MIRKO CONFALONIERA


Replying to ROAD TO NORTH EUROPE 1

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  1. Posted 13/11/2016, 17:40
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    I - Si riparte. Questa volta si va a Nord. Nelle terre del freddo, delle aurore boreali, dei cieli stellati, delle città innevate. Attraversando il cielo, navigando il Mare del Nord, percorrendo strade e ponti.
    La suggestione del Nord mi è venuta quasi per caso, così. Visto che l'Est Europa l'ho girato tutto, la mia voglia di posti un po' estremi mi ha spinto a voltare lo sguardo a settentrione. Nonostante la mia incursione a Helsinki quattro anni fa non abbia lasciato particolari ricordi belli della Scandinavia, ho la sensazione, non so perché, che Oslo sia tutt'altra cosa; per cui propongo al mio amico biellese Juri un trip scandinavo; lui accetta, ma solo parzialmente: mi raggiungerà per impegni lavorativi solo a Copenaghen, per cui la Norvegia resta penzolante lì nella mia testa: si parte da soli o non si parte. Non ci penso troppo a lungo, la risposta la so già. Si parte, punto e basta.

    II - Non ci sono voli diretti dall’Italia alla Norvegia. Almeno da Milano. Il mio volo, che parte alle 9 di mattina da Malpens, fa scalo ad Amburgo in Germania. E' un aeroplanino della Germanwings, un modello molto piccolo e stretto, ha due sole file di sedili, formate a sua volta da soli due posti a sedere. Mi ricorda molto l'aereo baltico che presi da Riga a Tallin parecchi anni fa. Si vola bene, comunque, e rapidamente il piccolo apparecchio della low-cost Lufthansa ci porta sopra il fitto manto di nuvole, che da qualche giorno stringe il cappio ai cieli dell'Europa del Sud.
    Pioveva stamattina, quando sono partito. Davanti al bar della stazione di Lungavilla alle 5:20 è passato il pullman sostitutivo della Voghera-Pavia. Ad attenderlo c'eravamo solo io, riparato sotto la tettoria dell'osteria, (chiusa) e una donna, che stava invece dall'altra parte del marciapiede sotto un ombrello.
    Dormo quasi tutto il viaggio Milano-Amburgo. E sogno cose belle, ma anche alcune tristi. Il mio cane Jago III, per esempio, morto nel 2008 in una giornata estiva, quando io non ero manco a casa, perché ero via, in uno dei miei tanti viaggi. Quando tornai, vidi solo la tomba sotto il frutteto di kiwi dietro casa, dove mio padre e mio zio Teto l'avevano sepolto. Invece, nel sogno era ancora lì con me, che correva felice.
    Dopo lo scalo ad Amburgo, sono di nuovo in volo, verso Oslo. Il sole sopra le nuvole è una palla di luce accecante in mezzo al cielo. Socchiudo gli occhi e cerco di dormire ancora, sperando di sognare le cose belle di una volta, che se ne sono andate via, mentre il grande Nord si avvicina sempre di più....

    III - Penso alla gente conosciuta che si lamenta del freddo che c’è, per esempio dalle mie parti in Val Padana... e mi viene da sorridere. Così, istintivamente… Alle latitudini dove atterro alle 14:00 di sabato, il concetto di “Freddo” non ha nulla a che vedere con i nostri inverni, e neanche coi più rigidi che abbiamo sopportato negli ulitmi anni. E oggi è appena il 5 novembre e mi trovo nella Norvegia del Sud, nella capitale di un antichissimo regno, famoso per i suoi fiordi, il suo passato vichingo e il non essere mai voluta entrare (grazie a ben due referendum!) in Unione Europea. Col freddo ho subito capito che qui non si scherza per niente. Un manto di neve bianca ricopre tutto il paesaggio circostante, mentre soffia una brezza che penetra felpa e sciarpa, nevischia da quando ho varcato l'uscita dell'aeroporto Gardermoen e la temperatura lentamente sta virando verso lo zero e sotto.
