccante) e “Somn la gratar cu legume” (filetto di pesce-gatto grigliato con verdure lesse accompagnate). Il tutto innaffiato da una buona birra. Pago 61 lei, ovvero qualcosa come 12 euro. Mentre sto cenando sulla passeggiata del lungofiume passano madre e figlia belghe che erano le mie vicine di tende al Camp Mihaela e con le quali ho cenato ieri sera. Ci salutiamo come vecchi amici di una vita e ci auguriamo una buona serata. Come detto prima, in Est Europa non esistono addii per sempre, e per quanto grande e sconfinato possa essere questo sub-continente, prima o poi ti ritrovi, anche solo di passaggio, anche solo mentre stai bevendo una birra sul lungofiume di Tulcea fissando la notte che arriva.
    In un supermarket su Strada Isaccei, il viale principale della città, parallelo al lungofiume, compro un pacchetto di sigarette e una bottiglietta di vodka Sankt Petersburg (nell’Europa Orientale è facile trovare super- e mini-market che vendono anche tabacchi). Dopo aver assaporato un po’ di nicotina nei polmoni e un po’ di vodka russa nello stomaco mi faccio un ultimo giro di birra, tassativamente nera, al Cheers Pub, un locale forse un po’ troppo occidentale nello stile e nell’aspetto, ma forse il posto giusto per salutare la mia avventura sul Delta del Danubio. L’aria fresca, stasera più che mai, che arriva da oriente e dal continente russo, sembra quasi accompagnare i titoli di coda su questa mini-avventura in questo mondo strano e surreale in cui sono capitato.
    Cala il buio, il tutto viene avvolto dalle tenebre e l’altra sponda sparisce, se non per qualche luce che appare lontana. Sembra tutto compattarsi in un unico punto. Il Danubio ora è un mare che inizia qui a pochi metri da me e finisce chissà dove. Poco a nord di Tulcea c’è il confine con l’Ucraina, che una volta era Unione Sovietica. Non molto più in là c’è la Moldavia, mentre per la vecchia Russia bisogna camminare ancora un bel po’ con il pensiero, ma è tutto qua, tremendamente dietro l’angolo, come il freddo gelo dell’Est che prima o poi su queste lande tornerà a soffiare spietato. L’estate che finisce, il mio viaggio ormai prossimo a concludersi e la testa che si affolla di ricordi. Ricordi di altri viaggi, di altre esperienze, quelle del decennio scorso. La prima volta che arrivai a Mosca di notte e vidi la Piazza Rossa sotto una nevicata notturna. San Pietroburgo a gennaio a 16 gradi sotto zero (meno 30 di notte) e con il fiume Neva completamente ghiacciato. La città di Kiev durante la guerra civile, con un cadavere in mezzo alla strada, le barricate sulla piazza e i paramilitari che presidiavano qualsiasi cosa. Il lungo viaggio a bordo di un treno notturno da Sochi a Volgogrado (22 ore), dove conobbi Ruslan con il quale passai un’intera sera a parlare del più e del meno e la mattina dopo mi salutò con un arrivederci, e non un addio, perché “tanto prima o poi ci ricontreremo su qualche treno in Est Europa che va da qualche parte”.
    Penso a tutto questo e altro ancora, mentre fumo l’ultima sigaretta, stavolta sul lungo Danubio, osservando un mondo che adesso si è fatto davvero piccolo come un granellino di sabbia. Domani torno a Bucarest, ma so già che il Delta, con la sua natura incontaminata, le sue “strade” d’acqua, le persone che ho incontrato e conosciuto, le sue avventure e le scoperte di un mondo puro e genuino mi mancherà da morire.

    7 - La Romania è un mazzo di fiori. L’avete mai notato? Osservatela dall’alto su una comune mappa geografica. Il gambo, avvolto nella comune carta da regalo, è quello stretto pezzettino di terra che va dal Delta del Danubio fino al confine di Mangalia; il resto si apre – proprio come un mazzo – verso le pianure del Sud e le catene montuose dei Carpazi a Nord, nella Transilvania. Un mazzo di rose, pucciato nel Mar Nero a oriente e con i fiori e i petali che sbocciano verso occidente, in direzione di Oradea, Timisoara e Craiova.