    Raggiungo il centro con i mezzi urbani, un confortevole autobus-navetta che percorre in 40 minuti circa i 57 chilometri che separano lo scalo internazionale dal centro della capitale. Scendo appena dietro la stazione centrale dei treni. Devo fare almeno 4 fermate di metropolitana per avvicinarmi il più possibile al mio alloggio (locato un po’ in periferia). Poi, l’ultima prova: la camminata dalla fermata di Majorstuen lungo Kirkeveien, meno di un chilometro, nella morsa del gelo. Veramente tosta, nonostante nel mio passato ne ho viste decisamente di peggio: San Pietroburgo di gennaio (30 gradi sotto zero di notte…) o Mosca a fine inverno ricoperta di neve.
    Il palazzone giallo che fa angolo con la Blindernveien sembra quasi un miraggio fra palazzi di ghiaccio, strade di ghiaccio e parchetti sicuramente rigogliosi e verdi nei mesi estivi, ma a oggi ridotti solo a cumuli di neve bianca. Civico 112, Scala C, campanello designato. Trovo subito Hans, che vive al terzo piano di questo colosso di cemento e che mi ha affittato per due notti una stanza nel suo appartamento, dove vive insieme alla sua compagna. Persona molto socievole e gentile, un ragazzotto dai tipici delineamenti somatici scandinavi, e molto alla mano: mi sorride stupito, notando che ho attraversato la città vestito solo di una felpa, la fedele sciarpa degli “Alcooligans” , i miei inseparabili jeans neri con i tasconi laterali e un paio di anfibi ai piedi.
    «Don't you have a jacket?» mi domanda con un'espressione che dovreste vedere.
    «This is my jacket! » rispondo convinto e alludendo alla mia felpa con cappuccio.
    Scoppia a ridere di gusto. Mi dice che le temperature stanotte e domani scenderanno in picchiata. A nulla serve assicurargli che “I love the Cold!” e raccontargli di quella vacanza a San Pietroburgo a 30 gradi sotto zero del 2012: vorrà prestarmi a tutti i costi per uscire un cappotto pesante appeso all'appendiabiti. La neve copiosa che cade giù e le forti raffiche di vento potrebbero farmi cambiare idea e accettare.

    IV - Fa freddo, nevica di brutto e sono stanchissimo. Ma sono a Oslo, in Norvergia, e non posso permettermi di oziare nella mia camera di Kirkeveien. Per cui, gambe in spalla e anfibi sulla neve: si marcia verso il centro città!
    Torno lentamente verso la Sentralstasjon che è già buio pesto (a queste latitudini d'autunno il sole tramonta velocemente); di fronte alla stazione centrale dei treni, dalla dirimpettaia piazza Jerbagetorget, parte il lungo corso Karl Johans. In parte pedonalizzato, in parte aperto al traffico, il Karl Johans Gate è l'arteria pulsante del centro storico di Oslo, che attraversa gli edifici più salienti (il Parlamento, il Teatro Nazionale, la Cattedrale evangelista, il Grand Hotel Oslo, ecc.) e conduce fino allo Slottensparken, polmone verde (in questa stagione è un polmone “bianco”, per via della neve che lo ricopre) alla cui sommità spicca il meraviglioso Palazzo Reale.
    Nonostante faccia un gran freddo e nonostante la neve non conceda tregua, la movida del sabato pomeriggio non sembra aver paura di sfidare il gelo: Karl Johans è pieno di persone che la percorrono avanti e indietro. Molti si rifugiano in caffetterie o in locali pomeridiani, ma la gran parte dei norvegesi sfidano e affrontano il grande freddo come se fosse una cosa normale e a cui sono abituati.
    Pochi fumatori in giro. E' una cosa che mi colpisce subito. Sono l'unico che nello Slottenparken cammina degustando una sigaretta, la prima di oggi. Ma non sembro dar fastidio. E quasi magicamente, fra le mille luci di una città nordica incantata, il freddo non lo sento quasi più. Cammino per ore sotto la neve che cade e gli scorci di una città che mi sta piacendo al di là di ogni previsione.

    V - Trafalgar pub di Oslo, in Uranienborgveien, tra il quartiere Majorstuen e il centro storico. Strade deserte, freddo pungente, ore 23 passate di domenica sera, e un termometro appeso da qualche parte che segna 10 gradi sottozero. Pinta di birra e shottino di vodka, pagati un assassina mento (più di 10 euro), ma più che dal freddo - che non mi disturba affatto – concedo una resa alle mie gambe, che da stamattina mi stanno portando a zonzo per la capitale. Le quali, tuttavia, sono riuscite a fregarmi, dopo vari tentativi, regalandomi un bello scivolone sulla neve ghiacciata, lungo Ullevalsveien nei pressi del parco di St.Haushaugen, dove per pochi istanti Oslo si è capovolta e in un attimo mi sono trovato a pancia in su e col bellissimo cielo (oggi pomeriggio azzurro e sereno) norvegese dritto davanti agli occhi…
    Giornata interamente dedicata all'esplorazione della città. Visti i prezzi dei biglietti della T-Bane (la metropolitana cittadina: 3,50 euro) decido di girare a piedi, nonostante l'ultima tranche di neve copiosa che da ieri si sta abbattendo sulla metropoli. Scendo la Kirkeveien fino al grande parco Vigeland (dedicato all'omonimo scultore norvegese), ricco di sculture, opere d'arte e ricoperto da un infinito manto di neve che concede un'impressione malinconica e tremendamente romantica. Proseguo verso la zona del porto, preferendo ai grossi vialoni (allé o veien) automobilistici, strette e simpatiche viuzze, che passano in mezzo a piccole casette di legno.
    In un bar della Munkedamsveien ordino un Kaffe Americano (4,00 euro…). Musica agrodolce in filodiffusione, mentre io seduto a un tavolino sorseggio il mio caffè bollente come il miraggio di un'estate. Ammiro incantato i fiocchi di neve incessanti che cadono oltre la grande vetrata e, ancor di più, la bella e giovane barista dietro il bancone, che mi ha servito il tazzone di “kaffe” con un ancora più bel sorriso... Che brutto vizio quello di innamorarmi di ogni donna che incontro e che mi sorride... Realizzando improponibile un'ipotetica storia d'amore a 2 mila chilometri di distanza da casa, decido a malincuore di continuare la scarpinata, riaffrontando il freddo e la vita; ma non la neve, che smette come per magia di venire giù.
    Sbuco agilmente a Tjuvholmen, un'isoletta collegata con dei ponti alla terra ferma, dominata da modernissimi palazzi. Alla punta c'è un'ottima vista sul fiordo e sulla litoranea, oltre il porto, della fortezza Akershus. Ripiego indietro sull'Aker Brygge, un quartiere sorto sulla ristrutturazione dei vecchi docks portuali: oggi offre uffici, pub, ristoranti, negozi e un molo da dove partono i battelli per le dirimpettaie isole Hovedoya, Lindoya e Bleikoya. Appena accanto c'è il prestigioso Nobels Fredssenter, centro dedicato all'annuale Premio Nobel per la Pace. Questa zona si affaccia sul porticciolo “turistico”: le navi da crociera e di linea partono oltre il Vippetangen. Il panorama, comunque, in questo punto di Oslo è monopolizzato dall'imponente colosso del Radhuset, l'enorme e gigantesco palazzo Municipale, uno dei più alti dell'intera capitale, e che – anche se nessuno lo scrive o lo dice – ricorda vagamente un architettismo in stile socialismo reale.
    Radhusgata è una vietta carina, che conduce verso il porto “commerciale”, attraverso scorci (come la piazzetta Bankplassen) degni di nota e di foto ricordo.