    La prima volta che ci venni fu nel 2013, quando con Anthony e Nikki partimmo a bordo di una Citroen Picasso da Pavia con l’intento di raggiungere le coste del Mar Nero a Varna, in Bulgaria. Da lì, una volta conquistata la nostra utopia, risalimmo verso nord e una volta sconfinati nell’antica “Dacia”, la attraversammo – con un po’ di tappe – da sud-est a ovest, da Efoire Nord a Timisoara. Fu un'esperienza davvero unica e irripetibile, derubricata in giorni e soste che ho già raccontato a suo tempo in altre sedi; ma il viaggio in sé fu fondamentale per me, nonostante non fu il primo a "Oriente", ma perché cambiò in me certi radicati luoghi comuni che un po’ tutti noi abbiamo o abbiamo avuto sull’Est, ma soprattutto su questo piccolo mazzo di fiori chiamato "Romania".
    Stamattina al mio risveglio il cielo di Tulcea è improvvisamente grigio. E’ piovuto e tanto, ma io non ho sentito nulla. Mi sono svegliato tardi e mi sono accorto solo poco fa di questo classico cielo est-europeo sopra la mia testa. Ho giusto il tempo di raccattare le mie cose, preparare lo zaino, lasciare il mio hotel che sorge sull’isoletta del Lacul Ciuperca e avviarmi a mettere qualcosa sotto i denti prima di prendere il treno per Bucarest. Mi fermo al "Liman", il primo posto che trovo aperto, subito dietro l’autostazione, e mi accomodo sotto la sua veranda che domina la gigantesca ansa a "U" che il Danubio compie in questa città. Niente traghetti o battelli per avventure in solitaria lungo il Delta oggi, ma solo un pranzo veloce, l’ultimo a base di "borsc" di pescato, più un'insalata di pollo con lattuga, verdure, fette di arancia e chicchi di melograno.
    Mi avvio verso la stazione dei treni, un terminal con solo due marciapiedi, che riceve un'unica linea ferroviaria a binario unico non elettrificata che proviene dal Sud. Il treno, come quello di andata della scorsa settimana, è composto solo da due vagoni, una livrea moderna, ma con il motore ovviamente alimentato a diesel. Ha le porte che si aprono automaticamente, schiacciando un bottone verde; gli scompartimenti sono aperti e con tanti posti a sedere a gruppetti da quattro. Io mi accomodo, però, a metà carrozza, dove ci sono i sedili messi per il lungo, uno di fila all'altro. Il regionale (unica corsa giornaliera per la capitale, ma che si effettua solo nel periodo estivo!) è abbastanza pieno, parte alle 12:55 in punto e fino a Medgidia cammina pian piano, quasi stancamente. Lungo la linea non ci sono passaggi a livelli, ma solo incroci senza barriere, perciò dobbiamo pazientemente rallentare e il macchinista deve fischiare per avvertire del passaggio del convoglio.
    Una volta allontanatici da Badag, ultima cittadina del Delta, inizia una zona completamente brulla e desertica. Le colline della Transilvania meridionale sono lontane e distanti, appaiono all’orizzonte come cime che delimitano quella zona verso occidente, ma noi corriamo, lentamente, verso il meridione, a una velocità che difficilmente supera i 50 km/orari. Per percorrere i poco più di 100 chilometri verso Costanza ci mettiamo qualcosa come tre ore. Stazioncine di campagna, spesso in mezzo al nulla, presenziate però tutte da capostazioni, frequentemente donne, che ci attendono sull’unica banchina disponibile e che ci fanno cenno di avanzare solo dopo aver alzato la bandiera gialla. Ogni tanto stazioniamo qualche minuto in mezzo a avamposti di paesaggi marziani, senza alcun punto di riferimento all’orizzonte, se non un’ondulata pianura che sembra protrarsi all’infinito.