    Il golfo di Bjorvika, oltre che dalle maestose navi ormeggiate ai moli, è caratteristico per il grande complesso dell'Operhauset, il Teatro dell'Opera: maestoso edificio con grandissime vetrate e completamente rivestito da marmo di Carrara, si affaccia sull'acqua del fiordo e si raggiunge tramite un ponticello. Una rampa larga (ricoperta ovviamente di neve e di ghiaccio scivolosi come l’olio) conduce su una ampia terrazza da cui si domina il panorama su città e mare.

    VI - La vita è molto cara a Oslo, il livello dei prezzi sfiora il doppio di quelli italiani: per un pranzo/cena al ristorante si parte da 30/40 euro in su; una bottiglietta di acqua minerale costa 3,50 euro; una birra media alla spina in un pub costa 9 euro; uno shottino di vodka si vende a 8 euro… I piccoli market aperti fino a mezzanotte, tuttavia, offrono piatti caldi (pasta, spaghetti) a prezzi più ragionevoli, oltre a prodotti di supermercato a costi accessibili (attenzione agli alcolici, la cui vendita viene sospesa dopo le otto di sera!). Difficile trovare sportelli bancomat all'aperto, la maggior parte sono tutti all'interno di mini-market aperti fino alle undici di sera. Pollice su per il servizio wi-fi gratuito che copre gran parte della città. Altro pollice su per i pagamenti delle consumazioni, che avvengono tutti con carta di credito o bancomat: stanotte al Trafalgar pub per pagare la somma di 80 corone (9 euro), il barista mi ha porto il POS, dandomi l'impressione che la quasi totalità di transazioni (anche di basso costo) avvenga così e non con mezzo contante. Una manna, per uno come me che gira quasi sempre con il portafoglio vuoto e che col bancomat pagherebbe anche il caffè al bar. Comunque, è molto facile da notare la dematerializzazione del denaro contante a Oslo: i norvegesi perfino per pagare i biglietti della metropolitana, quelli ferroviari, quelli dei mezzi pubblici e i ticket dei parcometri non usano moneta, ma scaricano le "App" sul cellulare e pagano via internet. Avanti di oltre 100 anni rispetto a noi!
    Bella sorpresa Oslo, comunque. Decisamente molto più bella della anonima cugina scandinava Helsinki, che avevo visitato anni fa. Clima rigido, ma non insopportabile, freddo secco ma senza traccia di umidità. Città cosmopolita ma molto patriottica, europea ma non europeista, vivace che nello stesso tempo lascia vivere. Si gira bene in un paio di giorni e per un irredentista del freddo e dell'inverno come me, viverla in questa stagione e a queste temperature sottozero è stato magico e poetico, quasi come una piccola San Pietroburgo che si affaccia sull'Oslofjorden, mentre il sole (che illumina il cielo per poche ore al giorno) a mezzodì resta irrealmente basso nella volta celeste.

    VII - Un tazza di thé caldo, una sigaretta appena fumata, mentre nella hall della Sentralstasjon ascolto musica di pianoforte e una voce femminile che intona parole di una canzone blues. Oltre le grandi vetrate ci sono la fine della città, il mare calmo e piatto, il sole basso nel cielo, le isole del fiordo e una nave della DFDS in partenza per Copenaghen. Navigherà tutta sera e tutta notte sul Mare del Nord, cullato dalle onde, dalle stelle, dai ricordi di cose andate e mai più tornate, dal volto di qualche donna lontana, ma ugualmente vicina, nonché dallo smarrirsi viaggiando in questo grande mondo chiamato Terra...
    Questi miei pensieri affollano la testa, mentre dal tavolino di un bar della stazione centrale osservo la gigantesca nave da crociera che mi porterà verso la Danimarca: navigazione notturna e arrivo a Copenaghen previsto per domattina. Uno spostamento fortemente voluto così, scartando subito l'ipotesi di un transfer aereo, proprio perché volevo passare una notte sul mitico Mare del Nord.
    Bevo con calma e mi avvio lentamente verso il porto, non prima di passare dal mini-market della "7-Eleven" vicino alla cattedrale per mangiare qualcosa: come già scritto i mini-market servono piatti caldi a basso costo, per cui ordino ottimi ravioli al sugo serviti in un cartone cilindrico (tipo quelle delle patatine) e me li mangio al tavolino che c'è nell'angolo del take away. Ho ancora un paio d'ore prima dell'imbarco, per cui ne approfitto per visitare la Fortezza Akershus, che avevo appena intravisto dall'esterno. Molti siti turistici la definiscono la maggiore attrattiva architettonica di Oslo, il che in parte è vero, soprattutto per via dei suoi millesettecenteschi palazzi all'interno delle sue mura. Notevole il panorama che si ammira dalla cima più alta del castello, che si affaccia sul porto turistico e dalla quale si domina tutta Oslo vecchia, la città nuova attorno e le isole settentrionali del fiordo.

    VIII - Non ero mai stato a bordo di una nave di lusso come questa. Ho fatto diverse attraversate marittime, le più memorabili sono state la Tallin-Helsinki sul mar Baltico e la Valona-Bari sul mare Adriatico. Tuttavia, in entrambi i casi si trattavano di traghetti per attraversamenti veloci di poche ore. L'itinerario Oslo-Copenaghen, invece, sarà molto più lungo: oltre 500 miglia marine attraverso l'Oslofjorden (uno dei più grandi fiordi norvegesi), la parte orientale del Mare del Nord e lo stretto di Oresund, che divide Danimarca e Svezia.
    La partenza viene ritardata di un'ora abbondante, ma non è affatto un male. Mentre calano le tenebre, lo scenario si fa meravigliosamente poetico. Il sole tramonta, compaiono le prime stelle in cielo e si accendono le mille luci di Oslo. Io me ne sto sul ponte più alto, rannicchiato su una panchina davanti a un tavolino, sorseggiando Jagermeister (comprato al supermarket a bordo nave) e fumando sigarette scandinave. Il freddo è davvero pesante adesso, ma ne vale la pena resistere ancora prima di rifugiarsi nella cabina per crollare a letto: come la nave abbandona la città e inizia la navigazione, si attraversa la vera Norvegia: quella dei fiordi, delle strette insenature fra coste ripide e scoscese. E lentamente mi perdo in questo magnifico scenario fatto di montagne buie, qualche cittadina sparsa qua e là, e un cielo stellato che, adesso, sembra davvero un dipinto di Van Gogh.

    IX - Copenaghen. Neve, buio e temperature sottozero, che solo un paio di birre in un baraccio di Christianshavn possono porvi rimedio. Una "piccola Amsterdam" immersa fra canali e scorci danesi che ricordano molto l'originale dei Paesi Bassi, soprattutto, per la liberalizzazione delle droghe leggere, che circolano tranquillamente fra le vie di questo quartiere, dal 1971 autoproclamatosi una “Comune” anarchica e autogestita, ovvero “Città Libera di Christania” (Fristaden Christiania). Delle vecchie rivoluzionarie “Comuni” che incendiarono gli animi intellettuali di quasi un secolo e mezzo fa, tuttavia, c'è rimasto ben poco. Ma camminare fra i palazzi occupati, i negozi d'artigianato locale e i chioschi di questo quartiere di Copenaghen non è semplicemente vagare fra spacciatori di marijuana (ubicati nella centralissima “Pusher Street”: un nome, un programma!), è, invece, penetrare dentro un esperimento socio-politico unico al mondo. Christiania è una città-stato libera imperniata su una micro-economia basata sulla proprietà collettiva, su servizi autogestiti, su politiche ultra-ecologiche e famosa, sì, per lo spaccio di droghe leggere, ma altrettanto proibizionista verso quelle pesanti.