    A Baia Dobrogea, fermata un po' più lunga, qualcuno scende per fumarsi una sigaretta, una donna chiede alla capostazione se può riempire la bottiglia vuota con dell’acqua. La ferroviera prende il recipiente, si allontana e poco dopo torna con la bottiglia colma. Scene di una ferrovia di altri tempi.
    Arriviamo a Megdigia, me ne accorgo perché il nostro binario che si è arrampicato su colline, ha tagliato pianure ed è passato in mezzo a paesini sperduti nel nulla, finalmente accosta una linea a binario doppio ed elettrificata: è la veloce Bucarest-Costanza. Qui scendono tante persone, molti sono turisti, si vedono dai tanti trolley che si portano appresso, e c’è da scommettere che sono diretti a Costanza, vicina e famosa località balnerare.
    Stiamo fermi un bel po’, quasi quaranta minuti, per permettere al treno di fare regressione e di cambiare il personale di bordo. Si riparte sulla linea veloce per la capitale. Poche fermate e velocità sostenuta d'ora in poi. Tagliamo una piatta pianura fatta di campi di girasoli, granturco e frumento trebbiato da poco. Lo scenario è altrettanto desolante quanto affascinante. In certi punti siamo come immersi in un deserto dai colori verdi e gialli di cui non si vede la fine. Le pianure dell’Est sono così: potresti quasi scommettere che la Terra è piatta, che non esiste una curvatura planetaria, e che il mondo andrebbe avanti all’infinito in ogni direzione.
    Piccoli paesini, muniti di stazioncine spoglie e povere, lontani fra loro chilometri e chilometri di campagna. All’orizzonte profili e skylilne di altre cittadine, mete irraggiungibili dalla nostra rotta, ma solo con strade rettilinee che tagliano in grandi reticolati questo mondo bucolico. Code interminabili ai passaggi a livelli, ora presenti e automatizzati, in mezzo a latifondi di pannocchie di mais e sbiadite piante di girasole.
    Verso Fetesti riappare l’enorme palla solare fra le nuvole, ma l’asfalto bagnato e i campi pieni di fango fanno intuire che la pioggia è arrivata fin qui. Deserto giallo-verde e chilometri su chilometri, gente che scende e che sale, poi finalmente come la classica cattedrale in mezzo al nulla appare all’orizzonte la metropoli di Bucuresti. E’ davvero un pugno in un occhio, con i suoi giganteschi palazzi, tutti raggruppati uno sopra l’altro, che si staglia sullo scenario di una piatta pianura che fin lì sembrava eterna. Ci mettiamo un po’ a raggirare tutta quanta la capitale, perché con i suoi 12 km di diametro ci vuole tanto tempo come dall’ultima fermata prima di arrivare a Gara de Nord, la stazione centrale e terminale della corsa. Tredici binari, pensiline, treni in partenza per ogni dove della Romania e anche intercity notturni per l’Ungheria. Un formicaio di gente che parte e che arriva.
    Linea Metropolitana. Prendo la "gialla", quella circolare, che ruota attorno alla città facendo una tangente al centro, ma compiendo un percorso dalla forma ovale. Una sola fermata, poi il cambio, con quella “blu”, diretta a Plata Universitate, il crocevia più importante che immette gentilmente verso il cuore vecchio del centro storico. Il gigantesco spiazzone rotondo deve il nome all’ottocentesco ateneo, che si trova all’angolo nord-ovest. Sorgono qui anche la statua di Ion H. Radelescu (geografo-scrittore locale), il monumeto a Michele il Bravo (voivoda di Valacchia del ‘500), il Teatro Nazionale e le lapidi dedicate ai caduti degli scontri durante la guerra civile del 1989 contro il regime di Ceaucescu. Non mi fermo di certo a contemplarle e tiro dritto verso il mio hotel.