    Comunque, io e Juri (il mio amico biellese con il quale c'eravamo dati appuntamento a Copenaghen), siamo seduti su due casse d'acqua, messe di traverso a mo’ di panca, perché di posti a sedere nel piccolo baraccio a metà di Pusher Street non ce n'è. Gruppi di ragazzi, uomini e donne di ogni età sono seduti attorno ai tavoli a chiacchierare e a fumare tranquillamente spinelli grossi come sigari cubani. Musica rockeggiante in filodiffusione e qualche anima collassata sugli sgabelli sparsi qua e là. Ci alziamo e ci avviamo al bancone. Ordiniamo le prime due birre: “Christiania Pilsner”, produzione propria, 20 corone l'una, quasi tre euro, ma se si considera che un biglietto della metropolitana costa sulle 30 corone (4 euro), è un prezzo veramente popolare. Ambiente rilassato, sereno e amichevole. Ma fuori, dalle finestre della baracca di legno, scorgo che non accenna a smettere di nevicare.
    Pensare che oggi c'era il sole al mio arrivo, pardon, al mio sbarco al porto di Osterport. Un sole freddo, tagliente, che illuminava la città, anzi, l'isola delle isole. Palazzoni giganteschi e colossi d'acciaio e di cemento armato: paesaggio molto diverso dalla Novergia, ormai abbandonata a 500 miglia più a nord.
    Dopo aver raggiunto il quartiere periferico di Bella Center dall'altra parte della città, beccato Juri, raccontatogli di Oslo e di annessi e connessi, decidiamo di recarci verso il centro. L'amico è arrivato ieri sera dall'Italia, per cui, anche lui non ha ancora visto nulla della città natale di grandi cineasti contemporanei, anti-conformisti e molto controversi come Lars Von Trier (Le Onde del Destino, Dancer in the Dark, Dogville) e Nicolas Winding Refn (Pusher, The Neon Demon).
    Scendiamo a Christianshavn, il distretto urbano che racchiude proprio la “Città Libera di Christiania”. Attraversiamo lo Inderhavnen e ci dirigiamo verso il centro. Slotsholmen, circoscritta da un canale che la separa dal resto del tessuto urbano, raccoglie il cuore pulsante e politico di Copenaghen, con il maestoso complesso di Christiansborg Slot, ovvero il Parlamento dello Stato. Risalendo la Radusshtraede, entriamo nello Stroget, una vasta zona pedonale, piena di negozi e luoghi da non perdere come la Cattedrale Von Frue Kirke, il Quartiere Latino e l'alta Rundetarn (Torre Rotonda).
    Dopo un caffè bollente servito come sempre in tazzone gigantesco colmo fino all'orlo e una tazza di thé rosso come il sangue, proseguiamo alla volta di Vesterbro. Radhuspladsen (Piazza del Municipio) è lo spartiacque fra due mondi: finisce quello delle viette strette e affollate di Straedet, e iniziano i lunghi vialoni esterni al centro. Tivoli è uno dei parchi divertimenti più antichi e famosi del mondo, che però è chiuso in questi giorni. Da rivedere. Risaliamo allora lungo Vesterbrogade nell'ex quartiere a luci rosse, oggi smantellato e sede solo di negozi di tendenza, ristoranti, bar, locali di musica live, boutique vintage e negozietti di prodotti etnici.
    Intanto il tempo passa, cala la notte su Copenaghen e pure la neve. La città danese che ho trovato al mio arrivo, sinceramente, un po' asettica e senza quell'anima “nordica” tipica invece di Oslo, ricoperta dal manto bianco acquista decisamente più atmosfera. Lungi dall'essere scandinava, "Kop" è più mittle-europea, una capitale che si gira a piedi facilmente, che offre una eterogeneità di zone e di quartieri tipici (da Christianshavn a Vesterbro, da Stroget a Norreport), molto cosmopolita e trendy. Gli amanti dell'ecologia ne andranno pazzi per le ben attrezzate piste ciclabili e per le immense zone a traffico veicolare limitato.