    Una volta deposti armi e bagagli mi avvio verso il centro pulsante di Bucarest, ovvero il quartiere “Lipscani”, che prende il nome dall’omonimo percorso pedonale e dall’intrico di stradine che da qui si dipanano e che offrono – soprattutto nelle sere d’estate – una straordinaria night-life che fa di Bucarest una capitale europea da visitare assolutamente. Una costellazione di ristoranti, pub, disco-pub, discoteche e quant’altro fino a notte fonda animano la movida della capitale e lasciano chi ci capita per caso la prima volta a bocca aperta. Variando la dieta del Delta a base di pesce, in un ristorante del centro ordino un menù a base di carne: "mici" (ovvero involtini di carne bovina/suina/ovina) con patate e senape, più un secondo piatto a base di carne di agnello alla griglia e il tutto innaffiato da un calice di vino rosso della casa. In totale pago 76 lei, ovvero 15 euro. Poi mi tuffo nella movida del cuore cittadino. Come detto, locali uno attacco all’altro che offrono divertimento puro fino a notte fonda per tutti i gusti. Le strade sono affollate, i locali sono pieni, tavoli e sedie invadono le stradine del quartiere più nottambulo della capitale. Nonostante sia solo un giovedì sera, è difficile prevedere a che ora la città andrà a dormire.

    8 - Ultime 24 ore in Romania. Ultime 24 ore in Est Europa. Mi accorgo a questo giro che la prima volta che venni in Romania forse vidi un po’ poco della capitale rumena; ma quello – come già spiegato precedentemente - fu un viaggio di scoperta, di esplorazione, un viaggio fatto più che altro per dimostrare che partendo da Pavia e imboccando una delle tante strade che portano verso l’Est, si poteva arrivare al Mar Nero. Ce la facemmo e questo bastò e avanzò. Tutto il resto fu in più. Come la sosta in un paesino di nome Pucioasa in Dambovita, per assaporare l’ottima cucina casereccia del locale “Rustic” – un ottimo pranzo a base di altrettanto ottimo “pui cu ciuperci” (pollo con funghi). Come le strade della Romania, che si arrampicavano verso i Carpazi Meridionali fra carrettini trainati dai cavalli e villaggi completamente abitati da zingari. Come la vigilia di Halloween, trascorsa in un pub di Sibiu, in Transilvania, nella notte più lunga dell’anno per quei borghi medievali nelle leggendarie terre del conte vampiro Dracula – un mito tra l’altro tutto occidentale, perché qui l’originale e realmente esistito Vlad Tepes, ovvero Vlad III di Valacchia, è ricordato come un vero eroe popolare per aver difeso la Romania dai terribili ottomani.
    Mi sveglio di buon’ora per approfittare del check out tardivo del Hotel Carpati, dove ho passato la notte: un due stelle vecchio stile, di architettivismo tipicamente del periodo socialista reale, che sorge a due passi da Plata Universitate.
    Attraversando la lunghissima e dritta Bulevardul Regina Elisabatta (la direttrice ovest-est che taglia orizzontalmente il cuore di Bucarest) si arriva nel centro pulsante della capitale. Il quartiere Lipscani, come già detto, di sera è un vero e proprio quartiere che offre una night-life difficile da cogliere sul serio se non la si guarda con i propri occhi. Alla fine di questa caratteristica via, che di oggi offre invece locali per la colazione, botteghe di souvenir e negozi di vario genere, sorge la piccola Plata Roma (da non confondere con “Plata Romana”, che è da tutt’altra parte), dove si erige una statua che raffigura la Lupa Romana che allatta i neonati Romolo e Remo. Sono tante le città dell’ex “Dacia” che omaggiano ancora oggi il loro profondo legame storico con l’impero Romano. La stessa lingua rumena ne è un chiaro esempio. Avendolo studiacchiato un po’ e sapendo ancora dire un paio di parole, soprattutto per ordinare questo e quell'altro a un bancone di un bar o di un ristorante, ho notato subito che fra le lingue romanze è quella che è rimasta più vicina al "latinorum". Come la lingua madre possiede tre generi (oltre al maschile e al femminile anche il Neutro), accoglie declinazioni e si struttura con l’articolo determinativo in forma enclitica (cioè posto alla fine del nome: “partitul”, “steaua”, “painea”). Ha sicuramente subito nel corso dei secoli influenze linguistiche slave e turche, ma a oggi è la primogenita dell’antica lingua latina che si parlava al tempo dei Romani.
    Risalendo Bulevardul Bratianu, che delimita il confine est del centro storico, si arriva alla graziosa basilica di Sfintu Gheorghe Nou. La piccola chiesetta ortodossa del ‘700 è ricca di arte, pitture murali, bassorilievi e tombe di celebri voivodi. Leggermente decentrata verso ovest rispetto a Plata Universitatii, invece, prende il via la lunghissima Calei Victoriei, strada ricca di monumenti e di palazzi. In pochi minuti si arriva a Plata Revolutiei, che come suggerisce il nome indica il luogo dei maggiori scontri che avvennero nel 1989 contro il regime comunista di Ceaucescu. Qui, infatti, sorgeva la sede del Partito Comunista Centrale (è l’enorme palazzo a forma di U sulla destra, oggi sede del Ministero degli Interni) e accanto la palazzina della Securitate (il Comitato di Sicurezza Nazionale, il KGB romeno). Oltre a monumenti che ricordano i caduti di quella guerra civile, in Plata Revolutiei si possono ammirare il Museo Nazionale di Arte Romena, il Palazzo Reale, il Palazzo della Galleria d’Arte e la Basilica di Kretzulescu.
    Torno indietro attraverso il lungo e largo Bulevardul Nicolae Balcescu che – oltre a essere la direttrice nord-sud – fiancheggia alberghi di lusso, ristoranti importanti e l’edificio del Teatro Nazionale. Qui in uno degli appartamenti in alto di questi altri palazzi alloggiai quelle notti di novembre del 2013. A circa metà viale si trova la Beserica Italiana. Incastrata fra alti parallelepipedi di cemento, è uno dei pochi esempi di chiese cattoliche (in stile neorinascimenale lombardo) presenti nella capitale.
    Dopo una lauta colazione in un fast-food nei pressi di Plata Universitatii (che riconosco dal precedente viaggio di otto anni fa), mi dirigo all’albergo, raccatto le mie cose, lascio la struttura e zaino in spalla inizio a incamminarmi verso nord (dove sorge l'aeroporto di Otopeni). Visto che ho qualche ora libera, con la metropolitana mi sposto a Aviatorilor, fermata piuttosto a nord, che però offre due cose molto interessanti da vedere: il Parco Herastrau (che con il suo “lacul” è una grande oasi verde) e l’Arco di Trionfo - eretto negli anni Venti del secolo scorso per celebrare la vittoria della Romania nella Prima Guerra Mondiale, quando unificando tutti i suoi territori conquistò il soprannome di “Grande Romania”. Alcuni territori, poi, furono perduti nella Seconda Guerra a favore dell’URSS: la Moldavia, oggi nazione indipendente, e la Bessarabia, oggi sotto l’Ucraina. Soprattutto la Bessarabia è rivendicata da alcuni anni dai movimenti nazionalisti rumeni.
    Ci sarebbero altre cose da vedere a Bucarest (come il Museo dei Sensi, la Plata Romana e la Cattedrale di Sfantul Iosif, solo per fare alcuni esempi...). Ma per questo giro finisce qua. Così, almeno, avrò una scusa per tornarci in futuro.
    Passo il pomeriggio sul lungo lago Herastrau a godermi un po’ di pace, alcune ore fra letture di un libro e sorsi di birra Ursus, in vendita – insieme ad altre bevande – nei tanti chioschi disseminati qua e là. Ottimo modo per terminare un viaggio lungo, intenso e ricco di emozioni narrate, che come sempre solo il mio "Est" è riuscito a regalarmi.
    Alla prossima.
    Te iubesc Europa din Est!
      Share  
     
    .