    X - Martedì mattina. Io e Juri, dopo una parca colazione nell'appartamento di Bella Center, ci avviamo di nuovo verso il centro cittadino. Giornata dedicata alla visita delle aree verdi di Copenaghen, che come spesso accade in queste parti d'Europa, sono gigantesche e molto ben curate: alberi, siepi, laghetti, sentieri e relax allo stato puro. Il primo da visitare assolutamente è il Parco di Rosenborg. Sorge a ridosso del centro storico e si raggiunge con la metropolitana, fermata Norreport. La piccola fortezza al suo interno è un castello rinascimentale, antica sede dell'ex dinastia reale, oggi convertita a musei pubblici. Dall'altra parte dell'Ostervolgade c'è il giardino botanico; più avanti, dietro il Museo Nazionale di Belle Arti, inizia invece il Parco di Osterport: una bella camminata fra sentieri e laghetti rilassanti, che conducono all’omonima stazione ferroviaria. Subito dopo inizia la grande area del Kastellett. E' una cittadella militare, attorniata da un fossato a forma di stella (e già questo basta per renderla suggestiva) e da alberi di salice, con file ordinate di edifici dai caratteristici tetti rossi. Si raggiunge attraverso due ponti elevatoi, posti uno a sud e l'altro a nord. All'interno della fortezza si possono visitare anche altri edicifi (chiese, palazzi, un mulino a vento, ecc.) e dalla cima dei bastioni si ammira un panorama veramente unico.
    Attraversato il Kastellett e tornati sulla terraferma, percorrendo il Langeline, dopo pochissimi minuti si arriva alla famosa Statua della Sirenetta. Scultura bronzea situata su uno scoglio davanti al porto, la “Sirenetta” (che raffigura quella della celebre fiaba dello scrittore danese Hans Christian Andersen), è additata da molti come il simbolo e l'emblema di Copenaghen.
    Continuando lungo la Langeline si ritorna verso il centro cittadino, passando per piazza Amalienborg, uno dei posti più suggestivi della capitale: sede principale della famiglia reale danese, il complesso è costituito da quattro palazzi in stile rococò che racchiudono una piazza ottagonale al cui centro si erge il monumento equestre di re Federico V. Dal centro piazza in direzione occidentale si può ammirare l'imponente facciata della Chiesa di Frederiks, millesettecentesca meravigliosa opera d'arte (sia dentro che fuori), con la cupola più grande di tutta la Scandinavia e ispirata palesemente a quella di San Pietro di Roma. Quasi accanto c'è la russa-ortodossa Chiesa di Alexandr Nevskij.
    Proseguendo giù per Bredgade, ma prima di arrivare a Kongens Nytorv, piazza che segna l'ingresso del centro storico, non c’è da perdere assolutamente il suggestivo paesaggio di Nyhavn, l'antico porto cittadino, oggi punto turistico molto preso di mira per i suoi caratteristici palazzi che si affacciano sul canale (gli scorci ricordano vagamente Amsterdam), i caffè e i locali della zona e le imbarcazioni che effettuano giri turistici.

    XI - Da Copenaghen per raggiungere la dirimpettaia Svezia basta attraversare il modernissimo ponte sullo stretto di Oresund. Dalla stazione ferroviaria “Copenaghen Aeroporto” a “Malmo Centrale” ci vogliono appena 13 minuti. Il treno corre velocissimo sulla bassa insenatura del Mare del Nord e le coste svedesi appaiono ai miei occhi già pochi istanti dopo. Malmo, città svedese di 300 mila abitanti, la terza per dimensione dell'intera Svezia, è famosa agli integerrimi sportivi per il Malmö Fotbollförening, la squadra di calcio più forte dell'intero Paese (è la più scudettata insieme al Goteborg IFK).
    La Central Stationen di Malmo è in una zona molto centrale, incuneata fra i canali e le viette che conducono al quartiere del porto (a nord) e il centro storico (a sud). Il Rorsjokanalen separa l' “isola” del cuore vecchio cittadino (Gamlastaden), circoscrivendolo sui quattro lati. Stortorget è la principale piazza, dove si affaccia il Municipio, la cui facciata è, però, in ristrutturazione. Appena dietro, c'è l'imponente Chiesa luterana di St. Petri, il cui campanile sfreccia altissimo sopra ogni palazzo storico. Ma ancora più bella è Lilla Torg, una “piccola piazza” (come dice il nome) circondata da edifici caratteristici e locali di ogni genere.
    Seguendo strette stradine scendo fino al Kungs-parken, un vero e proprio polmone verde nel cuore della città: prati, alberi, passanti, gli ultimi residui di una nevicata e laghetti completamente ghiacciati. All'estremità superiore del parco, circondato da un fossato d'acqua, sorge la millecinquecentesca Fortezza, oggi sede del Museo Cittadino. Attraversando il Turbinkanalen si arriva al Ribersborgsstigen, una vasta area verde che scivola lentamente nel mare. Sullo sfondo, lontano ed irraggiungibile, il maestoso ponte che collega le due nazioni, mentre dall'altra parte, verso il quartiere Vastra Hamnen, troneggia la Turning Torso, un gigantesco grattacielo residenziale a forma di spirale alto più di 50 piani. Uno dei tanti pontili sul mare dal fondo basso ha all'estremità un'elegante caffetteria. Ordino un thè caldo e me lo bevo fuori all'aperto, cullato dalla leggera brezza marina, ammirando tutta Malmo sullo sfondo.

    XII - La parte meno bella del raccontare un viaggio è sempre il ritorno. Copenaghen-Bergamo è un volo diretto, senza scali, che parte alle 20:30 dalla Danimarca. A Orio al Serio, due ore più tardi, appena fuori dal terminal, avverto subito il notevole sbalzo climatico e la prima cosa che faccio è slacciarmi la felpa e togliermi la sciarpa. Non c'è più il freddo vero e reale che mi ha accompagnato per le strade di Oslo, sull'attraversata notturna del Mare del Nord o assieme alla neve che cadeva copiosa su Norvegia e Danimarca. C'è un'aria diversa, più mite, più umida e irrimediabilmente più malinconica.
    I viaggi iniziano e finiscono, nulla da contraddire. Sarebbe innaturale se non fosse così: non sarebbe un viaggio, sarebbe qualcosa di molto più affascinante e suggestivo un eterno peregrinare fra città, mondi e galassie. Il ritorno è brutto non tanto perché mette la parola “fine” a una vacanza, ma perché fa ripiombare inevitabilmente in un mondo meccanico e di routine.
    La sveglia alla mattina. La colonna in statale verso la città. Timbrare il cartellino. Il lavoro. Pausa sigaretta. Ancora lavoro. Pausa pranzo. Ancora lavoro. Pausa per guardare il cielo che colore ha. Ancora lavoro. Stimbrare il cartello. A casa.
    Seduto sul mio letto o affacciato alla finestra della mia stanza. A confutare i tramonti dietro l'argine del torrente Luria.
    I giorni che passano, le notti sempre più lunghe, il passare di giornate meccanicamente tutte uguali. Pensieri, parole, qualcosa di scritto, qualcosa tenuto per me…
    E le foto di quelli passati per non dimenticare mai, da dove vengo, dove sono stato, cosa ho visto, cosa ho imparato, cosa ho portato a casa.
    Perché alla fine il senso del viaggio, percorrendo strade, attraversando cieli, mari e città, credo proprio sia questo: anche se inevitabilmente finiscono, l'importante è portare a casa qualcosa di essi.
    Solo così freghiamo la fine e la malinconia del rientro.
    Solo così.

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